Oren Ambarchi & Martin NG, Plump DJ's, Puddy, RadioMagenta, Remi, Rope, Royal Trux, Rye Coalition, Sonia Brex, Soulo, Talk Show Host, Terje Nordgarden, Hot Wires, Divine Brown, Life & Times, Rapture, Tied & Ticklded Trio, Tujiko Noriko, UochiTochi, Wire.
Oren Ambarchi & Martin NG, Plump DJ's, Puddy, RadioMagenta, Remi, Rope, Royal Trux, Rye Coalition, Sonia Brex, Soulo, Talk Show Host, Terje Nordgarden, Hot Wires, Divine Brown, Life & Times, Rapture, Tied & Ticklded Trio, Tujiko Noriko, UochiTochi, Wire.
OREN AMBARCHI & MARTIN NG / VIGIL / QUECKSILBER
Prima uscita per questa nuova etichetta tedesca, l’ultimo lavoro di questa coppia di australiani dediti alle frequenze che microvariano. Armati di chitarra e giradischi producono un sound sognante, memore degli esperimenti della Sonic Arts Union, risonante ed enigmatico. Alcuni passaggi ricordano al solito il Ligeti dei lavori vocali, punto fisso di molta drone e ambient music. Suonato a velocità quadrupla sembrano gamelan balinesi. Un disco di utilizzo più che di ascolto, capace comunque di qualche brivido qua e là. Dovrebbero esserci anche due filmati in formato mpeg della designer Tina Frank che rendono luce parti di questa musica, ma nella mia copia sono stranamente assenti.
Jacopo Andreini
PLUMP DJ’S / EARGASM / FINGER LICKIN’
Come salvare il breakbeat da morte certa? La ricetta giusta ce la forniscono gli inglesi Plump DJ’s, i quali hanno donato nuova linfa vitale ad un genere che stava rischiando il collasso creativo andando a ripescare l’electro-funk degli anni ‘80 (…e “The funk hits the fan” ospita Eddie Bo, uno dei padri del funk anni ‘60!). Break-electro-funk una possibile definizione ed i tre minuti di “In stereo” lo spot migliore per pubblicizzare la musica dei due Plump DJ’s. Ma sono i due pezzi iniziali (“Creepshow”e “Weighed”) quelli che ci catapultano da subito nell’universo dance di “Eargasm”: ficcate una presa elettrica in culo ai Chemical Brothers, fate prendere la scossa ai loro big beats appassiti ed ecco che l’orgasmo è garantito (per i Chemical Brothers immagino di no, ma per le vostre orecchie e le vostre gambe sicuramente sì…)! Spetta poi agli oltre sette minuti di “The gate” il compito di farci giungere piacevolmente stremati all’ascolto di “Morning sun”, dove è la voce di Lou Rhodes a deliziarci con una canzone in puro Lamb-style che insieme alla successiva “Mantra” funge da spartitraffico – in realtà fin troppo marcato – tra la prima e la seconda parte del disco. Una seconda parte che si apre alla grande con “Pray for you”, pezzo electro-glam che vede al microfono uno spumeggiante Gary Numan e che fin da ora si candida ad essere il singolo dance dell’autunno! “Something goin’ on”, “Contact double zero” e “How much is enough” collaudano per il futuro una formula che pare vincente, mentre il trattamento narcolettico riservato ai beats di “Cry Wolf” e le sedimentazioni electro di “Tilt” operano in chiusura due azzeccate variazioni tematiche. Un disco importante questo, al quale - volendo proprio essere pignoli – si può rimproverare solo di essere un po’ troppo lungo (73 minuti) per poter essere digerito tutto d’un colpo tramite un semplice ascolto domestico. Ma è in pista che “Eargasm” promette di fare scintille!!
Guido Gambacorta
PLUMP DJ’S / EARGASM / FINGER LICKIN’
Plump’s Dj è un progetto di Lee Rous e Andy Gardner. Break è il sound che ormai ha preso una buona piega nella scena Dance. Hanno debuttato con l’album “A Plump’s night out”, sempre sulla mitica etichetta londinese Singer Lickin. Sicuramente sono artisti da tenere d’occhio per quanto riguarda la fantasia, la tecnica e la scelta dei collaboratori per i loro progetti; ma ritorniamo a “Eargasm”: break ad alto livello ed una sfilza di collaboratori (…appunto!) “ad hoc” come Louise Rhodes, il Maestro del Jazz Eddy Bo e la leggendaria artista degli anni Ottanta Gary Numan. Tredici sono le tracce, una più bella dell’altra (….per una bella “AMMUCCATA”, vi consiglio la traccia n°6). Ah!Dimenticavo…sempre su Singer Lickin, vi segnalo una raccolta di vari brani dove potrete ascoltare, grazie alle mani sapienti di Soul of Man, vari artisti del panorama break e non solo, tra i quali Plump’s, Drumatic Twins, ecc…Originale la copertina con un piatto usato come spremiagrumi.
