Materiale urbano di scarto, sottratto alla combustione, salvato dal disfacimento, osservato in un angolo, per terra, avvicinato per curiosità. L’avvio del progetto consiste in un ritrovamento: l’artista attinge alle suggestioni che accompagnano la ricerca di oggetti abbandonati, detriti, testimonianze, residui.
É questo il percorso che lo conduce, di volta in volta, nel suo incontro con l’ inaspettata manifestazione di vite passate o presenti; da qui la molla che innesca il meccanismo dell’appropriazione ed il principio di un nuovo approccio fruitivo.
Così procedendo nasce anche quest’opera: dal momento in cui l’artista si imbatte per caso in una catasta di vecchie carte burocratiche, abbandonate, sfigurate e prossime all’oblio in un contesto quale i vecchi “Cantieri culturali” della Zisa, antichi capannoni industriali recuperati attraverso l’intervento di restauro, ma intrisi ancora di una atmosfera polverosa e sospesa. Qui questi materiali risultano come un’apparizione. Si tratta di libretti di lavoro, documenti di cui disfarsi, inutili, destinati al fuoco. Egli li raccoglie, consapevole del fascino che racchiudono e della valenza significativa di documento, se ne prende cura e decide di restituire loro la vita (o di donargliene un’altra) tramite il proprio intervento grafico e pittorico.
I libretti raccontano una storia che si presenta come un percorso attraverso le due forme principali in cui si articola l’intero progetto. Una, di carattere maggiormente visivo: i libretti aperti, disposti in forma di trittici o in fogli unici, si presentano come una vera e propria rappresentazione pittorica espressa sulla superficie; l’altra che rivela loro funzione originaria: i libretti, chiusi, possono essere manipolati, sfogliati, essere quindi oggetto non solo della vista ma anche del tatto dell’osservatore che può così vagare al loro interno facendosi artefice della propria visione, curiosando.
L’operazione del curiosare si presenta come un sentiero dentro l’opera ed è un’azione reiterata: svolta dall’artista la prima volta, quando nella sua osservazione partecipante ha inondato di colore e oro vitale e ardente un materiale che sapeva di morte e di oblio, illuminandolo; rinnovata oggi da chi osserva questi strani trittici cartacei o prosegue ed esplora il mondo dei libretti.
L’intera opera fa capo all’idea del raggiungimento di una dimensione ulteriore: operazione svolta dalla fantasia, agevolata e suggerita dalla sovrapposizione di immagini e livelli di significato interconnessi.
Ogni segno che si intreccia agli altri porta con sé una sua dimensione temporale, crea una nuova distanza, conduce più avanti il discorso, costringe i vecchi libri a sopravvivere un giorno di più, a parlare, a risvegliarsi sotto gli occhi vigili di chi può testimoniare. Gli occhi nelle foto che l’artista ha applicato alle pagine, gli occhi di chi osserva, di chi legge il nuovo racconto.
L’immagine che ne viene fuori è un gioco tra la pittura di un artista e la materia prima, già così densa di vita. Si tratta di reperti concreti ,di documenti, dell’ufficialità di vite dai nomi accuratamente registrati e catalogati, benché talvolta se ne perdano le tracce nella sbavatura dell’inchiostro in un timbro ormai illegibile.
Il libretto del lavoro non è un oggetto che distoglie la percezione dal piano della concreta esperienza: è, nella sua presenza, un elemento che sollecita la memoria nel momento in cui lo si riconosce come parte del proprio mondo, lo si mette a fuoco nel suo spessore storico e attuale, lasciandolo emergere dall’intrico di colori, simboli e forme in cui l’immaginazione lo ha avvolto per farne rappresentazione.
E’ un reperto che disorienta solo per la sua mancata collocazione, è stato recuperato, non conservato, l’opera d’arte investe di sé gli spazi e gli ambiti che non le sono propri e, allora, il reperto è realmente rappresentabile, deturpato. Non si trova in un museo, non viene mostrato vecchio e antico a testimoniare di una sua oggettività,né qualcuno ha tentato di restaurarlo per riportarlo alla condizione originaria: avviene il contrario, il mescolarsi dei segni e degli ambiti, e il reperto viene macchiato e trasfigurato da fiori, piume, oro.
Se trovo un oggetto mi appartiene , posso mutare il suo aspetto e donargli una nuova via per risalire alla luce e vivere ancora anche se in un corpo diverso.
L’oro che pervade queste immagini e ricopre i libretti è infatti un’apertura, l’insinuarsi della luce, tra gli spiragli aperti da un linguaggio artistico che supera la rappresentazione, è il passaggio consentito verso il fuori, verso una diversa dimensione.
Libretti di lavoro
I trittici misurano 17x38 cm circa, il foglio singolo è 12x17 cm, la tecnica utilizzata è quella del collage di carta, pellicola, piume e vernici. Il supporto cartaceo non è stato invecchiato dall’autore il cui intervento si è limitato alla sovrapposizione fantastica di un mondo immaginato e di una nuova anima ad un materiale risalente a quasi mezzo secolo fa e segnato dal tempo.
Fabrizio Ajello Vive e lavora a Firenze. Si è laureato presso l’Università di Palermo, facoltà di Lettere e Filosofia, con una tesi in storia dell’arte contemporanea. Negli anni ’90 comincia ad esporre e collaborare con artisti italiani ed esteri. La sua attività spazia dalle tecniche ad olio e inchiostro alla fotografia, al collage, alla calligrafia. Oggi è docente di lettere e coniuga l’insegnamento con la scelta di un’attività artistica costante e in evoluzione. Egli ha individuato nelle tematiche del confronto culturale, della ricerca sullo spazio come luogo da leggere e interpretare artisticamente, le linee guida del proprio fare: da qui l’incontro con la poesia ceca, da un lato e con le pratiche di condivisione dall’altro.
Il suo catalogo personale si intitola Dedalo, èd è stato realizzato da Lithos edizioni, in occasione della partecipazione alla rassegna d’arte contemporanea Textures, a Roma nel 2004.
Il progetto sui libretti di lavoro ha preso il via da una mostra personale svolta a Palermo nel 2001 e prosegue oggi con nuove acquisizioni di materiale cartaceo e ulteriori elaborazioni del tema.
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