Imagining Parco Sud - interviewing Connecting Cultures
Reading the territory through a multidisciplinary research and the creativity: Imagining Parco Sud is a research project focused on a new vision of the Agricoltural South Park of Milan, curated by Connecting Cultures association. The South park of Milan is a green area that surrounds the city on its west, south and east side; a huge mix of history, different landscapes and biodiversities. The project aims to rediscover, through a multidisciplinary and international approach, the identity of this park.
Imagining Parco Sud - intervista a Connecting Cultures
Diaologhiamo con Saramicol Viscardi e Anna Vasta, coordinatrici per Connecting Cultures di Imagining Parco Sud, per approfondire le caratteristiche del progetto, ma anche le implicazioni di cui tali modalità di intervento artistico sono foriere.
"Leggere il territorio attraverso la ricerca multidisciplinare e la creatività: Imagining Parco Sud è un complesso progetto di ricerca che ha per tema la visione del Parco Agricolo Sud Milano, curato e coordinato da Connecting Cultures. Un enorme polmone verde che cinge la città, ricco di storia, paesaggi e biodiversità che costituiscono un potenziale inespresso di enorme interesse. Attraverso il coinvolgimento di diverse discipline il territorio del Parco verrà indagato, percorso, riscoperto e chissà, trasformato nella percezione comune del pubblico."
SA: Cominciamo dal nostro comune interesse per l’indagine sulle potenzialità dell’arte contemporanea nei contesti pubblici e proviamo da subito a definire questo ruolo considerandone l’aspetto storico.
Connecting Cultures è ormai un punto di riferimento per artisti e studiosi che lavorano e fanno ricerca su questi temi: in che modo si evolve, nel vostro corpus di mostre, convegni, pubblicazioni e progetti d’arte pubblica, il vostro concetto di “intervento nello spazio pubblico” in questi anni?
CC: L’Associazione Connecting Cultures viene fondata da Anna Detheridge, critica e teorica delle arti visive, nel 2001. Già dalla scelta del nome viene evidenziata la volontà di lavorare ad una possibile elaborazione tra saperi diversi, creando un luogo di riflessione che utilizzi metodologie provenienti da culture e discipline differenti. Naturale campo d’azione, in particolare nei primi anni di attività dell’Associazione, è stato il mondo dell’amministrazione pubblica: attraverso ricognizioni e moduli di formazione commissionati da diversi Enti Connecting Cultures ha cominciato a lavorare al fianco di artisti impegnati in primo luogo sul fronte dell’arte relazionale e pubblica, coniugando l’utilizzo di espressioni artistiche e progettuali al lavoro di coordinamento del territorio proprio dell’Istituzione.
Con la collaborazione degli artisti si possono proporre nuove aperture e angolazioni sulla realtà, con l’obiettivo di favorire la capacità delle persone di relazionarsi con il proprio contesto, favorendo in particolare il senso di appartenenza dei soggetti di provenienze differenti. Diversi seminari e corsi di formazione per amministratori pubblici sono stati elaborati seguendo la forte convinzione che i conflitti sociali, correlati a temi critici quali società multiculturale, immigrazione, sicurezza, ambiente, potrebbero essere affrontati con un utilizzo strategico e mirato delle politiche culturali.
Tra i diversi artisti e collettivi con i quali abbiamo sviluppato queste premesse possiamo ricordare, tra i tanti, Stalker, a.titolo, Cesare Pietroiusti, multiplicity, Alberto Garutti e molti altri.
Anche l’attività espositiva, che vede Connecting Cultures nel ruolo di curatore, è fortemente legata a questi temi: la prima grande mostra dedicata all’Arte Pubblica in Italia è stata allestita presso gli spazi di Cittadellarte-Fondazione Pistoletto, presentando dodici progetti di artisti, architetti e curatori impegnati in questo campo di ricerca (Arte Pubblica in Italia. Lo spazio delle relazioni, 2003).
