“in doma mi è venuto alla mente in un pomeriggio di bicicletta forsennata, una di quelle volte in cui il pedalare, l’ingoiare asfalto, trasforma lo sfogo fisico in pensiero. Pensavo alla fatica di essere da soli in questo percorso così in salita. Ho pensato che in doma rendeva bene l’essere indomabile, ovvero rendere una virtù la caparbietà di chi lavora sodo senza aiuti, nella propria casa. Come farsi un vestito a maglia, da soli, con i bigodini della casalinga, e la tenacia della passione.”
SA: Ascoltando in doma, si ha sin da subito l’impressione di trovarsi immersi dentro a una gran bella personalità artistico/musicale. C’è molto della tradizione vocale melodica italiana, ma è chiaro che si va oltre, con soluzioni sicuramente poco accademiche. Raccontaci la tua evoluzione stilistica.
P: Inizia tutto da una mamma canterina (cioè che canta sempre, e inventa ciò che canta) e da una stufa a specchio... che aveva un cassetto da cui sporgeva una lamina di metallo, su cui muovevo le piccole dita...
Poi sono arrivati i balletti preparati con mia sorella su Rock and Roll dei Led Zeppelin e le canzoni inventate sulle scale per scongiurare la paura del buio...
Poi le prime lezioni di pianoforte, odiatissime, con un vestitino ricamato a ciliegie...
E via via, Chopin, Beethoven, Bartòk, e poi la musica del 900 e il jazz... fino a che ho cominciato a parlare di testa mia, ad esprimermi con i mezzi che mi sono stati dati: le parole, la voce, il piano.
Ma il piano non basta, per comporre la musica.
E così ora è iniziata una nuova avventura, quella di comporre per altri strumenti e di cercare sonorità diverse.
La base di in doma è il trio voce/pianoforte/tastiera, basso e batteria, anche se ci sono altri interventi.
Il nuovo disco invece sarà un’esplorazione al di là di quella stufa a specchio...
SA: Personalmente sarò curiosissimo di ascoltare l’ultimo lavoro, perché credo possa essere l’esplosione di un grande potenziale. Dopo l’esordio discografico quali porte si sono aperte? Cosa ti ha più colpito? Raccontaci qualche impressione nata da questa esperienza...
P: Il nuovo disco è in lavorazione, e si prospetta molto più laborioso del primo...
Ci saranno strumenti a fiato (praticamente tutti: flauto, oboe, clarinetto, fagotto, tromba, basso tuba, sax alto e baritono...), un violino e un violoncello (Nicola Manzan in un pezzo), tanti batteristi (fra cui Mike Sarin), due diversi bassisti, due chitarristi, di cui uno è una sorpresa... e ci sarà anche elettronica.
Dopo in doma, e dopo il successo che ha avuto (una rassegna stampa che è andata avanti per 19 mesi... dal momento che l’ultima recensione, da AllAboutJazz in America, è uscita il 31 dicembre 2010).
Ciò che mi ha colpito è che, dopo tutto questo interessamento (non ultimo quello di David Byrne) non si sia fatta avanti né un’etichetta né un’agenzia...
Sarà un segno dei tempi?
SA: La tua variegata, multisfaccettata e cangiante vocalità è certamente uno dei tuoi punti di forza, unito al fatto che i tasti del piano sembrano la naturale continuazione delle tue dita. Mi sarebbe piaciuto che la tua voce si sporcasse un po’ di più. Ovviamente è solo un punto di vista. Sai spiegare il perché di questo rapporto giocoso con la musica?
P: La voce è un po’ uno strumento magico per me, che cambia col tempo, con le esperienze, con l’umore.
Può essere fragile e forte al tempo stesso.
Di sicuro dal vivo è molto diversa che in registrazione, più diretta e viscerale.
Molte persone riscontrano una differenza fra il mio disco e il mio live, preferendo quest’ultimo (e meno male!).
