Un esempio tra i pochi, nel sud Italia, di una politica museale volta allo sviluppo integrato della ricerca storica e della cultura attuale, con un’attenzione spiccata per i processi socio-politici che connettono la dimensione locale del territorio a quella globale del sistema economico e politico. A testimonianza di questa nuova sensibilità e di una reale consapevolezza del ruolo che l’istituzione museo può assumere nei confronti delle più urgenti e determinanti istanze sociali.
Museo, territorio, intercultura: tre termini complessi che racchiudono in sé la storia del nostro Paese, l’Italia, così fortemente caratterizzato dal proprio patrimonio artistico e culturale, così ricco di tradizioni, d’identità locali che si esprimono attraverso dialetti e lingue secolari, ma anche, da sempre, attraversato da popoli e culture che ne hanno fatto un campo di battaglia e un terreno d’incontro e scambio di conoscenze. Non si può scrivere una storia generale di questo territorio che non si perda in frammenti e particolarismi, che non si complichi di racconti, che non intrecci le vicende comunali con i grandi flussi della storia, fatta di migrazioni e conquiste, di dominazioni e rivolte. Ogni volta tutto questo groviglio di segni e significati; impossibile non incontrarlo in ogni luogo e in ogni narrazione che coinvolga una comunità e la sua vita presente nel processo di rappresentazione della propria identità.
Il museo è, spesso, l’istituzione che si fa veicolo di tale rappresentazione, che nasce per tramandare e conservare una memoria, per fissare il racconto delle origini attraverso la raccolta delle testimonianze, dei documenti, delle mappe, del patrimonio materiale e immateriale che il territorio ha saputo esprimere e che le nuove generazioni di “conservatori” hanno il dovere di preservare e tutelare. Ma il ruolo di un museo può estendersi molto aldilà di questo compito, può investire il presente e rinnovare con apporti nuovi, legati alla cultura contemporanea, la rappresentazione stessa del proprio territorio. Importantissima, in questo senso, l’idea di appartenere ad un contesto di istituzioni e soggetti che operano nel sociale alla pari e attraverso una rete o costellazione, come la chiama Angela Trevisin (Museo Civico Montebelluna) che scrive a questo proposito: Pensare che il museo possa rappresentare una di queste stelle nella costellazione che sostiene persone in difficoltà, significa certamente attribuirsi un ruolo importante nel mondo educativo di oggi. Significa anche accettare una sfida di azione secondo quella che Canevaro definisce “pedagogia della contemporaneità”, dove il quotidiano e la società in divenire si intersecano senza sosta, chiedendo a chi lavora nella scuola, nei musei, nelle biblioteche, scelte educative e didattiche consapevoli e audaci, proprio per alimentare quel “tessuto connettivo vivente” di cui siamo parte.
In questo senso il dibattito sulla funzione culturale dei musei, in Italia, è attualmente in corso, ma sono pochi i casi in cui tale funzione sia davvero individuata come linfa vitale di un territorio, come risorsa per la popolazione e come chiave di lettura dei processi di cambiamento in atto, oltre che dei processi storici avvenuti in passato. Non è frequente che questo accada; spesso i musei dei piccoli comuni italiani non hanno le risorse, né le competenze per impegnarsi in una vera lettura del contesto di cui si fanno portavoce, per immettere nuovi contenuti e dialogare con il tessuto sociale della comunità che rappresentano. Il Museo Civico di Castelbuono è, dunque, una splendida sorpresa. Una direzione e un’amministrazione giovani e competenti hanno provato a immaginare un rinnovamento possibile per un’istituzione che, con il restauro della sua prestigiosa sede storica, il castello dei Ventimiglia, si è arricchita anche di nuovi allestimenti e apparati didattici, rinnovando, inoltre, la propria collezione, mediante nuove acquisizioni d’arte contemporanea. Un esempio tra i pochi, nel sud Italia, di una politica museale volta allo sviluppo integrato della ricerca storica e della cultura attuale, con un’attenzione spiccata per i processi socio-politici che connettono la dimensione locale del territorio a quella globale del sistema economico e politico. A testimonianza di questa nuova sensibilità e di una reale consapevolezza del ruolo che l’istituzione museo può assumere nei confronti delle più urgenti e determinanti istanze sociali, è