SA: Presentati
NR: Ciao, sono Nicola Ratti, vivo a Milano, dove sono nato 31 anni fa. sono un musicista, suono solo, come Nicola Ratti, in gruppo con i Ronin e in duo con Giuseppe Ielasi come Bellows. Faccio anche l'architetto, non da solo, con amici.
SA: Chitarre... Quali sono le tue preferite? Amplificatori? Quali altri strumenti suoni?
NR: Posso dire di amare la chitarra che uso di più, una Gibson ES 135 e come ampli assolutamente Fender, ora ho un Deluxe Reverb '65. Sono attratto da tutto ciò che produca suono, ultimamente mi sono affacciato nel mondo dei sintetizzatori modulari, sui giradischi modificati e organi/farfise. Se avessi più soldi sarei rovinato, e dovrei scegliermi una casa più grande.
SA: Qual è stato il tuo primo approccio con la musica? Quali sono state le tue influenze?
NR: Il mio primo approccio è stato quasi scolastico, i miei mi hanno mandato a studiare pianoforte quando andavo alle elementari, dopo qualche anno in casa mia è apparsa una chitarra classica e allora stop allo studio e al solfeggio, nel giro di pochi mesi l'avevo ricoperta di adesivi di gruppi e lo spirito di emulazione di quest'ultimi ha fatto il resto... Immagina i Metallica suonati su di una chitarra classica marcia da un ragazzino delle medie... Sebbene fossero stati i miei a spingermi alla musica, all'interno della mia famiglia non ne è mai circolata molta, Battisti a parte (odiato per il resto della mia adolescenza ma ora molto amato). Quindi le influenze sono arrivate tutte da fuori, amici, persone incontrate, consigli, cassette e così via. Ci sono alcuni personaggi che sono stati molto influenti e ai quali devo qualcosa, però la considero una questione privata.
SA: Vuoi parlarci della tematica delle parole nelle tue canzoni?
NR: Ultimamente mi è molto difficile parlare di questa cosa, in qualche modo mi provoca una certa sofferenza. La presenza delle parole e della mia voce all'interno dei mie ultimi lavori è diminuita molto, e in quello che sto facendo ora non ci sono neanche più brani che possano essere considerati canzoni. Ma forse sono arrivato alla fine di un percorso ed è venuto il momento di intraprenderne uno nuovo che attinga direttamente dal mio passato. Comunque ho dato sempre molta importanza alle parole, ho sempre cercato di raccontare immagini più che storie, preferendo l'intensità di una frase alla musicalità di una strofa o rima o quel che vuoi. Certo questa cosa a discapito della fluidità, non sono capace di scrivere una canzone comunemente intesa come tale.
SA: Perché non ci parli dei tuoi studi Universitari in Architettura?
NR: Non c'è molto da dire a riguardo. Toglietevi dalla testa l'immagine dell'architetto estroso e pieno di soldi. È un lavoro, un mestiere in cui una quota di creatività, sensibilità e cultura aiuta ma non ti salva la vita. Per me è un bel lavoro comunque. Condivido fatica e gioia del mestiere con altre 3 persone, il che mi aiuta ad organizzarmi meglio e cercare un'attitudine più professionale sia nell'uno che nell'altro campo. L'affitto è pagato da musica e architettura... a fatica.
SA: Dove ti collochi nella scena artistica contemporanea?
NR: Non so rispondere a questa domanda in un modo preciso perché non ho una visione definita di me tra gli altri. Suono in ambiti molto differenti tra loro e considero questa una fortuna, allo stesso tempo però non mi permette di mettermi a fuoco e vivo questa cosa con un po' di confusione, anche personale. Ma ci sto lavorando...
SA: Arriviamo a parlare delle tue ricerche sui suoni... vuoi spiegarci meglio?
NR: Inizialmente ho cercato di muovermi all'interno della ricerca sonora legata ai temi che già conoscevo come città, territorio etc. e qualcosa ho fatto: sonorizzazioni di mostre, piccole installazioni, lavori sul suono ambientale. Ma ultimamente sono molto più attratto dal suono in sé, che in fondo è il primo amore, e quindi sto iniziando a lavorare ad installazioni sonore relativamente pure da temi non inerenti al suono in sé, e sto ritrovando in queste idee la stessa passione che mi spinse anni fa a registrare i miei primi lavori solisti.
SA: Diversi album e collaborazioni... Diverse etichette... Ci vuoi parlare dei tuoi amici in quest'ambito?
NR: Considero una fortuna avere avuto la possibilità di pubblicare i miei lavori con etichette di diverse "scene" e nazioni. Questo mi ha permesso di venire a contatto con persone che ritengo importanti non solo musicalmente ma anche umanamente; penso a Mark Templeton, Morgan Packard ed Ezekiel Honig di Anticipate Rec. con i quali ho vissuto momenti molto belli e condiviso musiche in qualche modo distanti dalla mia maniera, Oliver Mann di Preservation, e tutti gli italiani con i quali ancora condivido il palco come Chet Martino e tutti i Ronin, Giuseppe Ielasi e ultimamente Attila Faravelli con il quale ho registrato un album molto bello in uscita a breve.
SA: Che importanza ha l'improvvisazione nella tua ricerca?
NR: Il termine improvvisazione è parecchio abusato nella musica generalmente intesa come sperimentale, però è senza dubbio una parte fondante della stessa. Per quanto mi riguarda uso l'improvvisazione esattamente come uso la composizione più canonica. Il disco con Attila a cui ho accennato precedentemente è costituito interamente da una session di improvvisazione, senza apportare alcuna modifica o aggiunta in fase di editing.
SA: Tu ed il tuo pubblico... Tu in tour.
