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Music - Musicians - Interview | by Emanuele Calì in Music - Musicians on 19/12/2011 - Comments (0)

 
 
 
Bologna Violenta

Uno scambio emotivo con una delle personalità più eclettiche e brillanti nel panorama “indie” italico (con collaborazioni che vanno da Il Teatro Degli Orrori a Non Voglio Che Clara, dai Ronin ai Baustelle, dagli Offlaga Disco Pax a Ligabue) nonché con il creatore e (quasi) unico colpevole del progetto Bologna Violenta, senza dubbio una delle più affermate e ricercate realtà del panorama musicale non influenzato dai soldoni delle major e da tutto ciò che comportano...

 
 

SA: Parlaci un po’ dell’evoluzione del progetto Bologna Violenta, dagli albori sino all’attuale affermazione nella scena nazionale.
BV: All’inizio Bologna Violenta rappresentava per me un modo per dire “sono ancora vivo”, almeno musicalmente, visto che ero in un periodo abbastanza incerto. La creazione del primo disco rappresentava un ritaglio di tempo dalla vita “normale”, un lusso che mi prendevo giorno per giorno. L’idea che si potesse portare dal vivo quei pezzi era pressoché infondata. In generale, era un progetto basato su me stesso e sulle mie forze. Tutto quello che usciva, partiva direttamente dalle mie mani.
A sei anni di distanza dalle prime note registrate, guardando indietro nel tempo, vedo moltissimi concerti, migliaia di dischi venduti (e regalati), autostrade, festival giganti e squat fatiscenti. In generale, tantissime soddisfazioni. Oggi Bologna Violenta è la mia vita, da quando mi sveglio la mattina fino a quando mi addormento, ma ora ci sono anche altre persone coinvolte. Di base, direi che ora c’è una progettualità che prima non c’era e la responsabilità è più grande, nei confronti di chi collabora con me, di chi mi segue, ma anche di me stesso.

SA: Quindi si può dire che la tua crescita personale viene riflessa in maniera immediata in questi progetto musicale, una crescita che viene affinata ed arricchita dalle tue numerosissime partecipazioni ad altri lavori musicali. A proposito di ciò, raccontacene qualcuna particolarmente proficua...
BV: È esattamente come dici tu. Il progetto si sviluppa accompagnando e seguendo la mia crescita personale oltre che “artistica”. Ovviamente la crescita di Bologna Violenta è influenzata dalle varie collaborazioni, visto che si vanno ad alternare alle registrazioni dei miei pezzi e ai miei tour. Difficile dire quali siano state le più proficue. Di sicuro, anche solo a livello di notorietà, i tour con Baustelle e Il Teatro Degli Orrori sono stati molto importanti. Non posso non ricordare i tour e i dischi con Alessandro Grazian e Non Voglio Che Clara, le colonne sonore con 4fioriperzoe, lavori che mi hanno insegnato moltissimo su cosa vuol dire fare il musicista in studio e dal vivo. Alla soglia del settantesimo lavoro in studio, fare una lista dei lavori in base alla proficuità mi risulta un po’ difficile. Ci sono dischi su cui ho lavorato che adoro, ma che in definitiva non si è cagato nessuno...