La volontà di intessere una prima ricognizione di queste pratiche artistiche, al di fuori dei circuiti delle gallerie e della committenza privata, è nata certamente dall’ambizione di concepire oggi la figura dell’artista come un vero e proprio professionista che collabora con le istituzioni, proponendo una diversa modalità di intervento nella società, nel cosiddetto “spazio pubblico”.
Il progetto Art and Survival (2007-08) esemplifica certamente questo approccio: Connecting Cultures ha curato e organizzato un workshop di dieci giorni a Mostar, in Bosnia-Herzegovina, in collaborazione con il Sarajevo Center for Contemporary Arts (SCCA) e il Ministero della Sanità della Bosnia-Herzegovina, dove l’artista Cesare Pietroiusti ha lavorato con tre giovani artisti bosniaci all’interno dei due Centri di Igiene Mentale di Mostar. Il workshop è stato seguito da una troupe che ha svolto interviste e ripreso gli artisti: il montaggio di un breve documentario vuole riportare uno spaccato della realtà di un Paese post-conflittuale, proponendo l’arte come un potenziale per la ripresa sociale ed economica della società.
Lavorando con pazienti psichiatrici, molti dei quali affetti da PTSD (Post-traumatic Stress Disorder), gli artisti si sono relazionati con il difficile contesto di riferimento, il proprio back-ground e la posizione dell’artista nella loro società.
SA: Imagining Parco Sud è un progetto attualmente in corso: per questo mi incuriosisce la possibilità di verificarne le modalità e i risultati proprio nel suo delinearsi. E’ stato realizzato un workshop a settembre 2007 che aveva lo scopo di far entrare in contatto i partecipanti tra loro e con il territorio, com’è andato? Chi è stato coinvolto in questo primo incontro? In che fase del progetto ci troviamo adesso?
CC: Imagining Parco Sud è il principale progetto che Connecting Cultures sta curando in questo periodo, proponendosi di riflettere su temi quali il paesaggio e lo sviluppo urbano in una città come Milano, attraverso la ricognizione e l’approfondimento della presenza del Parco Agricolo Sud. Enorme polmone verde alle porte della città, il Parco si insinua tra Milano e altri 60 Comuni dell’hinterland, sovrapponendosi alle aree verdi che si sviluppano tra un edificato e l’altro. La presenza di questo enorme Parco (circa 47.000 ht di terreno) non viene però percepita dagli abitanti di Milano, che tendono a riconoscere e fruire la piccola porzione di verde della propria zona, senza ricondurla alla vasta area d’insieme.
In particolare Connecting Cultures vuole recuperare l’enorme bagaglio di storia e cultura del territorio riconducibile al Parco, utilizzandolo come dispositivo per accendere una visione poetica e condivisa che possa essere utilizzata per promuoverne la fruizione, nel rispetto dell’attività agricola e produttiva che caratterizza fortemente quest’area.
Durante il mese di Settembre 2007 è stato organizzato presso i nostri spazi un workshop di progetto con lo scopo di mettere in contatto tutti i capofila (i nostri partner sono: Centre for Photographic Research of Newport School of Art, Media and Design, UK; Prague Academy of Performing Arts, School of Photography, CZ; Facoltà di Agraria, Università degli Studi di Milano; Facoltà di Architettura-Diap, Politecnico di Milano; Scuola di Fotografia, Accademia di Brera; Stalker collective of artists and architects/Lorenzo Romito).
Attraverso la presentazione di relazioni e interventi mirati si è discusso sulle modalità di rappresentazione del territorio e di intervento artistico. Abbiamo posto le basi per la seconda fase di progetto, quella maggiormente operativa, che si sta svolgendo in questi mesi. Campagne di ricognizione del territorio, basate sull’individuazione di tematiche che potessero guidarne i percorsi, si sono susseguite fino al workshop creativo che si sta svolgendo in questi giorni di giugno, con la partecipazione degli studenti di tutte le facoltà italiane e straniere.
