Ultimo appuntamento della stagione per Scatole, con due serate ricche di eventi. In primo luogo il ritorno dei R.U.N.I. a Roma dopo una lunga assenza.
Il confronto continua, incessante, fra musicisti distanti (come I/O e R.U.N.I.), artisti, scrittori e videomaker: il tentativo è osare di più, e probabilmente questa sarà la scommessa della prossima edizione.
Intanto si riannodano i fili, si fa il bilancio di una rassegna che si è mossa su un tragitto piuttosto impervio, quello delle musiche di confine (prima elettroacustica, poi impro-jazz, ora out-rock e derivati).
La novità di questi due giorni è lo spazio dedicato alle proiezioni, nello specifico degli estratti dalla Tragedia Endogonidia della Socìetas Raffaello Sanzio, raccolti in un cofanetto dvd dalla Rarovideo. C’è un’affinità d’intenti tra chi, come la Socìetas, sperimenta con i linguaggi della videoarte, del teatro, della musica elettronica e chi ha ideato il progetto Scatole Sonore, dunque non stupisce questo nuovo link, anzi si auspica un proseguimento in questa direzione.
La mostra fotografica stavolta è a cura di Dario Di Lernia, il quale nel suo sito spiega le tematiche e le metodologie applicate nei suoi lavori; l’esposizione ha il titolo “Fotogrammi – catture di segmenti di spazio”.
A proposito dei concerti, venerdì 30 sono saliti sul palco del Rialto due band dall’identità ben delineata, inconfondibile nonostante nessuna abbia valicato i confini underground.
Si tratta di I/O, quartetto di “improvvisazione ritmica destrutturata”, come si autodefiniscono, autori di un cd per Ebria e Fratto9 Under the Sky records, “Polytone”, che dal vivo sembrano trovare la propria condizione ideale. Free jazz, minimalismo, scorie no wave sono inglobate nel set degli I/O, mantenendo alta la soglia dell’attenzione, per merito anche dei campionamenti in tempo reale e gli effetti vocali di Andrea Reali.
I R.U.N.I. appartengono ad un altro albero genealogico, se così si può dire, ma l’accostamento non infastidisce. Numerose le novità anche per chi li conosce bene: adesso sono in tre, privi di un bassista che possa regolamentare le disparate influenze del gruppo. E’ un momento di svolta nella loro storia, poiché in questo tour hanno scelto di non suonare brani del passato (nemmeno dell’ultimo “Fula Fula Fular” uscito per Wallace), ma solo inediti.
L’impatto visivo è come sempre devastante: bastava guardarli per aver voglia di chiamare la buoncostume. Dal punto di vista musicale c’è più spazio alle tastiere di Roberto Rizzo, senza però che questo sbilanci troppo la formula psycho krauta che contraddistingue, almeno a tratti, i R.U.N.I.
La band di Milano appare in ottima forma, desiderosa di rifinire i nuovi brani ed al contempo sfruttarli, dilatarli, mutargli i connotati fino a diventare irriconoscibili perfino a se stessi. Nonostante siano trascorsi cinque anni dall’ultimo album la formazione (completata da Fabio Bielli alla chitarra e Daniele Malavasi alla batteria) non è invecchiata né appare fuori posto, forse perché non avendo mai seguito alcun trend non hanno questo problema.
A chiudere il concerto una cover talmente azzeccata da sembrare un pezzo autografo: “Punto Zero” de Le Forbici di Manitù, fedele ritratto di musicisti, giornalisti, giornalai e pubblico “alternativo”, purtroppo estremamente attuale. Speriamo di riascoltare presto i R.U.N.I. con un lavoro più compiuto, per ora gli resta il merito di aver chiuso la serata di una rassegna eclettica come poche altre. Alla prossima!
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