Until June 13 the exhibition offers a reflexion about American culture and iconography, which dazzling aspects are discreetly denied in Hopper’s paintings in favor of a suspended description of the most introspective implications of daily American life.
After the first stage in Milan, the big exhibition dedicated to the master of Realism made in USA headed to Rome; until June 13 Fondazione Roma Museo will host a selection of 160 artworks of Edward Hopper, one of the most popular artists of the 19th century. Curated by Carter Foster, conservator of the Whitney Museum, with the scientific coordination of Carol Troyen, the exhibition presents a group of works from the most important American museums, as Whitney Museum of American Art, Brooklyn Museum of Art, Terra Foundation and Columbus Museum of Art. Over a tribute to an artist who has already become part of art history, the exhibition offers a reflexion about American culture and iconography, which dazzling aspects are discreetly denied in Hopper’s paintings in favor of a suspended description of the most introspective implications of daily American life.
Born in 1882 in a small town in the state of New Tork, thus accustomed to the habits of provincial life far from the big city lights, the artist makes three trips to Europe between 1906 and 1910, where the disruptive action of the Artistic Avant – Gardes was at its beginning. Totally indifferent to new artistic movements that would alternate until his death in 1967, Hopper shows since his first paintings a strong fascination for Impressionism, especially for the particular style of Degas. From the painter of dancers the artist borrows the interest for the representation of indoor spaces and for the research of unusual points of view, similar to the cutting of photographic phrames. Not only next to photography, but also to cinema, the visions of Edward Hopper are well calibrated shots that isolate fragments of everyday life, able to suggest the events that preceded them and the ones that will come next, in a sort of stop motion which is similar to the techniques of classic filmmaking. Architectures and characters: these are the constant elements of Hopper’s reserch, enucleated through an expressive use of light that softens colours and shapes. Silence, furthermore, seems to pervade almost all the works of the American master, inhabited by beings who are unable to communicate and ambiguous in their undefined mood. A simple and clear style, far from fripperies and from the vitalistic unmoderations of the Avant – Guardes. As the artist declared at the beginning of his career: “What I’d like to paint is the sunlight on the walls of a house”; what we find today in his paintings are refined architectures of moods that are capable to interlace empathically to the viewer sensitivity and to extend their influence beyond the physical borderds of the canvas.
Supported by a clear and not intrusive didactic apparatus, the visitor begins a trip of discovery not only of the entire work of Hopper, but also of the political and social context in which it developed. From the foyer, where there are some multimedial materials and an evocative scenic reconstruction of the bar represented in Nighthaws (1942), it is clear that the curatorial intent is to favor a total immersion of the viewer inside the artist’s personal universe. The exhibition runs through seven rooms that develop according to a chronological and tematic differentiation, suggesting some different locations. Lights, colours and materials propose the places which Hopper loved: for the first rooms a boiserie inspired by the real house of the artist, then the atmosphere of a sunset in Paris and the shiny sky of North American coast. There is nothing minimal or barely visible, but the result is extremely involving and suggestive, in line with the deep emotional power of Hopper’s paintings, made almost tangible by the atmosphere of the rooms that host them.
The first big retrospective exhibition in Italy dedicated to the American master, resulted from a sinergy between the City of Milan, Arthemisia Group and Fondazione Roma, proves to be a successful event with international importance. The high number of visits reinforces the opinion according to which this kind of event, characterized by an important intellectual value and an easy fruition, can be a rational means of cultural diffusion for a wider and wider audience and, consequently, for anyone who would like to embark on a path to art.
Edward Hopper @ Roma
Fino al 13 giugno la mostra propone una riflessione sull’iconografia e la cultura statunitense, i cui aspetti sfolgoranti vengono discretamente sbugiardati nei dipinti di Hopper a favore di una descrizione sospesa dei risvolti più introspettivi della vita quotidiana americana.