Il calendario delle attività e degli incontri è molto fitto, e gli spunti numerosi: verificheremo a breve le proposte e le immagini che i giovani artisti ci proporranno.
SA: Puoi descriverci l’area su cui insiste il progetto Imagining Parco Sud? Come comunicheresti questo territorio? In termini tecnici, sociologici, emozionali?
CC: Sicuramente il principale carattere peculiare del Parco Agricolo Sud è, come anticipa già il nome, la sua vocazione agricola. A differenza di riserve naturali, parchi naturalistici o parchi urbani, il Parco Agricolo Sud ha una superficie adibita all’uso agricolo di circa 37.000 ht su un totale di 47.000 ht. Questo significa che l’attività produttiva ha un forte impatto sulla potenziale fruizione di questo Parco, che andrà assolutamente valutata e rispettata anche nel corso di una sua progettazione futura. Nello stesso tempo il suo carattere agricolo porta ad una superficiale lettura come territorio residuale da parte di speculatori e portatori di interessi che mirano a quelle zone di confine tra città e campagna ancora appetibili per uno sfruttamento edilizio. La nostra riflessione si focalizza quindi su questo rapporto in continua trasformazione, su come gestire la difficile interazione tra il tessuto urbano, che si sfrangia senza un disegno complessivo e ragionato, e le aree agricole periurbane, numerose e ai confini della città. A questo punto diventa necessario anche un ragionamento sull’immaginario che viene comunemente attribuito al valore della “natura”. Evitando digressioni storiche possiamo certamente asserire che il cittadino cerca il verde per evadere dalla dimensione urbana, per ritrovare un contatto con la Natura, intesa come ambiente vergine e non intaccato dalla mano industriale dell’uomo. Il paesaggio di tutta la pianura lombarda è però fortemente lavorato e costruito, attraverso un lavoro lungo secoli che è passato dalla bonifica alla canalizzazione, dalla coltura all’insediamento rurale.
Ecco dunque il nostro paradosso, quello di vivere in un paesaggio naturale ma fortemente antropizzato, di rifiutarlo in quanto tale (l’agricoltura residuale) e di volerne, allo stesso tempo, produrne ancora (edificando).
SA: Nel manifesto del progetto, sul sito web, ad esso dedicato, si dice, a proposito del ruolo che assume Connecting Cultures, che attraverso un progetto costruito nel tempo e con il territorio, Connecting Cultures si propone come mediatore tra un bisogno inespresso e un patrimonio potenziale, lavorando sulle ricchezze e diversità, trasformandole in connessioni.
Il ruolo del mediatore richiama alla mente l’approccio graduale al territorio di Nouveaux Commanditaires. Qui, invece, il percorso è ribaltato?
Tra amministrazioni, enti, soggetti privati, artisti, studenti e abitanti, il target del progetto è molto variegato, ciascuno di loro racchiude un “bisogno” legato all’area di intervento.
Visto che vi riferite ai bisogni inespressi, qual è il rapporto tra la committenza e la popolazione in un progetto locale ma di così ampio raggio? Che tipo di connessioni si realizzano?
CC: Connecting Cultures è un’agenzia di ricerca indipendente che, nel caso di questo progetto, si muove sul territorio in qualità di battitore libero, cercando di leggere con gli occhi degli artisti un complesso stratificarsi di relazioni e peculiarità.
Credo che la principale differenza tra il nostro progetto in corso, e in qualche modo della nostra metodologia di lavoro, e un programma come Nouveaux Commanditaires stia nel diverso momento di intervento. Mi spiego: il nostro intervento si focalizza tendenzialmente su quella che è una prima fase di ricerca, di comprensione del carattere di un luogo. Qualcosa che si avvicina maggiormente ad una analisi di criticità/eccellenza, valutazione delle risorse e delle potenzialità, il tutto letto in chiave creativa. Un lavoro che si svolge con la collaborazione del territorio ma non agisce su commissione dello stesso. Questo significa che lo sguardo di un artista, da noi invitato a ragionare su un luogo o un tema, può cogliere degli aspetti peculiari di un luogo che, nella sua progressiva stratificazione di segni e percezioni, è totalmente cambiato nell’immaginario e utilizzo comune.