Comunque il rapporto con la voce è una crescita continua, non di tecnica, ma di consapevolezza.
Così come quello con la musica.
Ci mettiamo alla prova reciprocamente.
Un gioco se vuoi, certo, ma di cui non potrei mai fare a meno.
Un gioco in cui però la posta è tutta la mia esistenza...
SA: Un’altra caratteristica peculiare è il rapporto vocalità-testo. Sembri un’impressionista. Lo sei anche nella composizione o preferisci qualcosa di più studiato?
P: Bell’osservazione!
Impressionista.
Molti mi dicono che uso le immagini per esprimermi, è questo che volevi dire anche tu?
Ma non lo faccio consapevolmente, come se esercitassi un artificio studiato.
Probabilmente mi viene da una madre molto fantasiosa, che ha sempre inventato le storie che raccontava, che mi ha fatto osservare per ore la natura e mi ha insegnato ad usare l’immaginazione, fin da piccolissima.
Nella composizione vado proprio ad istinto.
È come se la melodia mi si dipanasse nel cervello, e io dovessi sforzarmi a captare le note che mi vengono trasmesse, senza errori!
Lo stesso avviene quando compongo per altri strumenti.
Spesso le indicazioni mi arrivano di notte, prima di addormentarmi, in forma di “immagini sonore”.
SA: Il tuo rapporto con il mondo...con le diverse culture dell’umana razza. Cosa ti affascina di più? Cosa credi di conoscere ancora troppo poco?
P: Adoro conoscere.
Sento sempre una specie di frattura fra la vita che si impone al musicista, quella di stare in casa a scrivere e suonare, e la vita dell’esploratore, quale mi sento in fondo.
Mi piace stare ad ascoltare ciò che raccontano persone che vivono in mondi diversi dal mio (e non solo geograficamente), mi piace osservare la gente per strada, guardare i loro volti e i loro gesti.
Ne sono completamente stregata.
È come se il mio io, così infinitamente piccolo, avesse fame di conoscenza.
Parlo anche di musica, letteratura, arte, storia, cinema, psicologia.
Insomma, mi interessa tutto ciò che riguarda da vicino l’uomo.
E vorrei avere tempo per conoscerne di più.
SA: Debora Petrina e l’Italia. Cosa pensi della situazione sociale - culturale del nostro paese?
P: Viviamo in un’epoca di profonde insicurezze, mancanza di riferimenti culturali, mancanza di modelli umani positivi.
Tutte le manifestazioni dell’umano sapere, dalla politica alla televisione al mondo della musica e della scuola, sono informati dall’appiattimento culturale che determina questi nostri giorni, nel nostro Paese.
Non è solo un fattore economico, la famosa “crisi”.
La crisi è in atto da trent’anni, in particolare con l’avvento di certi poteri in Italia, che hanno ucciso la capacità di pensare e i mezzi per farlo, attraverso i mass-media, prima di tutto.
Il risultato è un popolo incapace di giudicare, attento solo al proprio benessere di singolo, completamente indifferente ai temi che più lo riguardano (la vita, ovvero il senso della vita, la natura, gli altri).
Quello stesso popolo che non va ai concerti per rimanere in casa a guardare la tv, e che compra i prodotti che solo la tv lo obbliga a consumare, musica compresa.
Un popolo succube, privo di libertà.
Ce n’è anche un altro, completamente all’opposto, di cui faccio parte.
Ed è a questa differente umanità che mi stringo, per continuare a difendere i miei diritti di artista (come di insegnante, o di operaio, o altro).
SA: Qual è stata la più grande soddisfazione di Petrina (Artista)?
P: Vedere i miei brani pubblicati nelle playlist di David Byrne, non una ma ben tre volte!
Già, perché in tutta quella sfilza di artisti io ero davvero il pesce fuor d’acqua (come nella mia canzone...), senza etichetta, senza management, senza supporti promozionali insomma.