NR: Non sono certo un animale da palco, considero in qualche modo l'esibizione live come una forzatura del mio essere musicista, però è necessaria, fa parte anch'essa del lavoro. C'è moltissima differenza nel suonare solo o in gruppo, nel primo caso si tende all'isolazionismo e nel secondo alla condivisione. Cerco comunque in entrambi i casi di trasmettere intensità a chi ascolta e a mostragli un po' di cuore. I tour veri li faccio solo con i Ronin, sono gioie e dolori.
SA: C'è una particolare etichetta che vorresti citare in questa occasione?
NR: Potrei citare quelle con cui ho avuto a che fare, ma approfitterei per elogiare le decine di etichette piccole con le quali oggi ha molto più senso pubblicare dei dischi rispetto ad etichette più blasonate con le quali i lavori perdono di personalità e cura. Meglio 150 copie ben confezionate capillarmente distribuite piuttosto che 2000 cd su tutte le riviste ma in nessun lettore cd.
SA: Puoi suggerirci qualche album o musicista che ci permetta di approcciarci meglio ai tuoi lavori?
NR: Beh, le influenze sono moltissime, troppe per cercare di essere esaustivo con una risposta... diciamo che si va da Carl Craig ai Talk Talk.
SA: Parlami della tua ultima produzione, nata dalla collaborazione con Attila Faravelli, "Lieu".
NR: Attila mi chiese di collaborare per le musiche di un film ("Vedozero" di Andrea Caccia), ci trovammo per registrare delle improvvisazioni che fossero però, come da richiesta, molto musicali. "Lieu" è nato da quelle registrazioni, selezionando del materiale non usato per il film e fatto mixare successivamente da Giuseppe Ielasi, con il quale abbiamo mantenuto l'anima "live" delle registrazioni anche nei brani finiti su disco. Poca post produzione ed editing, molta improvvisazione. È una collaborazione destinata a lunga vita, stiamo pensando a come registrare un nuovo lavoro, dico come perché un aspetto caratteristico di questo duo è sicuramente un approccio interessato alla manipolazione della fonte sonora ma anche del suo mezzo di diffusione, speakers, ampli e così via.
SA: Parlami, più a ruota libera possibile, dei Bellows e dei Ronin, ovvero Nicola Ratti in un contesto di incontro e di condivisione.
NR: FaravelliRatti, Bellows e Ronin rappresentano per me una parte fondamentale del mio essere musicista. Sempre di più considero le collaborazioni (ovviamente fruttuose come queste) step di una crescita individuale che si alimenta di diversi stimoli ed esempi. Infatti ho tre approcci completamente differenti nei tre gruppi sopra citati, ma alla fine nella mia musica (solo) si può sentire l'influenza diretta di ognuna di loro. Ogni collaborazione poi è una relazione umana, sono persone (soprattutto i Ronin) con i quali ho condiviso gioie e dolori, se non esistesse un aspetto umano nella condivisione della musica e del suonare non farei nulla di tutto ciò.
SA: Mi piacerebbe sapere qualcosa sul luogo in cui vivi... In generale...
NR: Milano... che dire, è un buon posto per vivere se vuoi lavorare e poco altro, tutto il resto te lo devi creare e cercare, ma contrariamente a quel che si dice se cerchi bene trovi ancora qualcosa per la quale valga la pena fermarsi ancora un po'. Anche se trovo l'italiano medio insopportabile e distruttivo, non sopporto la gente che si lamenta del posto in cui vive ma ci rimane, quindi passo oltre.
SA: Cosa pensi, in generale, della scena musicale attuale?
NR: Molti musicisti italiani sono conosciuti e stimati in casa e fuori, credo che questa sia già di per sé una conferma di come in questo paese si riproduca una buona musica. Esistono diverse scene e posso dire che spesso l'unica cosa che le accomuna sono pochi soldi e solidarietà fraterna.
SA: Cosa pensi, in generale, della scena sociale attuale?
NR: Qualcosa sta cambiando credo, ma di certo il cambiamento non lo conosciamo e non sarà simile al passato. La crisi sta nella struttura e non si combatte con paradigmi vecchi di decenni. Non voglio più una destra o una sinistra, né simboli o slogan o lotte di classe, vorrei una società libera da tutto ciò, serena e una cultura risplendente. Mi sembra un miraggio se guardo all'oggi, però almeno nei sogni cerchiamo di non essere dei perdenti.
SA: Chi individui come maggiori responsabili della attuale decandenza culturale e dei costumi?
NR: Assolutamente noi italiani! Con mani pulite siamo riusciti a spazzare via una classe politica ma non una classe imprenditoriale che le stava dietro e che ne ha poi sfruttato la rovina. Credo che quello che ne è derivato, cioè la nascita di una "nuova" classe politica, sia rappresentativo del fatto che in Italia la decadenza deriva direttamente dall'incapacità di leggere o creare un'idea di società, che come è evidente non è più divisa tra fascisti e comunisti, e dalla conseguente tendenza italiana di fare solo il proprio interesse. Comunque, ritornando agli italiani, vorrei ricordare una cosa detta in una delle ultime interviste del regista Mario Monicelli: "Gli italiani hanno bisogno di qualcuno che gli dica come fare e cosa fare perché da soli non hanno voglia ma poi quando si sono stufati lo prendono, tutti insieme, e lo appendono a testa all'ingiù...".
SA: Vorresti dire qualcosa in particolare o parlare di qualcosa che ami ai lettori di SuccoAcido?
NR: Se dovessero decifrare un DNA della musica italiana indipendente SuccoAcido sarebbe uno di quei fili che nei disegni tengono attaccate tutte le palline.
SA: Vuoi parlare di come cucinare alcuni dei tuoi piatti preferiti?
NR: Certamente improvvisando!