Alcuni esempi: l’area a sud-ovest di Milano, un tempo vitale sistema di chiuse leonardesche, oggi periferia urbana e terreno considerato (e utilizzato come) residuale; il sistema delle abbazie di Chiaravalle, Viboldone e Mirasole, un tempo racchiuse nella regola benedettina dell’ora et labora, oggi strozzate tra svincoli autostradali, poli logistici e prostituzione a bordo strada.
La progettualità creativa può rileggere il territorio, riproponendolo nello stesso tempo in modo dinamico e contemporaneo, ad evitare il rischio di uno sterile e malinconico sguardo al passato.
SA: Mi dicevi prima che Connecting Cultures ha coinvolto nel progetto molti partner internazionali: Centre for Photographic Research of Newport School of Art, Media and Design (UK), Prague Academy of Performing Arts, School of Photography (CZ), Facoltà di Agraria, Università degli Studi di Milano (I), Facoltà di Architettura-Diap, Politecnico di Milano (I), Scuola di Fotografia, Accademia di Brera (I), Stalker collective of artists and architects/Lorenzo Romito (I).
Il presupposto dell’internazionalità degli interventi si coniuga con l’approccio interdisciplinare, in che modo si articolano le relazioni tra i diversi apporti e le competenze specifiche? Esisterà un patrimonio collettivo realizzato dal lavoro di tutti i soggetti partecipanti?
CC: L’internazionalità è un elemento specifico di questo progetto, ma anche di molti altri interventi che Connecting Cultures ha realizzato recentemente. Lo sguardo e l’approccio alla nostra realtà da parte di altre culture, altri contesti e modi di pensare, sono a nostro parere fecondi e indispensabili per un confronto sempre diretto, in particolare nella lettura e nell’interpretazione di un territorio.
Questa considerazione vale anche e soprattutto nel campo dell’interdisciplinarietà, altra specifica di questo progetto. Le competenze di una professionalità spesso arrivano fino ad un limite che può essere superato solamente grazie al lavoro di gruppo, allo scambio di informazioni e di idee con altri professionisti. Il lavoro sul territorio riporta con urgenza l’attenzione su questo punto, proprio perché la complessità e l’interazione tra diverse sfere di competenza si concretizza in questo campo in modo particolare. Il progettista, il naturalista, il fotografo e l’artista, ma anche l’economista e il mediatore culturale. Lavorare con il territorio significa progettare e interagire con comunità, amministrazioni, soggetti privati, tradizioni e infrastrutture; una rete di presenze e funzioni non indifferente.
Nello specifico, il progetto Imagining Parco Sud ha incrociato diverse professionalità nella preparazione e nello svolgimento di workshop creativi incentrati su una prima ricognizione e comprensione del territorio. Un approfondimento teorico sulle possibilità di attuazione di greenways e percorsi di mobilità dolce è stato affrontato in collaborazione con docenti e studenti della Facoltà di Agraria, che hanno poi percorso insieme ad artisti e fotografi una specifica porzione di territorio, accompagnati da una guida d’eccezione: un abitante del luogo, profondo conoscitore e amatore di quel paesaggio.