La soddisfazione non è solamente l’orgoglio personale, ma anche quella di poter avere uno scambio “alla pari” con un grande artista, al di là dei meccanismi perversi che dominano il mondo della musica.
SA: Perché in doma?
P: in doma mi è venuto alla mente in un pomeriggio di bicicletta forsennata, una di quelle volte in cui il pedalare, l’ingoiare asfalto (e qui mi auto-cito... è un verso di una canzone del prossimo disco), trasforma lo sfogo fisico in pensiero.
Pensavo alla fatica di essere da soli in questo percorso così in salita.
Soli a comporre e arrangiare, nella propria casa, soli a produrre questo manufatto, dalle foto (sempre in casa), alla grafica, all’auto-promozione.
Spesso prevale la rabbia, lo sconforto, la consapevolezza di quanta ignoranza circola nel mondo della musica, e nel pubblico che ne usufruisce.
L’ignoranza che chiama compositore chi magari non sa nemmeno suonarsi una nota da solo, e dunque crearsi una canzone.
E l’ignoranza di chi non sa che cosa sta spesso dietro al successo, ovvero gli uffici stampa, il battage pubblicitario, tutte cose che nulla hanno a che vedere col talento, e il lavoro dell’artista.
Il mondo della musica è affollato di artisti bravissimi e sconosciuti, e di artisti mediocri super lanciati nella carriera.
Questa non è una novità, certo, ma spesso il pubblico si confonde, e crede a ciò che qualcun altro vuol fargli credere.
Ho pensato che in doma rendeva bene l’essere indomabile (c’è pure un richiamo a La Bisbetica Domata nella ghost track del disco) in tal senso, ovvero rendere una virtù la caparbietà di chi lavora sodo senza aiuti, nella propria casa.
Come farsi un vestito a maglia, da soli, con i bigodini della casalinga, e la tenacia della passione.
SA: A quali prodotti artistici ti senti più legata?
P: Nella mia testa c’è un affollamento di suoni, immagini e parole che mi hanno colpito...
A seconda del momento me ne vengono in mente alcune o altre.
In questo momento penso alla prima volta che vidi i quadri di Pollock, e pensai che era proprio quello che vedevo sul muro del bagno di casa mia, da bambina.
Ovvero quella stessa sensazione di perdersi a fissare dei ghirigori e a leggerci forme e storie.
Mi sento molto legata ai sogni, se si possono definire “prodotti artistici”.
Li facciamo noi, certo, ma pescano da un immaginario che è molto più grande, come se ci venissero recapitati da un altro luogo di osservazione...
SA: Credo che la principale peculiarità di un’opera d’arte sia la sincerità, da questo punto di vista l’inconscio è il più grande artista del mondo… Continuerai ad autoprodurti? Sei scettica sul fatto che nessuna etichetta si sia fatta avanti? Probabilmente uno dei motivi è che sei un artista poco catalogabile...
P: Spero di no! Non ne avrei le forze.
L’ho fatto per il primo disco, ma non potrei continuare a farlo.
Prodursi significa investire denaro e tempo.
Denaro che deve derivare da un altro lavoro, se non si hanno eredità!
Questo significa che chi si autoproduce fa l’artista nel tempo libero, con le limitazioni del caso...
Il problema è più ampio di quanto non presupponga la domanda: si è assistito negli ultimi anni a un progressivo livellamento verso il basso dei cachet dei concerti.
In tal modo la differenza fra una band amatoriale che suona solo la sera, per hobby, e l’artista che dedica la vita intera alla musica, è annullata, anzi, se si tratta di una cover band i cachet sono molto più alti.
Davanti al gestore avranno la stessa competenza, la stessa capacità di raccogliere pubblico e vendere birre.
Paradossalmente la band amatoriale avrà più possibilità di produrre album, pubblicità, carriera, avendo un lavoro differente dalla musica a cui attingere.
La stessa legge del profitto domina anche il mercato discografico, che è comunque in grave crisi.
