Å, Obsolescenza Programmata @ Rialtosantambrogio, Roma
Scatole Sonore.
Cosa contengono le variopinte scatole che mensilmente “occupano” gli spazi del Rialto? Andiamo alla scoperta di mondi sotterranei…
A dire il vero non credo che la proposta di queste serate-contenitore voglia essere a tutti i costi di nicchia, anzi: si tenta di mettere in contatto artisti che altrimenti non scoprirebbero elementi comuni, affinità di pensiero, identiche tensioni.
Torniamo al menù del 6 marzo scorso: le due band sono Obsolescenza Programmata ed Å, differenti i background ma similari nella ricerca in ambito impro.
Da segnalare gli altri eventi che costituiscono Scatole: la mostra fotografica, opera di Alessia Cervini, che espone scatti in b/n di luoghi desolati, alla ricerca di giochi di luce che possano rivelarne l’anima; i reading del collettivo Scrittori Sommersi, che ha già pubblicato un’antologia che raccoglie i racconti di autori emergenti, tentano di dare voce a chi ama scrivere ma non riesce a trovare spazio sul mercato “ufficiale”, visitate il loro myspace per saperne di più.
A seguire, la performance di Francesca Bonci, dal titolo “Studio in rosso”: la Bonci lavora da molti anni nel campo della danza contemporanea e del teatro, e qui prova una sintesi del suo percorso, scandendo ogni movimento, ogni passo, ogni mutamento di postura con una intensa colonna sonora.
I concerti permettono di confrontare realtà “altre” del territorio nazionale, e iniziamo dagli Obsolescenza Programmata, poco noti ma molto prolifici, cresciuti con l’industrial ma a proprio agio anche con l’ambient isolazionista. Ci riservano un trattamento a base di laptop e dispositivi di vario genere, il risultato è una sorta di suite elettroacustica con macchinari difettosi in primo piano: il trio (ma in realtà il gruppo ha un numero variabile di componenti) sa dove colpire e lo fa senza pietà per l’apparato uditivo.
Un set interessante, anche se è doveroso notare che i lavori usciti su cd-r sono estremamente diversi fra loro e non sarebbe stato male saggiare dal vivo le altre incarnazioni (ora più noise, ora quasi techno, altrove persino memore degli Swans).
Spetta agli Å il ruolo di headliner, ma soprattutto il compito di spostare l’attenzione su un altro concetto di radicalità: quello espresso a suo tempo dal kraut rock e poi dall’avant rock dei This Heat, filtrato alla luce di quei musicisti che hanno ridefinito i confini della musica sperimentale (O’Rourke, ad esempio).
Gli Å di Stefano Riveda, Andrea Faccioli e Paolo Marocchio hanno esordito nel 2006 per Die Schachtel e sembrano davvero provenire da un'altra dimensione: drones ipnotici confluiscono in passaggi più serrati dove violino, chitarra e contrabbasso si intrecciano in modo inusuale, distante sia dal rock che dal free jazz propriamente detto. Forse il terzetto non vuole farsi catalogare, perciò si situa all’incrocio fra sperimentazione dal sapore ’70 (soprattutto per il metodo adoperato, gli strumenti autocostruiti e le connessioni imprevedibili) e pura decostruzione dadaista, ricordando sia il “prima” che il “post”.
Nel loro set hanno fatto capolino anche una batteria (quasi impercettibile) e momenti cantati, degli UFO piombati giù in una notte qualsiasi.
Due nomi da segnare sulla mappa, l’underground è diventato grande.
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