Nello stesso modo sono state create connessioni tra il mondo della produzione agricola, le economie di scala e le valutazioni sulla sostenibilità proposta dal modello biologico, in un confronto serrato con il disegno del paesaggio contemporaneo e storico. Sono stati coinvolti docenti del Politecnico di Milano, agricoltori e gestori di aziende agricole, sempre instaurando un rapporto con i luoghi, attraversati insieme agli artisti e ai fotografi. Le connessioni attivate sono numerose e sarebbe troppo dispersivo ora affrontarle tutte, di certo stiamo costruendo un patrimonio importante di materiali fotografici, audiovisivi e di ricerca, che in parte stiamo già utilizzando in occasioni di presentazione all’esterno (ad esempio la terza ed ultima edizione di inContemporanea e il primo appuntamento della neonata Biennale delle Buone Pratiche, entrambi progetti della Provincia di Milano).
SA: Nel testo critico sulla mostra La città infinita, A. Bonomi si riferisce ad un’area abitata ed industrializzata che comprende città, paesi, piccole comunità disperse in una comunità infinita. Egli individua nel racconto la possibilità di orientarsi nello spazio sociale e naturale e di rappresentarne le caratteristiche e le contraddizioni: Per non perdersi, per capire, occorre fare racconto, e il racconto è lo spazio intermedio tra i flussi e i luoghi, che accompagna il visitatore. Racconto fatto di storie di vita filmate, fotografate, scritte, recitate, emblematiche del vivere, del lavorare, dell’abitare nella città infinita.
Il tema città/comunità è al centro anche del progetto sul Parco Sud, sebbene abbracci una porzione più limitata di paesaggio, ma costituisce pur sempre un paesaggio antropico. Il racconto in questo caso è affidato agli artisti? Come si svilupperà?
CC: Hai definito questo paesaggio come antropico, mettendo l’accento proprio su uno degli aspetti maggiormente peculiari di questo territorio, come abbiamo accennato nella prima parte della nostra chiacchierata.
Tutta l’area della pianura irrigua lombarda fonde le proprie caratteristiche morfologiche con la propria tradizione, la storia e la cultura del luogo.
La forte presenza di un’acqua di falda a temperatura ottimale e a poca profondità ha consentito lo sfruttamento del territorio da parte dei primi monaci cistercensi che cominciarono a lavorare queste terre: il lavoro dell’uomo ha trasformato una pianura paludosa in terreni bonificati e lavorati, disegnati attraverso filari, risaie, campi. Anche Leonardo ha attraversato queste campagne, durante la sua permanenza milanese alla corte di Ludovico il Moro, progettando e realizzando chiuse e sistemi idraulici per i Navigli.
La città di Milano si sviluppa, cresce, si nutre della campagna che le sta attorno in un mutuo rapporto che ha mantenuto vivo nel corso di secoli.
Questi e molti altri elementi sono fortemente e coerentemente radicati su tutto il territorio del Parco Agricolo Sud, che pur si estende su numerosi Comuni.
Gli artisti sono chiamati a raccontarci il territorio che attraversano, ma anche ad immaginarlo, ad evocarlo e perché no, a riprogettarlo in certa misura. Per questo siamo convinti dell’importanza di conoscere il più possibile l’area di intervento prima di operare, anche per l’artista. Per evitare il proliferare di inutili e inadeguate opere d’arte totalmente mute e inascoltate, quando non osteggiate.
Per evitare sovrapposizioni a progetti già esistenti e sperperi di denaro ed energie pubbliche, per costruire un dialogo fruttuoso e dinamico, proiettato verso il contemporaneo e vissuto davvero da coloro che ne sono i fruitori.
SA: Cito ancora il concept del progetto: Imagining Parco Sud nasce da due principali considerazioni riguardanti la storia del Parco e le sue condizioni oggi: − la necessità di proteggere un territorio che si considera da preservare non solo in qualità di "area verde", ma anche come spazio dove attività economiche sono strettamente correlate all’agricoltura, determinando un’importante funzione che necessita di essere supportata. In che misura il progetto coordina le istanze economiche legate al tessuto e alla microeconomia locale con quelle estetiche? C’è, qui, un ruolo politico della cultura nei confronti dello sviluppo di un territorio?