Suggerisco di leggere un illuminante articolo di David Byrne a tal proposito, Strategie di sopravvivenza per artisti emergenti.
Proprio ieri parlavo con uno dei maggiori produttori internazionali di musica pop, e mi ha colpito questa sua frase: “la mia specialità è quella di trovare un pirla che magari significa poco e portarlo al successo”.
Questa è la legge, ma ci sono le eccezioni...
Un artista e il suo prodotto, nell’insieme, nel momento in cui è catalogabile non è più tale... Bowie era catalogabile? Miles Davis? Carmelo Bene? Il catalogabile è la rappresentazione dell’ovvio... che agli “itagliani” piace sempre di più. Oggi le case discografiche, per quanto riguarda le majors, sono interessate a fare televisione. Io mi sento un’artista che non scende a compromessi, faccio quello che mi piace. Una volta si adattava il sistema all’artista, oggi viceversa, è l’artista che deve adattarsi al sistema, il tutto per mantenere una serie di stipendiati.
SA: Credo che hai proprio centrato il punto: la maggior parte dei club sceglie i musicisti in base a quanto alcool tracannano i clienti... anche questo secondo me è un segno dei tempi, provo a mettermi un attimino dalla loro parte per capire alcuni processi: essendoci pochissima curiosità i gestori devono inventarsene di tutti i colori (anche se si arriva ad esagerazioni paradossali), ma poi alla fine con il circuito underground non si guadagna mai veramente, ed allora si fa serata disco o si vanno ad ascoltare i grandi e pubblicizzatissimi artisti che pochissimo hanno da dire sul nostro tempo, e lo fanno pure male. Questo mi fa assolutamente pensare al fatto che la visione monicelliana dell’italiano sia assolutamente azzeccata, ovvero non ci preoccupiamo di pensare più di tanto, (anzi secondo me cerchiamo proprio di non farlo in tutti i modi per non deprimerci) ci lasciamo guidare dal primo che si fa avanti e appena ci stanchiamo lo appendiamo a testa in giù. Questo me lo disse Nicola Ratti in una recente intervista ed io condivido in pieno...
SA: Cosa racconteremo di questo inizio di terzo millennio? Le foto a 200 megapixel? Gli effetti speciali in 3d? In un’epoca così votata all’apparenza e all’inseguimento di poppe e culi colossali quale può essere secondo te l’ancora di salvezza?
P: La salvezza siamo noi, quei “noi” che cercano altro.
Credo nel potere della controinformazione, possibile soprattutto grazie ad internet.
Credo nel potere dell’aggregazione, con altri, anche di altre culture, popoli, paesi, che come noi cercano di dare un senso alla vita nostra e di chi ci seguirà... (anche se, come disse Alda Merini, la vita un senso non ce l’ha).
SA: In ogni caso potrai dire di aver fatto tutto questo da sola... io credo che sia molto importante come si arriva a certi traguardi, soprattutto per se stessi, e inoltre così come potresti non continuare per mancanza di fondi, potrebbe essere una fortissima base per una carriera che duri più degli standard di 2-3 cd attuali.
P: Questo è un meraviglioso augurio!
Cercherò di essere sempre all’altezza!
SA: Chiudiamo allora con i più sinceri auguri da parte di SuccoAcido... c’è qualcuno che desideri salutare/ringraziare?
P: Saluto e ringrazio tutti coloro che stanno rendendo possibile l’enorme lavoro che il prossimo album sta richiedendo, dai musicisti a chi mi presta spazi per registrare eccetera eccetera. È la dimostrazione che se si creano sinergie virtuose fra artisti, dal basso per così dire, si può dar vita alle idee.
SA: Un saluto ai lettori di SuccoAcido?
P: Che possano tenere sempre occhi ed orecchie aperte, e non solo alla musica!
Grazie SuccoAcido!
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Please be patience.
It will be available as soon as possibile, thanks.
De Dieux /\ SuccoAcido