Fabio Savagnones’ photo cycle we are publishing in this section is called city from below .
It symbolizes and represents a kind of displacement.
In fact the colour photos were taken all through the night, during a long walk in search of artists’ own town. A promenade that includes the most popular streets and squares and, then, local markets, monuments, alleys: just the places where most people daily walk, stop, look.
In this case the difference is quite clear: the night changing the landascpes, altering colours, is empty, without walkers, is blind.
So the artist chooses to start by a different condition, the absence, imposing on it a specific presence: his own point of view.
He takes photo of everything he wants to look at again, all the places he would like to rediscover and he does it in the dark, far from wonder or nosiness he could arouse at other times.
He makes an art act, that of the artist who appropiates of reality through his experience and redefines it in a new code, for a deeper interpretation. These are the value and the power of each photo: it communicates the meaning of a site-appropriation of the space that we everyday cannot see, that escapes mixing different signes, hiding from intuition.
Fabio Savagnone: La città dal basso
La visione, lo sguardo, il punto di vista, sono tre modi diversi di intendere gli incontri percettivi con la realtà che realizziamo attraverso i nostri occhi. La visione e lo sguardo appartengono sia alla categoria della percezione individuale che a quella più vasta della cultura, quindi di una percezione collettiva.
Il punto di vista è, verosimilmente, lo strumento principale attraverso cui l’artista comunica con il suo pubblico. Con Baudelaire, e precisamente con i Diari Intimi e gli Scritti sull’arte si afferma per la prima volta l’idea che l’artista contemporaneo guardi alla contemporaneità, volontariamente e politicamente, attraverso il proprio punto di vista . Un concetto che scaturisce dalla nuova dimensione poetica in cui l’uomo, il cittadino Baudelaire assume il ruolo del critico e del sognatore, proprio mentre percorre le strade della propria città, mentre si approccia alla realtà da un’ottica che egli definisce moderna.
Un sistema è una specie di dannazione che ci spinge ad una perpetua abiura; occorre sempre inventarne un altro; ed è una fatica che equivale a un castigo crudele.
Quest’affermazione può essere presa a riferimento per proporre una fruizione delle foto di Fabio Savagnone sulla città di Palermo, poiché rende conto di quello spostamento partecipe dello sguardo che presuppone un atto di consapevolezza.
Il sistema della visione costituisce, infatti, la struttura che gli artisti contemporanei hanno maggiormente messo in discussione; ciascuno a suo modo e con il linguaggio più congeniale alla propria sensibilità ha lavorato sulle strategie per uscire dai canoni e dalle strettoie imposte dal sistema.
Lo spostamento del punto di vista assume in tal senso un valore simbolico prima ancora che tattico poiché rappresenta, a volte, la fuga dall’incombenza del senso dominante della visione.
Oltre la fuga c’è però la scelta, la selezione, l’inquadratura.
Ecco che il linguaggio della fotografia entra a pieno titolo in questo processo di ricerca che contraddistingue la modernità.
Il ciclo di fotografie che Fabio Savagnone ha realizzato sul tema Palermo dal basso rappresenta un’ipotesi chiara di spostamento. Le foto, a colori, sono state tutte scattate di notte, nel corso di ripetute passeggiate alla ricerca della propria città. Un percorso che ha compreso le strade e le piazze più frequentate, i mercati, i vicoli, i monumenti: proprio i luoghi in cui i palermitani ogni giorno, camminano, si fermano, guardano.
La differenza, però, è evidente. La notte, che modifica i paesaggi alterandone i colori, è vuota, priva di passanti, priva di sguardi. Così Fabio sceglie una condizione di partenza caratterizzata in qualche modo dall’assenza, e vi impone una presenza specifica: quella del proprio punto di vista. Fotografa tutto ciò che vuole ri–guardare, tutti i luoghi che intende riscoprire e lo fa al buio, lontano dalle manifestazioni di stupore che la sua azione susciterebbe nella gente indaffarata, in altri orari.
Compie il gesto dell’artista che s’impossessa del reale attraverso la propria esperienza che metterà in gioco, dopo, mediante un nuovo codice, una più profonda lettura. Questo è il valore, la forza delle immagini che oggi ci presenta: esse comunicano il senso dell’appropriazione dello spazio che ogni giorno ci sfugge, ci confonde mescolando segni diversi e celandosi all’intuizione.
Sono foto che indicano.
Suggeriscono di fermarsi e inducono a ricordare: ciascuno di noi, cittadino di questa stessa Palermo, ha già sicuramente scorto alcuni di quei luoghi, ha intravisto ripetute volte, senza dedicarvi attenzione, la medesima piazza, strada, scalinata. E ad ognuno sarà capitato di accorgersi, per caso, che l’immagine non vista di quell’angolo misterioso del paesaggio urbano si affaccia alla coscienza in ritardo rispetto all’esperienza. Cosa avviene, dunque, in prossimità della visione? Cosa accade quando ci troviamo nello spazio delimitato dai nostri sguardi? Sappiamo che ciò che ci sta di fronte è ciò che conosciamo, ma che ad ogni angolo della nostra visuale le cose esistono e ci guardano a loro volta. L’intero ciclo di fotografie di Palermo dal basso, possiede un potere molto forte, ci mostra lo sguardo delle cose, i residui del nostro passaggio.
Il fatto è che di fronte all’inquadratura di Fabio ci si sente spiazzati, non da fattori tecnici, certamente rintracciabili all’interno dell’opera, ma dall’impressione di trovarsi dinanzi ad una scoperta. Il percorso del fotografo per la città sconosciuta e oscura, mette in luce il bisogno di ogni cittadino di farsi osservatore critico, di abbassarsi anche solo per un istante allo stesso livello dell’asfalto calpestato, di inoltrare il proprio sguardo oltre o sotto il livello della propria visione. Non fuori, ma sotto, il margine della consuetudine.
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