“Learning Machines. Art Education and Alternative Production of Knowledge”
Partendo dallo studio dei movimenti studenteschi sorti negli anni '60, per volere dei quali organizzazioni autonome autogestite da studenti avevano sostituito il sistema educativo scolastico gerarchizzato ed istituzionalizzato, e dall'analisi della critica di massa che in quegli anni mise in crisi l'intera organizzazione della società, la mostra si concentra sul concetto di “produzione autonoma di sapere” e di “educazione finalizzata al controllo della coscienza sociale”.
In occasione del suo trentesimo anno la NABA, nuova accademia di belle arti a Milano, ha offerto una mostra intitolata Learning Machines. Art Education and Alternative Production of Knowledge curata da Marco Scotini in collaborazione con Alessandro Guerriero. Il progetto è nato dall'intenzione di analizzare, sotto un punto di vista critico/artistico, il rapporto che dagli anni '60 ad oggi si è instaurato tra arte ed educazione e tra istituzione e comunicazione tramite pratiche artistiche.
Partendo dallo studio dei movimenti studenteschi sorti negli anni '60, per volere dei quali organizzazioni autonome autogestite da studenti avevano sostituito il sistema educativo scolastico gerarchizzato ed istituzionalizzato, e dall'analisi della critica di massa che in quegli anni mise in crisi l'intera organizzazione della società la mostra si concentra sul concetto di “produzione autonoma di sapere” e di “educazione finalizzata al controllo della coscienza sociale”. Essa invita lo spettatore ad interrogarsi sul ruolo dell'arte come mezzo educativo e strumento alternativo per trasmettere il sapere. Ruolo assunto a partire dalle rivendicazioni relative all’ordinamento degli studi, i programmi, i metodi d’insegnamento e la gestione della scuola, che dal '68 ad oggi costituiscono questioni problematiche di categoria, e più in generale della società.
Cinquanta gli artisti che partecipano, tutti personaggi internazionali che con la loro arte hanno in qualche modo segnato la storia del loro settore di appartenenza. Nell'insieme si tratta di una raccolta documentaristica di materiale d’archivio, manifesti, stampe fotografiche, pubblicazioni e riviste, oltre che a video, installazioni, opere d’arte e performance con cui lo spettatore si relaziona attraverso un percorso espositivo che include produzioni e pratiche storiche ed attuali. La mostra ripercorre le esperienze della scuola Bauhaus, del college di Black Mountain, dell’Accademia di Dusseldorf, dell'università Free International, le contestazioni del ‘68 e le più recenti attività di Tim Rollins e K.O.S., Stephen Willats, 16 Beaver Group e Future Academy. Tra gli spazi tematici troviamo anche una ’68 Machine, una installazione video che propone una selezione di lavori di Godard, Marker, Weizman ed una Reading Machine, progettata dal designer Alessandro Guerriero come biblioteca temporanea.
Nella prima sezione del percorso espositivo troviamo un'analisi dell'età scolare, col suo sistema, e modelli didattici, e con la progettazione e costruzione degli edifici. Qui i video di Basil Wright e Darcy Lange, una installazione a cupola geodetica per Fuller, una maquettes di un progetto architettonico degli Smithson, Francesco Jodice con raccolte fotografiche di Ritratti di Classe, poi gli Eams, Cedric Price e lavori più recenti di Luca Frei (Cubitus), Paola di Bello (Bildung).
Il percorso poi prende forma in una parte più focalizzata sulla figura dello studente all'interno di lotte politiche e contestazioni studentesche che ebbero un ruolo decisivo prevalentemente nelle università. Qui si presentano in successione materiali relativi all’Internazionale Situazionista, la rivista Provos e Atelier Populaire, e un lavoro di Maciunas, da cui proviene il titolo.
Infine alcuni esempi di descolarizzazione che hanno originato nuove forme di produzione di apprendimento e di sperimentazione. Si parte dunque da Joseph Beuys per poi passare a Stephen Willats, Eyal Sivan, Rainer Ganahl, Erick Beltran , Nomedas e Gediminas Urbonas, Jacob Jacobsen e la Free University di Copenaghen, Huit Facettes, la rivista Chimurenga, Contrafilè ed infine le pubblicazioni dell’Erba Voglio e 150 ore.
Il prodotto finale è un'ingente raccolta di opere e pubblicazioni curata da Marco Scotini col fine primo di interrogarsi sul valore e potere dell'arte all'interno di un processo educativo, e sulla capacità di quest'ultima di fungere da strumento pedagogico nel sistema scolastico attuale una volta spento il fuoco del movimento sociale e dell’ideologia modernista. Un'indagine sulle conseguenze della privatizzazione, appropriazione e mercificazione della conoscenza odierne, che il curatore svolge con l'intenzione di esaminare l'evoluzione storica del legame tra arte, design e pedagogia al di fuori di contesti istituzionali, mettendo in rilievo la conseguente precarietà di accesso all’istruzione con cui oggi lo studente deve continuare a lottare o deve riuscire a deviare.
Da spettatore potrei dire che, di primo impatto, l'intento guida sembra voler riportare in vita la la principale funzione dell'arte che, in passato, era considerata area privilegiata di contatto grazie alla quale, per usare un'espressione di J. S. Bruner, lo spettatore compie un proprio percorso di educazione all'educabilità.
(Bruner J. S., Saper fare, saper pensare, saper dire. Le prime abilità del bambino)
Con ciò intendo descrivere una percepita volontà di ritorno alla concezione di spazi d'arte che siano effettivamente luoghi in cui gli oggetti esposti, talvolta oscuri o inattesi, si trasformano in documenti storici che permettono di descrivere il passato e il presente del nostro e di altri mondi e di altri tempi. E' qui che, tramite una serie di riflessioni sulla struttura sociale, sui documenti e sulle pubblicazioni, sulle abitudini e sui comportamenti il curatore è stato capace di restituire al pubblico l'essenza delle opere d'arte come fenomeni soggetti agli aggiustamenti della storia nella quale si inseriscono e soprattutto come mezzi educativi, di trasmissione del sapere.
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