stata organizzata, il 18 dicembre del 2011, una giornata dedicata al tema delle migrazioni, dal titolo Onde. Volti e rughe del Mediterraneo, a cura della direttrice del Museo Adriana Scancarello e di Michele Spallino, presidente del consiglio d’amministrazione e con il contributo di Ignazio Maiorana. La manifestazione ha inaugurato, di fatto, il nuovo percorso culturale del Museo Civico: un programma di acquisizioni, rassegne e incontri, che punta sull’analisi e l’approfondimento delle storie, delle immagini e dei simboli legati al tema della migrazione e dell’incontro tra popoli. Questo viaggio ha preso il via, con Onde. Volti e rughe del Mediterraneo, dalla realtà di Lampedusa, oggi più che mai, luogo e metafora di approdo e di accoglienza. Si è trattato di un evento che ha unito soggetti e linguaggi diversi, dall’illustrazione alla satira; dalla musica alla fotografia, al racconto, in un quadro d’insieme tutt’altro che consolatorio – cosa che frequentemente si attende dalle espressioni artistiche - ma, al contrario, acuto, provocatorio, doloroso e appassionato. L’isola di Lampedusa, con il suo imponente afflusso di migranti, è stata, infatti, non soltanto un tema sullo sfondo, un tema attuale e politically correct, capace di attirare l’attenzione di sguardi curiosi e poco informati, come quelli che quotidianamente si fissano sui servizi del telegiornale, ma fulcro di riflessioni e occasione di dibattito. Grazie allo stimolo offerto dalla testimonianza degli artisti invitati a raccontare la propria esperienza, le due mostre allestite negli spazi del castello, e l’incontro con il musicista e artista lampedusano Giacomo Sferlazzo, hanno proposto una lettura inedita e sfaccettata della realtà di Lampedusa, fatta di accoglienza e disperazione ad un tempo.
Due mostre e un incontro, dunque, che hanno visto a Castelbuono artisti, editori e ricercatori, a confronto nell’interpretazione dell’attualità più scomoda da approcciare. Le rughe sulla frontiera, da cui è stato tratto l’omonimo libro, edito da Navarra editore e presentato in occasione del dibattito pomeridiano, è una mostra ideata da Ganpiero Caldarella, già allestita in occasione del Lampedusa in festival, nel luglio di quest’anno e organizzata, anche stavolta, in collaborazione con l’Associazione Askavusa di Lampedusa. Si tratta di una raccolta di vignette realizzate da più di trenta autori di satira e illustrazione italiani, tra cui spiccano i nomi di Vincino, Ellekappa, Kanjano, Staino, Vauro. Nessuna pietà né giustificazione, nessuna facile spiegazione di una tragedia umana consumata tra le sponde opposte del Mediterraneo: in queste immagini soltanto lo sguardo tagliente di una denuncia implicita, l’amarezza di una constatazione d’impotenza, il cinismo della critica tratteggiato nella sagoma di un fumetto. La mostra di fotografia Gli zii di Sicilia, dell’artista Giuseppe Fiasconaro è la testimonianza di una storia vissuta, la voglia di raccontare e di mostrare oggetti, paesaggi, volti di una storia che già sta sparendo dalle cronache televisive e dall’attenzione del pubblico italiano.
Ma dall’isola di Lampedusa viene anche Giacomo Sferlazzo, cantautore e artista cui, insieme all’associazione Askavusa di cui fa parte, è stato dedicato il primo incontro con il pubblico organizzato presso la sala dibattiti del Castello, nell’ambito della manifestazione Onde. Un incontro in cui si è scelto di narrare, in parole e in musica, attraverso “canzoni piene di sale” e testimonianze dirette, una storia difficile da comunicare, una storia che puzza e che stride, che è fatta di dialoghi e di pratiche di volontariato, ma anche di denuncia e di rabbia. L’incontro è stato anch’esso allestito con sensibilità e intelligenza, come si trattasse di una performance, dalla curatrice, che ha voluto disporre in cerchio tutti i partecipanti, per realizzare concretamente e simbolicamente un approccio di orizzontalità e circolarità del sapere e della comunicazione. In questa disposizione, la musica di Giacomo Sferlazzo ha raggiunto tutti allo stesso modo, proponendosi come un racconto partecipato e non come una forma di spettacolo, invitando ciascuno a riflettere e provocando reazioni emotive, prese di posizione, punti di vista diversi e attivando un confronto critico difficile da riscontrare nei consueti convegni, solitamente lacunosi nei famigerati “interventi finali”, che siamo abituati a seguire anche nei musei più importanti e aggiornati.