SA: Infatti, io intendevo più proficui per la tua crescita ed in relazione al tuo essere musicista, quindi secondo il tuo personalissimo giudizio. Anche perché spesso c’è una grandissima differenza tra i prodotti che danno più soddisfazioni emotive, e quelli che danno più soddisfazioni economiche... A proposito di ciò, che idea ti sei fatto negli anni dell’ascoltatore-medio italico (dalle orecchie più fini a quelle un po’ troppo “facili”)?
BV: L’idea che lentamente mi sono fatto è che l’ascoltatore medio ha bisogno di musica che lo incuriosisca, ma che gli dia anche delle “certezze”. Non so come dire, ci deve essere qualcosa di nuovo, ma anche qualcosa a cui il suo orecchio si possa aggrappare per non sentirsi perso nel fragore generale (nel caso della mia musica, ad esempio).
In generale, incontro gente che ha l’orecchio fino perché fa figo essere un indierocker, e gente che ascolta la musica per intrattenimento, e questa di sicuro è la più curiosa, perché non ascolta guardando se indossi i pantaloni alla moda mentre suoni.
Mi viene da dire che le orecchie “facili” siano di quelle persone che ascoltano quello che è alla moda, senza senso critico, che non ascolta seguendo il proprio orecchio, ma ciò che gli viene detto di fare. E non sto parlando solo di quelle persone che ascoltano i grandi network radiofonici o che guardano Mtv o simili.
Ovvio che questo mio ragionamento si basa sulle persone che incontro, quindi immagino che ci sia già una grande scrematura rispetto al vero “ascoltatore medio” che ha come riferimento la prima serata della tv.

SA: Con te non si può non approfondire questo argomento... in relazione soprattutto alla dicotomia underground - mainstream (e con mainstream non intendo semplicemente il mondo tv, i palchi enormi e i festival fighi con la superbirrasponsor, ma anche pagamenti e trattamenti semidignitosi per i musicisti) il cui difetto, a mio parere, (partendo dai gruppetti di giovincelli che vogliono subito diventare famosi senza avere un’idea di ciò che li aspetta) è di rimanere due pianeti totalmente separati che troppo raramente si sfiorano. Insomma, senza farti cadere le palle a terra, parlami della dicotomia underground - mainstream!
BV: Guarda, è stranissimo passare da un mondo all’altro. Penso che principalmente sia una questione di risorse. Se lavori per una major, ti puoi rendere conto che dietro a qualsiasi cosa c’è un investimento sostanzioso, ma soprattutto un calcolo ben preciso dietro ad ogni “prodotto”, che sia un disco o un concerto. Tutto si basa su logiche di mercato, quindi i dischi sono trattati semplicemente come oggetti da vendere. Se un disco può vendere si produce, altrimenti no. Tutto sommato è un ragionamento valido, alla fine sono poche le etichette underground che fanno “beneficenza” (e fortuna che ancora ce ne sono!), nessuno fa i dischi per non venderli... Però capisci che si parte da due livelli ben diversi: il mainstream ha avuto sempre grandi risorse da investire, quindi un disco sbagliato non mandava in fallimento nessuno. Per le etichette indipendenti è diverso, dal destino di un disco può dipendere anche quello dell’etichetta stessa. Ora le cose stanno cambiando, fortunatamente, le major non hanno più queste grosse cifre da investire e stanno ben attente a non fare mosse sbagliate. L’underground nel suo piccolo continua ad andare avanti, ci sono dei dischi che riescono ad “uscire” molto bene nonostante siano pubblicati da indipendenti. Ti dirò che al momento mi sembra più al passo coi tempi il mondo indie, che non quello mainstream. Tutta la musica in free download, fosse per le major, non esisterebbe, quindi dischi come il mio (come quelli di tanti altri) sarebbero arrivati a molte meno persone. Se penso alla questione dei concerti, qui le cose sono ancora diverse. In vita mia ho fatto un sacco di concerti gratis (alcuni praticamente li faccio ancora...), ho dormito ovunque, ho fatto viaggi di notte dopo i concerti, non ho mangiato per giorni, insomma... quelle cose che chiunque suoni, ha fatto. Se sei una band mainstream fai praticamente tutto solo se ci sono soldi e determinate garanzie, tutto sommato ci sono contratti che devono essere rispettati. Anch’io, provenendo dalla “zona povera”, quando capito in certi ambienti pretendo un certo tipo di trattamento, visto che sono tutti con la pancia piena e il macchinone da mantenere... eheh... Però alla fine penso sia solo una questione di atteggiamento. Con Bologna Violenta capito negli hotel dove sono passato con Baustelle o altri, quindi la differenza lì diventa davvero minima! In generale, mi sembra che più in alto si va e più venga meno la passione, quella che ti spinge a fare pazzie per quello che stai facendo, quindi dal mio punto di vista manca davvero molto. Se poi i giovincelli in cerca di successo hanno le carte in regola per arrivarci, buon per loro. Certo è che non è così facile e l’ambiente, lì in alto, non è dei migliori... tira una certa arietta a volte...

