Jealousy Party, A Spirale @ Rialtosantambrogio, Roma
Due collettivi che hanno fatto della ricerca sonora la loro missione piombano nel copioso contenitore d’arti varie Scatole Sonore.
3 Aprile 2008, Rialtosantambrogio, Roma. La serata sarà certamente ricordata per l’esibizione di due gruppi da segnare sulla mappa degli “altrisuoni”, ma anche il resto non è stato da meno. L’appuntamento mensile di Scatole ci ha proposto stavolta lo scrittore palermitano Giacomo Giacomazzi, autore di poesie, filologo e fotografo, che si cimenta in un non-reading di alcuni suoi scritti. Proprio per questo più apprezzabile di altre letture pubbliche troppo impostate.
Segue l’installazione teatrale di Valerio Gatto Bonanni: non una performance, ma la prova che con pochi mezzi si può comunicare efficacemente col proprio pubblico. Nient’altro che un baule, il quale contiene l’attore e tutto il suo bagaglio di esperienze, che si apre per far passare spiragli di vita, paure, desideri. Molto riuscito e soprattutto divertente.
Completa la sezione delle arti visive la mostra di Sara Savini, una serie di quadri ed un video ispirati ai sogni, in qualche caso incubi, che la giovane artista cerca di tradurre servendosi di materiali diversi. E’ l’inizio di un percorso, che passa da una vetrina “importante” a suo modo come il Rialto.
Aprono le danze (si fa per dire) i napoletani A Spirale (ex Missselfdestrrruction, uscirono per Snowdonia), un terzetto di cui si è parlato poco sinora, colpevolmente. Non si tratta infatti di musicisti alle prime armi, bensì di un manipolo di feroci squartatori della musica avant, senza alcun rispetto per le belle calligrafie: un batterista free jazz (Massimo Spezzaferro), che preferisce colpire di striscio anziché macinare colpi, un chitarrista che potremmo dire no-wave (Maurizio Argenziano) ed il sax violentato da Mario Gabola possono far pensare in un primo momento agli Zu, ma con alcune differenze decisive quali l’alternare le sfuriate noise all’impro radicale (a me è venuto in mente Brötzmann). Loro si definiscono “barbarous electroacoustic rock”, e non c’è sigla migliore.
La vera attrazione della serata sono però i toscanacci Jealousy Party, e qui si scatena il delirio. Il palco è senz’altro la loro dimensione ideale, come se fossero nati per fare questo, inoltre stasera abbiamo la fortuna di vederli in sette, formazione allargata.
JP vede schierati Mat Pogo alle voci (il plurale è voluto), WJ Meatball al cd player e al mixer, Jimmy Gelli al laptop, Edoardo Ricci al sax contralto, clarinetto e trombone, Stefano Bartolini al sax tenore e baritono, Andrea Caprara al basso elettrico e Jacopo Andreini alla batteria, percussioni e vettovaglie.
La menzione è meritata per tutti perché i Jealousy Party sono una band compattissima, che ha saputo alzare la temperatura circostante grazie ad un inedito free jazz che fa a pugni col soul, il rock destrutturato e frammenti hip-hop. Una delle scelte più azzeccate è proprio il “cantato” di Mat Pogo, il cui ritmo segue le convulsioni, gli strappi, gli accenti degli altri strumenti, somigliando talvolta ad una specie di scat, facendo detonare con quintali di colorito nonsense il combustibile dei JP, roba rara di questi tempi.
Ogni componente è essenziale, dal turntablism d’odor funk di WJ Meatball all’immancabile Andreini che percuote pentole, timpani e cervelli, da una sezione fiati che fa paura per la capacità di spaziare tra mondi e timbriche distanti fino ai misurati interventi elettronici di Gelli. Non ci sono additivi perché non ci sono droghe più potenti! La jam finale conferma l’ispirazione dei musicisti presenti, i JP sono preponderanti, in altre parole non perdeteveli dal vivo se vi capitano a tiro.
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