Dopo la prima tappa milanese, è approdata a Roma la grande esposizione dedicata al maestro del Realismo made in USA; fino al 13 giugno la Fondazione Roma Museo ospita una selezione di 160 opere di Edward Hopper, uno degli artisti più apprezzati del XIX secolo. A cura di Carter Foster, conservatore del Whitney Museum, e realizzata con il coordinamento scientifico di Carol Troyen, la mostra presenta un nucleo di lavori provenienti dai più importanti musei americani, quali Whitney Museum of American Art, Brooklyn Museum of Art, Terra Foundation e Columbus Museum of Art. Oltre al tributo verso un artista entrato già a pieno titolo nella storia dell’arte mondiale, la mostra propone una riflessione sull’iconografia e la cultura statunitense, i cui aspetti sfolgoranti vengono discretamente sbugiardati nei dipinti di Hopper, a favore di una descrizione sospesa dei risvolti più introspettivi della vita quotidiana americana.
Nato nel 1882 in una piccola cittadina nello stato di New York, e avvezzo per questo alla consuetudine della vita provinciale lontana dalle luci della grande città, tra il 1906 e il 1910 l’artista compie tre viaggi in Europa, dove stava prendendo piede l’azione dirompente delle Avanguardie. Del tutto indifferente all’alternarsi delle nuove correnti artistiche che si sarebbero succedute fino alla sua morte nel 1967, Hopper manifesta sin dai primi quadri una forte fascinazione per la pittura impressionista, nello specifico per lo stile particolare di Degas. Dal pittore delle ballerine l’artista mutua l’interesse per la rappresentazione degli spazi interni e per la ricerca di punti di vista insoliti, simili al taglio delle inquadrature fotografiche. Non solo vicine alla fotografia, ma anche al cinema, le visioni di Edward Hopper sono inquadrature ben calibrate che isolano brani di vita quotidiana capaci di suggerire gli eventi che li hanno preceduti e quelli che li seguiranno, in una sorta di stop motion prossima alle tecniche della cinematografia classica. Architetture e personaggi: questi gli elementi costanti nell’indagine di Hopper, enucleati tramite l’uso espressivo della luce che ammorbidisce colori e forme. Il silenzio, inoltre, sembra pervadere quasi tutti i lavori del maestro americano, abitati da esseri inabili alla comunicazione e ambigui nel loro stato d’animo indefinito. Uno stile semplice e ben definito, privo di fronzoli e degli eccessi vitalistici delle avanguardie storiche a lui contemporanee. Come lo stesso artista ha dichiarato agli esordi della sua carriera: “Quello che vorrei dipingere è la luce del sole sulla parete di una casa”; quello che oggi ritroviamo nei suoi dipinti sono raffinate architetture degli stati d’animo, capaci di allacciarsi empaticamente alla sensibilità dello spettatore ed estendere la loro portata ben oltre i limiti fisici della tela.
Assistito da un apparato didattico chiaro e poco invadente, il visitatore intraprende un viaggio alla scoperta non solo dell’intera opera di Hopper, ma anche del contesto politico e sociale in cui questa si è sviluppata. Sin dal foyer, in cui sono stati allestiti materiali multimediali ed una suggestiva ricostruzione scenografica del bar rappresentato in Nighthaws (1942), è evidente l’intento curatoriale di favorire la totale immersione dello spettatore all’interno dell’universo personale dell’artista. Il percorso espositivo si snoda attraverso sette sale che procedono secondo una scansione cronologica e tematica, in cui ciascun allestimento suggerisce una cornice diversa. Luci, tinte e materiali ripropongono i luoghi cari ad Hopper: per le prime sale una boiserie ispirata alla vera abitazione dell’artista, a seguire l’atmosfera di un tramonto parigino, per arrivare al cielo luminoso della costa nord americana. Non c’è nulla di minimale e poco visibile, ma il risultato è estremamente suggestivo e coinvolgente, in linea con la profonda portata emotiva dei quadri di Hopper, resa quasi tangibile dall’atmosfera delle sale che li ospitano.
La prima grande rassegna antologica in Italia dedicata al maestro statunitense, frutto di una sinergia tra il Comune di Milano, Arthemisia Group e Fondazione Roma, si dimostra un evento ben riuscito e di portata internazionale. L’elevatissimo numero di visite avvalora la tesi secondo cui un evento del genere, caratterizzato da un importante valore intellettuale, quanto da una facile fruizione lontana dagli snobismi che spesso circondano le mostre d’arte contemporanea, possa essere un mezzo razionale di diffusione culturale per un pubblico sempre più ampio e di conseguenza per chiunque voglia iniziare un percorso di avvicinamento all’arte.
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