CC: Essendo il progetto incentrato sulla ricerca e sullo studio del territorio, non si parla di attivare o coordinare istanze, operazione peraltro piuttosto complessa e certamente non affrontabile da una sola agenzia di ricerca. E’ importante - ed è quello che il nostro progetto cerca di fare - che queste istanze vengano riconosciute, sottolineate e considerate per l’importanza e il reale ruolo che hanno sul territorio. Per questo all’interno della nostra ricerca sta emergendo con forza il carattere agricolo - e il suo legame dunque con l’economia - di questo Parco, che nella percezione generale del pubblico, soprattutto cittadino, non affiora. Alcuni studenti con i quali stiamo lavorando hanno realizzato un video che monta diverse interviste rivolte alla gente comune e a diversi attori del Parco. Una ragazza intervistata a Milano, alla domanda “cos’è per te il Parco Agricolo Sud?”, risponde di non conoscerlo e, invitata a ragionare su cosa possa essere, si interroga subito su quella parola: “agricolo”. Dice che lo chiamerebbe semplicemente “Parco Sud”.
Questo significa che la percezione comune non affronta una enorme porzione di esistenza stessa del Parco. E questa porzione è fatta di lavoro agricolo, di economia, di tutela del paesaggio, di relazioni politiche tra soggetti. In questo momento noi stiamo verificando l’esistenza di tutto questo, cercando di capire come possa essere comunicato nella sua complessità. Credo che quest’aspetto della nostra ricerca sia molto importante; è un lavoro che l’amministrazione pubblica dovrebbe commissionare non solo in vista della realizzazione di un progetto, ma per conoscere e approfondire la realtà di un territorio, le sue esigenze e il suo immaginario. Esiste un Ente Parco Agricolo Sud Milano, ma se la gente non sa cos’è, che lavoro potrà mai fare l’amministrazione pubblica?
SA: Propongo anche a Connecting Cultures il gioco linguistico sull'approccio alla dimensione antropica del territorio: verbi pubblici.
Con il testo che segue si cerca di proporre, di volta in volta, a curatori e artisti una modalità critica e una chiave di lettura del loro lavoro nella società. I risultati raccolti verranno pubblicati al termine del ciclo di interviste della sezione Environment e daranno vita ad ulteriori sviluppi e approfondimenti. Organizzare, determinare, stimolare, modificare, riempire, riattivare, attraversare, scoprire, apprendere: ciascuno di questi verbi transitivi indica un’azione che può essere svolta dall’artista contemporaneo.
Ad ognuno di essi potremmo far seguire l’oggetto /la vita della gente/ e costituire, in tal modo, differenti opzioni di interazione: gli stessi di cui il soggetto creativo dispone quando si pone a confronto con un contesto pubblico. In questo gioco si può costruire una frase secondo cui, per esempio, la volontà dell’artista sia quella di “organizzare la vita della gente”, e tale affermazione potrà essere seguita dalle motivazioni profonde che l’attore di tale, particolare, caso di interazione ha elaborato nel corso di lunghe riflessioni. Possiamo tentare l’esperimento con verbi differenti e ottenere, di volta in volta, modelli svariati di dialogo e scambio tra artista e pubblico.
Può trattarsi di un gioco linguistico, ma possiede implicazioni di senso incredibilmente illuminanti. Qual è il verbo che scegli per indicare la tua azione nei confronti di tale oggetto problematico e, insieme, importantissimo?
CC: Direi che per Connecting Cultures potrebbe valere lo statement: scoprire la vita della gente... attraverso le immagini, le interviste, le ricerche. Credo che sia il verbo più adatto!
SA: Grazie Saramicol, seguiremo l'evoluzione del progetto con molto interesse e invitiamo Connecting Cultures ad un nuovo confronto sui temi e sui risultati raggiunti da Imagining parco Sud, nonappena verrà conclusa l'intera elaborazione.
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