La sensibilità collettiva non è, infatti, scevra di condizionamenti o pregiudizi e la cattiva informazione che domina il panorama mediatico italiano, fa spesso sì che, anche nel pubblico selezionato di una manifestazione antirazzista, si evidenzino differenze notevoli e posizioni discordanti. Un dibattito su questioni rilevanti, che mettono in crisi e in dubbio i concetti stessi di appartenenza e cittadinanza, così come la distinzione tra “noi” e “loro” (termini cui abbiamo tutti bisogno di ricorrere), non può non mostrare la fragilità di un pensiero sociale ancora non strutturato sulle dinamiche di integrazione culturale.
Così tutto viene spesso a confondersi nella consolatoria retorica dell’emergenza, che ha, in fondo, accomunato tante catastrofi del nostro Paese. Un’emergenza che incrementa guadagni, che alimenta il bacino elettorale di una classe politica che specula sulle tragedie, sfruttandone l’occasione, o addirittura determinandole volontariamente per porvi rimedio con interventi salvifici mirati a ottenere consenso.
Nel caso di Lampedusa tutto questo s’intreccia alla paura dell’invasione, all’ignoranza delle dinamiche storiche e politiche che determinano i flussi di migrazione, ma soprattutto all’ignoranza delle leggi che sanciscono i diritti dei migranti e dei richiedenti asilo.
Il dibattito avviato dalla testimonianza di Giacomo Sferlazzo ha mostrato l’importanza di un’azione culturale in questo senso e ha reso palese come l’intervento delle istituzioni culturali possa determinare processi di conoscenza e solidarietà.
Sulla stessa linea si pone l’incontro previsto per il 3 gennaio 2012 con il giornalista, scrittore e ideatore della mostra “Le rughe sulla frontiera”, Gianpiero Caldarella (attualmente caporedattore della rivista Il Male) invitato dal museo per proseguire un percorso di analisi sul tema proposto dal libro e dalle illustrazioni in mostra e per arricchire di un altro punto di vista, quello della satira e della critica, un dibattito così importante per la comunità.
Il Museo di Castelbuono si pone un obiettivo delicato, ma non è l’unico soggetto che si muove in questa direzione. Le due giornate del 27 e 28 dicembre scorso hanno visto la nascita nel paese di un’iniziativa altrettanto interessante e sperimentale a dimostrazione dell’importanza della creazione di una rete di pratiche sociali. La manifestazione “Romeni castelbuonesi”, ideata e curata da Vincenzo Vigneri, è stata immaginata e voluta come un’occasione d’incontro, studio e dibattito, che mettesse in contatto la comunità castelbuonese con quella romena presente sul territorio. Un sasso nello stagno, direbbe Rodari, che, attraverso lo scambio di musiche, cibo, parole e conoscenze, possa avviare un processo d’integrazione reale e proficuo, abbattendo barriere e stabilendo nuove relazioni.
Un terreno fertile d’iniziative e impegno, quello di Castelbuono, davvero particolare e capace come molte altre piccole realtà locali, si pensi all’esempio del Comune di Riace, in Calabria, di fornire un modello di sviluppo, che parta dalla cultura e dalle sue istituzioni più importanti. Il museo di Castelbuono sta interpretando questa tendenza in modo interessante e spontaneo. Adriana Scancarello, ha introdotto la manifestazione “Onde” citando le esperienze di Pistoletto, della sua Città dell’arte di Biella, del programma Love difference. Un traguardo da raggiungere, per la curatrice di un museo che vuole distinguersi per il coraggio e la lucidità di una politica culturale fatta di scelte. La scelta, come atto e come sfida, ne sono sempre più convinta, è di per sé un enorme obiettivo, il più difficile e il più utile in questo momento.
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