Bachi da Pietra, Beatrice De France @ Corte dei Miracoli, Siena
Come promesso vado a vedere i bachi con il progetto in principio erano le ombre che fin qua su succo era arrivato l'invito....
Bachi da pietra + Beatrice De France
In principio erano le ombre. 19 aprile 2008.
Siena, Corte dei miracoli
La sala della corte è illuminata e addobbata come mai l’avevo vista prima. Ciò che succede sul palco non si vede perchè la quarta parete è una tela bianca. Per ora vi campeggiano le grandi ombre dei due musicisti, massicci. Come massiccio è il loro suono se pur asciutto fino allo scheletrico.
I due muri lunghi della sala rettangolare sono anch’essi ricoperti da enormi tele. Una longilinea figura femminile nerovestita e molto aggraziata si muove con un pennelletto tracciando colore e correggendo di continuo, improvvisa. Quando arrivo la parete alla destra del palco è già cominciata. Succi e Dorella suonano già da un po’, l’attenzione del pubblico è tutta per Beatrice de France, che tra l’altro se la merita. Beatrice usa il nero, il vermiglione, il marrone. Ai suoi piedi c’è una tavolozza con questi colori. Il vermiglione è quasi tutto lì, di nero non ce n’è quasi più. La musica la sta influenzando molto, partecipa dell’interplay la sua ispirazione, l’atmosfera l’ha catturata e sembra portarla in territori cupissimi sfumati dai tratti più ombrosi del grottesco conditi da un metafisico mortuario. C’è un odore saturante di lucido da scarpe e trementina. Beatrice passa alla quarta parete comincia a vergare linee che diverranno croci che proietteranno ombre che scoleranno canali… Il pubblico sembra apprezzare e commenta a bassa voce. Io penso che certo è meglio guardare una bella figliola che dipinge che non due ragazzoni cresciuti che strimpellano. Penso che un uovo di colombo così andrebbe spaccato più spesso per farcene di frittate. “Mica sempre…però…sì” mi dice un amico, e aggiunge: “Però vediamo di non arrivare alle veline dell’extra mediale”. Beatrice, che non so se il suo è un cognome d’arte, ma sembra proprio una bellezza francesina, guarda continuamente il pubblico come fanno i pittori con i ritratti (non i quadri, ma coloro che vengono ritratti). Si vede chiaramente che la sua ispirazione viene da ciò che scaturisce dal palco ma anche da ciò che ella capta dalla platea.
L’odore di lucido da scarpe e trementina è molto forte. I bachi suonano i pezzi dei loro due album e improvvisano sui loro temi alla loro maniera. Beatrice, terminata la quarta parete, passa all’altro muro della sala e la platea si muove accordandosi ai suoi spostamenti.
Comincia ad usare un blu oltremare annacquatissimo che dà un altro respiro e va a comporre una figura che mi sembra un corpo di cavallo che si stira in una testa di cavallo tremenda, ricorda un po’ il cavallo di Via Mazzini in Roma. Poi continua la sua action-painting estemporanea. Poi va a ritagliare la quarta parete. Compaiono i musicisti che hanno sul palco un televisore dove ci si vedono. Quella che era l’intelaiatura della tela diventa la cornice dei bachi. Allora non è che volevano nascondere la loro immagine (come fanno oggi le grandi popstar d’avanguardia). Al contrario: aspettavano il momento per darla concentrata, incorniciata e riprodotta addirittura in monitor sul palco. Commento personale sulla parte sonora del concerto: delusione: preferisco di molto sicuramente e nettamente i dischi del grandioso duo. La resa dal vivo dei brani non mi è piaciuta. Non mi viene neanche di andare a salutare i due musicisti che si riposano all’aperto, lì fuori nell’aia della corte sotto la radiografia di legno e ferro rugginoso di scheletro di un palco che sarà usato d’estate. Non mi viene per la timidezza; non per la delusione. Ho l’impressione che se li dico che i dischi loro, ascoltati decine e decine di volte, sono molto molto meglio del concerto, mi saltino addosso, Dorella mi regga e Succi mi gonfi di batoste. Volevo pure comprarmi un disco dei Madrigali Magri che era lì a disposizione. L’avrei fatto ma non c’avevo mica i soldi. Comunque per ricordare la serata mi imbratto un po’ il giacchetto portatomi dallo Yunnan con un bel po’ del colore di Beatrice. La mi mamma mi dirà poi che quel misto di marrone vermiglione nero sembra sangue rappreso.
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