SA: E a proposito del tuo viaggetto a Londra (Bologna Violenta è reduce da una suonata al 93 Feet East nel cuore del bervismo londinese: Brick Lane), facciamo un bel testa a testa: Italia vs. Londra; arbitro: Nicola Manzan.
BV: Una data a Londra contro centinaia fatte in Italia non vale! È andata molto bene, comunque, c’erano molti inglesi, oltre ad una valanga di italiani. La situazione all’estero è molto diversa dalla nostra si sa, ma non ho suonato così tanto da poter fare dei paragoni netti. Diciamo che lì ci sono state un paio di beghe organizzative un po’ antipatiche, ma sono dipese da chi organizzava dall’Italia (tanto per cambiare...).

SA: Ok, mettiamola così allora: sulla base della tua esperienza cosa manca all’Italia per avvicinarci ad alcune delle più attive realtà europee?
BV: Difficile dire cosa manchi... cioè, forse ci sono troppe cose che mancano!!! Di base manca una cultura musicale che non si fermi ai tormentoni estivi o alle musiche delle pubblicità. Manca uno Stato che non mette i bastoni fra le ruote dei locali, insomma, ci vorrebbe meno Stato, forse. I locali sono super tassati, sono spesso costretti a ricorrere a tessere ed associazioni varie, il che non è un male, se permette di mantenere vivo un posto, ma questo significa altri soldi che la gente deve tirar fuori, magari per andare a vedere un concerto solamente, visto che tutti i locali hanno una tessera diversa... Manca di base l’idea che la musica è un’arte, un pezzo di cultura che può fare del bene alla crescita del paese. Ma tanto lo sappiamo benissimo che siamo governati da persone che della crescita, del nostro futuro, del futuro dell’Italia, non gliene frega assolutamente nulla.

SA: Beh di sicuro c’è qualcos’altro che gli frega di più, e non sono gli ideali di certo...
Il tuo primo, o “primordiale”, ricordo legato alla musica?

BV: Ho moltissimi ricordi legati alla musica, sin dalla più tenera età. Però ce n’è uno legato proprio alla prima infanzia che mi ha sempre accompagnato, che ritengo uno dei fondamentali nel far crescere la mia passione per la musica, ed è quello dell’organo suonato in chiesa durante le funzioni religiose.
Quando sentivo il mantice che si apriva era come sentire una specie di gigante che prendeva fiato prima di cantare. E sia che si trattasse di melodie dolci, sia che si trattasse di accordi imponenti, venivo comunque rapito da quei suoni che riempivano la chiesa e la mia testa.
Non a caso anche i due album di Bologna Violenta si chiudono con l’organo coi registri tutti aperti, in un doppio omaggio: alla mia infanzia, appunto, e a Bach, grande virtuoso, ma soprattutto grande compositore di musiche per organo.

SA: Ed invece il pensiero più “potente” riferito alla musica? Quello che ti fa più piacere evocare...
BV: Ogni tanto ho dei sentori di onnipotenza: ho degli strumenti “grandi” in mano (tipo una chitarra con trenta corde, per capirci) e il suono che esce è qualcosa di immenso, che annulla tutti gli altri sensi, ma che va a toccare i sentimenti più profondi.
Fare un accordo solo e far piangere migliaia di persone.

 


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Reg. Court of Palermo (Italy) n°21, 19.10.2001
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Bibliography, links, notes:

Pen: Emanuele Calì 

Link: http://www.myspace.com/nicolamanzan

 
 
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