“A Catania suona Olivia e l’indomani si và a Reggio… Sono preoccupato, non so se piacerà: un concerto difficile, lei è strana. Mi fai compagnia? E’ una tipa bellissima Marco!”…e come puoi dirgli no? In due ore sono li nel magico frantoio catanese con Super Carmelo, Berny Stanco e Olivia…mizzica! Aveva ragione…superlativa. E’ crisi: “altro che intervista, non sarò nemmeno capace di chiederle quanti anni ha”. Ma dopo un’ora scarsa di concerto cercare di farlo sarebbe diventato necessario. Vengono spente le luci, Olivia sbuca con una torcia accesa a cercare nel buio i quattro mangianastri portatili sparsi agli angoli della sala, li accende e scompare sul palco dietro la sua consolle. Buio! Una cascata di strani suoni elettronici investe il pubblico stranito; ricordano a tratti le cascate o forse l’acqua di un ruscello, poi dei fiati (ma sono fiati?) e poi c’è la giungla. Olivia suona anche un flauto ma il suono sembra innaturale, elettronico…Intanto i quattro registratorini da tre Euro l’uno fanno il resto, sfalsando il tempo e dando tridimensionalità al concerto: sto così bene che quasi mi addormento come non faccio da un pò!
Oggi Olivia Block vive a Chicago, IL. Il suo primo solo CD “Pure Gaze” è stato recensito dalla rivista Blow Up come uno dei migliori dischi del 1999 mentre il suo prossimo “Mobius Fuse” sarà realizzato nel 2001 sempre per la Sedimental Records.
OB: Campiono molti suoni quando non sono a casa. Preferisco i suoni della natura, degli oggetti reali soprattutto quelli che ricordano i suoni elettronici; a volte li modifico ma solo un pò perché mi piace lasciarli inalterati. In studio lavoro invece con suoni generati elettronicamente che suonano come naturali ma anche modifico elettronicamente gli strumenti acustici suonati da alcuni miei amici mentre eseguono dei pezzi che orchestro. Il quintetto è composto da trombone, clarinetto, piano, oboe e corno inglese. Infine sovrappongo tutto. I suoni “organici”, reali diventano freddi, astratti mentre gli “inorganici”, elettronici acquistano al contrario vita e calore. Tutto finisce per mescolarsi.
SA: Bé non sarà un lavoro facile…
OB: Per realizzare le mie composizioni impiego moltissimo tempo anche degli anni; non riesco davvero ad essere più veloce di così. In tanti mi chiedono dei remix ma devo sempre dire di no, non posso! Impiego molto tempo anche perché suonando da sola, sono praticamente l’unica a decidere se questo o quello vada bene o no; riascoltando in un altro momento, quando distaccata, posso decidere meglio se cestinare o meno.
SA: Ti senti una ricercatrice? Voglio dire: cerchi di dare dei nuovi linguaggi alla musica?
OB: Si, cerco questo. Oggi molta gente ci prova ma in pochi riescono. Oggi la musica va naturalmente verso l’elettronica ma se non prendi dal passato non funziona.
SA: E del tuo passato che ci racconti?
OB: E’ difficile! Da bambina adoravo Fantasia di Walt Disney, poi tutta la musica classica ma amo Strawinsky. A dieci anni David Bowie mi chiamava da una radiolina e comprai due suoi dischi, poi Brian Eno e a 20 anni la musica classica moderna come anche quella antica giapponese. Da giovane suonavo il piano, poi il basso ma ero imprigionata nelle strutture del pop così lasciai la mia band e cominciai a sperimentare con la tromba; ho così fondato un trio elettroacustico con cui suonavo musica improvvisata, gli Arial Straa (“Tunnels/Stairwell” Alluvial Records). Recentemente ho registrato con Jim O’Rourke e Jeb Bishop.
SA: In che scena musicale ti inquadri? Ti senti matura?
OB: La musica che suono ha della scena elettroacustica (John Cage), della concreta e di quella classica moderna…Matura? Forse lo sono adesso…sto cominciando a capire qualcosa! Ma è difficile perché sono l’unica donna a fare questo; ciò mi rende nervosa…vorrei potermi confrontare con altre donne.
SA: Dopo l’uscita del tuo solo CD di debutto “Pure Gaze” hai fatto lunghi tour oltre che in America anche in Europa e Giappone… Come mai suoni al buio, non ti piace suonare dal vivo?
OB: E’ stato bello girare parecchio ma in tour soffro un po’ perché non ho i musicisti accanto a me. E’ per questo che uso i registratorini in quel modo. Mi piace se suonano sfasati, sa di umano: li sparpaglio per la sala e gli faccio suonare quello che manca un po’ qua e là, come se i miei amici fossero presenti. In realtà non voglio relazionarmi con il pubblico in modo usuale, ecco perché preferisco il buio: secondo me guardando chi suona si perde la concentrazione sulla musica. Comunque io adoro quando il pubblico non ascolta il concerto, se è rumoroso e distratto…Mi piace, suona bene!
SA: Direi che il concerto ha avuto uno strano effetto sul pubblico stasera. Desideri che si provi qualcosa in particolare durante un tuo concerto? C’è un messaggio nella tua musica?
OB: Oh no…Non mi piace dire alla gente cosa dovrebbe provare con la mia musica; può anche non piacergli, va benissimo. Non c’è davvero nessun messaggio, voglio solo fare musica. Per la maggior parte dei casi il pubblico non ha l’abitudine a relazionarsi con il genere di musica che suono io ed è per questo che desidero davvero molto che, chi mi ascolta, provi questa esperienza. Riconosco che è inusuale come concerto ma voglio soltanto che la gente si riesca a connettere con se stessa, non è facile!
SA: Cavolo io stavo proprio per addormentarmi…mi sono rilassato molto!
OB: Vuol dire che ne hai bisogno…ma è anche ovvio, succede spesso: senza il ritmo di una batteria e un basso c’è più spazio ma, d’altro canto, si perde la canzone…
SA: Uao! A proposito di canzoni: qualche disco da consigliare a profani e non?
OB: Jim O’Rourke “Terminal Pharmacy”, Seth Nehil “Tracing the skins of clouds”, Microstoria (qualunque disco), Morton Feldman “For Samuel Beckett”, Parmegiani “La creation du Monde”, Gastr del sol “Harp factory on lake street”, Bernhard Gunter (qualunque disco)…
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