The artist pulls under the observer’s eyes all the things he would never want to see, starting a slow, but insistent corrosive action on a mental level. Each image, with its set of words, is strong, disturbed and powerful, and it does not let you abandon it easily, continuing to scratch the observer’s eye for a long time.
Until April 4th, at Lorcan O’Neill gallery in Rome, it is possible to visit the solo exhibition “Why Be Afraid...”. Among embroideries, monoprints, and neons we discover some important iconographic novelties of the ex enfant terrible of YBAs.
When images keep coming to mind, with their emotional charge of questions, all night long, hence it means that the work of the artist who produced them is of rare quality. Tracey Emin’s works, gathered in the exhibition “Why Be Afraid...” at Lorcan O’Neill gallery from February 19th , until April 4th, undoubtedly own this power. The roman solo show witnesses a remarkable artistic and spiritual growth of the “ex” enfant terrible of the YBA group, lead by the Midas Damien Hirst.
The most recent works preserve the distinctive mark by Emin, who transposes the most secluded intimacy of her private life into her artpieces, enacting a post-modern version of the vanguardist precept of “Art = Life”. The artist pulls under the observer’s eyes all the things he would never want to see, starting a slow, but insistent corrosive action on a mental level. Each image, with its set of words, is strong, disturbed and powerful, and it does not let you abandon it easily, continuing to scratch the observer’s eye for a long time.
After sex and feminine masturbation, now it is the tragic experience of abortion, narrated in first person by the artist, in a 24-minute-long video projected in the spaces of Filmstudio, which are contiguous to Lorcan. A thirty-tree-year-old Tracey tells about the dramatic days she lived in 1990, when she decided to interrupt a pregnancy after the time limit. In those images the multi-millionaire artist is simply a woman with a fragile and opaque look, broken by regret of what will never be. With the aid of this significant interpretation key it is possible to face consciuosly the path through the exhibition, where we find traditional techniques like monoprints, neons and embroideries, together with some important iconographic novelties. Emin declared: “It only exists love, sex, and God”, summarising in three words an existence that is disputed between sensual needs and equally strong spiritual ones, but always orientated by emotions.
The agony of body and soul and the need of comfort through prayer are the passions of which every single artpiece is imbued, starting from the 10 monoprints where dry and disturbated lines define with the same suffering the tormented body of the mother and the humors of abortion, bringing expressionist tensions to the highest degree. Unfortunately, there is nothing we can do in front of such big tragedies – as one embroidery says: “There’s nothing you can do” – and the artist can only obtain the supreme comfort of art, that sublimates personal experiences into universally powerful images.
A woman who is not to the degree of generating children receives the news of her pregnancy. What does she do? Holy Mary, 2010 years ago, accepted; Tracey Emin, in 1990, not. The remorse of that fatal choice digs the artist’s conscience from the inside, with an inexorable flow of memories and missed possibilities. A remarkable iconographic turn is situated in this context; here Emin recaptures some images from religious Medieval and Renaissance images. In order to transcribe her feminine calvary, she chooses the iconography of the “Annunciation”, which she updates in a big emroidery on calico. The use of needle and yarn, which is an ancient and traditionally feminine technique, exalts the archaic communicative power of the image, producing an emotional short circuit together with the troubled personal experience of the artist. The tragic charge brought by these works is balanced by some pieces which are the result of a more calm reflexion about the comfort provided by prayer and, most af all, by artistic creation. Embroidering, drawing or shaping her neons, Tracey Emin gives concrete form to her obsessions, and crystallizes them into entities which live outside herself; therefore, from a detached point of view it is easier for her to think about what she lived, and to assign to each event a specific place in the economy of facts. The embroideries that represent a mother who tenderly rocks her baby, the funny light pink neon “I think I love you” and the video where the artist embraces and cuddle her cat, seem a proof of the success of the cathartic process and of the metabolization of the dramatic experience of pregnancy interruption by Emin.
After all, if what happened, with all its dramatic force, cannot be fixed and if all we can do is praying and keep living...
WHY BE AFRAID...?
Tracey Emin @ Roma
L’artista spinge sotto gli occhi dell’osservatore tutto, ma proprio tutto, quello che egli non vorrebbe mai vedere, dando il via, a livello mentale, ad una lenta ma insistente azione corrosiva. Ciascuna immagine, con il suo corredo di parole, è forte, disturbata e potente e si lascia abbandonare con estrema difficoltà, continuando a graffiare l’occhio dell’osservatore per molto tempo.
Fino al 4 aprile, presso la galleria Lorcan O’Neill di Roma, è possibile visitare la personale “Why Be Afraid…”. Tra ricami, monoprints e neon scopriamo alcune importanti novità iconografiche dell’ex enfant terrible targata YBA
Quando le immagini continuano a tornare in mente, col loro carico emozionale di interrogativi, per tutta la notte, allora significa che il lavoro dell’artista che le ha prodotte è di rara qualità. I lavori di Tracey Emin, raccolti nella mostra “Why Be Afraid…” presso la galleria Lorcan O’Neill di Roma dal 19 Febbraio al 4 Aprile, sono indiscutibilmente padroni di questo potere. La personale romana testimonia la notevole crescita artistica e spirituale dell’ormai “ex” enfant terrible del gruppo YBA, capeggiato dal Re Mida Damien Hirst.
I lavori più recenti conservano il tratto distintivo della Emin, che traspone l’intimità più recondita della sua vita privata nelle sue opere d’arte, ponendo in essere una versione post-moderna del precetto avanguardistico “Arte = Vita”.
L’artista spinge sotto gli occhi dell’osservatore tutto, ma proprio tutto, quello che egli non vorrebbe mai vedere, dando il via, a livello mentale, ad una lenta ma insistente azione corrosiva. Ciascuna immagine, con il suo corredo di parole, è forte, disturbata e potente e si lascia abbandonare con estrema difficoltà, continuando a graffiare l’occhio dell’osservatore per molto tempo.
Dopo il sesso e l’autoerotismo femminile, è la volta della tragica esperienza dell’aborto, raccontato in prima persona dall’artista in un video di 24 minuti proiettato negli spazi di Film Studio adiacenti alla Lorcan. Una trentatreenne Tracey racconta i giorni drammatici vissuti nel 1990, quando decise di interrompere una gravidanza fuori tempo massimo. In quelle immagini l’artista multimilionaria è semplicemente una donna dallo sguardo fragile e spento, schiacciata dal rimpianto di ciò che non potrà mai più essere.
Con l’ausilio di questa fondamentale chiave di lettura è possibile affrontare consapevolmente l’intero percorso espositivo, in cui si ritrovano tecniche e formati tradizionali, come i monoprints, i neon ed i ricami, affiancati ad importanti novità iconografiche. La Emin ha dichiarato: “Esistono solo l’amore, il sesso e Dio”, sintetizzando in tre parole un’esistenza contesa tra bisogni carnali e bisogni spirituali ugualmente imperanti, ma orientata in ogni momento dai sentimenti.
Lo strazio del corpo e dell’anima ed il bisogno di conforto attraverso la preghiera sono le passioni di cui ogni singolo lavoro è impregnato, a partire dai dieci monoprint nei quali le linee secche e disturbate, portatrici di tensioni espressioniste all’ennesima potenza, definiscono con uguale sofferenza il corpo travagliato della madre e gli umori dell’aborto. Purtroppo non c’è niente che si possa fare d’innanzi a drammi di tale portata - come ribadisce uno dei ricami in mostra: “There’s nothing you can do” - ed all’artista rimane soltanto il supremo conforto dell’arte, che sublima gli accidenti personali in immagini di potenza universale.
Una donna che non è nelle condizioni di poter generare figli riceve la notizia della sua gravidanza. Che fare? La Madonna, 2010 anni fa, accettò; Tracey Emin, nel 1990, no. Il rimorso di quella scelta fatale scava la coscienza dell’artista dall’interno, con un’inesorabile stillicidio di ricordi e di possibilità mancate. In questo contesto si situa una notevole svolta iconografica, che vede la Emin attingere dal repertorio di immagini dell’arte religiosa medievale e rinascimentale. Per trascrivere il suo calvario di donna sceglie l’iconografia dell’”Annunciazione”, che attualizza in un ricamo su calico di grande formato. L’utilizzo di ago e filo, tecnica antica e tradizionalmente femminile, esalta l’arcaica potenza comunicazionale dell’immagine, producendo un cortocircuito emotivo insieme al problematico portato personale dell’artista. La carica tragica di cui queste opere si fanno portatrici è riequilibrata da alcuni lavori che sono il risultato di una riflessione più pacata sul conforto procurato dalla preghiera e, soprattutto, dalla poiesi artistica. Ricamando, disegnando o plasmando i suoi neon, Tracey Emin concretizza le proprie ossessioni cristallizzandole in forme che prendono vita all’esterno; da un punto di vista distaccato è quindi molto più facile per lei pensare a ciò che ha vissuto, ed assegnare ad ogni evento un posto preciso nell’economia dei fatti. I ricami che raffigurano una madre teneramente intenta a cullare un neonato, il divertente neon rosa pallido “I think I love you” e il video in cui l’artista seminuda abbraccia e coccola il proprio gatto, sembrano testimoniare la buona riuscita del processo catartico e la metabolizzazione, da parte della Emin, della traumatica esperienza dell’interruzione di gravidanza.
In fondo, se quanto è accaduto, pur nella sua tragicità, non può essere recuperato e se tutto ciò che resta da fare è pregare è continuare a vivere, perché preoccuparsi?
WHY BE AFRAID…?
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