Etta ’74
PUDDY (OVUNQUE DA NESSUNA PARTE) / SOFFULL (LA BANCAROTTA DEI VALORI) / LUXLUNA (TRANSFERT) / ANOMALO
Credo che l'autunno inizi con la prima pioggia di Ottobre, quando ci si ritrova a sfogliare un vecchio libro per riviverne alcune frasi. E ti viene in mente che alcuni momenti della tua vita sono legati non tanto a certe persone, certi romanzi o certe canzoni, in sé, ma a quanto puoi contare su di loro... la scena indipendente italiana è un po' così, ed è sempre più difficile distinguere la vera bravura, la navigata specialità, la semplice passione, il puro esercizio di stile, la sana presa per il culo, la cialtroneria dura e pura o le innumerevoli sfumature della nostra povera patria sempre più maltrattata, flessibile e precarizzata. Per dirla con altre parole, qui non ci si spezza neanche più, ci si piega, piega, piega, piega e piega ancora. Poi ci si imbatte in realtà "anomole" e non si può che sospendere il solito giudizio critico e stare ad ascoltare. Per chi non lo sapesse ancora, Puddy, Soffull e Luxluna sono le prime tre uscite per www.anomolo.com, il primo caso di etichetta e realtà distributrice completamente gratuite in circolazione. I Puddy (Ovunque Da nessuna Parte) suonano melodicamente le proprie riflessioni pop come avrebbero potuto fare un tempo i Radiohead prima di dedicarsi integralmente alla dissoluzione del genere nelle sue forme elementari, e lo fanno dando l'impressione di credere in se stessi: buoni gli arrangiamenti elettrofolk mandolinizzati, interessanti interposizioni elettroniche, rock mai volgare appesantito da barocchismi, qualcosina la si potrebbe osare di più però (ma chi scrive è un ossessivo compulsivo). Un po' più umorali i Soffull (La Bancarotta dei Valori) anche attraverso la scelta di lavorare non sulle "tinte", ma sul modo di "dipingere" il proprio paesaggio con un "evoluto" assetto paleo-chitarristico. La voce e la parte testuale sono solitamente "una questione privata" di non facile soluzione, varrebbe la pena di pensarci un po' sù. Scelgono invece le fluttuazioni cerebrali i Luxluna (Transfert)..bolle di sapone spaziali che si riverberano al rallentatore nella direzione del ricordo..hej då
Andrea Pintus
RADIO MAGENTA / I AM SORRY, I AM AND SOME OTHER HEARTTEACHING STORIES / KEPLAR
Più vicini alla musica dei Sebadoh che a quella degli Slowdive. Così si autopresentano i _Radio Magenta Basti Sentef e Andreas Kurz (due delle cinque menti creative dietro il marchio Keplar), rimarcando il proprio amore per l’indierock e sottolineando in tal modo la ricerca di un suono organico, caldo e rotondo quantunque generato da macchine. L’elettronica dei _Radio Magenta (secondo disco per loro) risulta in effetti molto meno levigata ed eterea di quella di altri colleghi, anche quando i brani si riducono solo a stratificazioni e successivi sfaldamenti di frammenti digitali (“Enchanted place”, “I am sorry, I am”). Quattro i brani cantati, con le voci dei due che si alternano coprendo uno spettro timbrico che va da Stephen Malkmus dei Pavement (“Appearance…not disappearance”) a Ronald Lippok dei Tarwater (“Don’t trust the love machine”). Ricchi di spunti i pezzi strumentali, a volte leggiadramente giocosi (“Love is state-of-the-art”, “Consuming robots will save the world”), altre volte impercettibilmente sfuggevoli (“Flying oscillators on their way to flout” e “What did you do in 96?”, quest’ultima intrisa di uno spleen alla Notwist). Nell’ormai affollato mondo indietronico “I am sorry, I am…” va probabilmente considerato un disco di seconda linea, ma sarebbe un vero peccato se passasse del tutto inosservato.
Guido Gambacorta
REMI / BANG! / ADDITIVE
Per gli amanti delle casse cattive e dei grooves più accattivanti, ecco Remi. Dj-produttore olandese che usa scrupolosamente le macchine per creare sonorità nitide e fluide, per poi infilarci sotto groove da paura. Debutta appunto con “Bang!” sulla londinese Additive, label esperta nel genere. Si tratta di un album davvero interessante…non vi raccomando una track in particolare perché sono davvero tutte micidiali…..vi scialerete….parola di Etta ’74! Buon Ascolto
Etta’74
ROPE / WIDOW’S FIRST DAWN / FAMILY VINEYARD
A quanto pare i Rope, duo polacco chitarra e basso, esaltati dalla critica per il loro originale e meritevole esordio Fever, hanno allargato la propria formazione introducendo un batterista dell’area Chicago Illinois post math o giù di lì, pressoché virtuoso e multiformemente dinamico che giostra imperterrito (batterie, percussioni e campanellini vari) accelerazioni, pause statiche, interlocuzioni, tirate, frenate e cascate in un continuo fermarsi, creare suspence angosciosa e ripartire. E questo è evidentemente uno dei temi strutturali dell’album, sorta di concept epico imperniato sulla disgrazia d’una vita sopraffatta da fallimenti e perdite luttuose.
Composizione ed esecuzione freddamente classiche nel mood, proprio come uno si immagina frammenti di estrazione accademica polacca. Disco compatto ed agghiacciante tanto nel contenuto quanto, di rimando mirabile, nel suono (da studiare e ristudiare, godere ed ammirare la chitarra assai inconsueta di Drazek), impeccabile nella produzione (prova che Steve Albini lavorando con gente di un certo calibro riesce ancora a esercitare una vera e propria maestria) arricchito omeopaticamente con fiati e voci azzeccatissime. Percussioni cristalline ed appunto virtuosa, dilagazioni free, inserimenti avant (elementi rintracciabili nella classica contemporanea come l’uso di voci tra l’operistico e l’impro scat). Dico che ci sento qualche eco US maple misto a qualche sapore stormestress (quelli del primo disco prodotto da Albini) entrambi piuttosto improgressiviti, tanto per dare un’idea che rimane comunque vaga fino a che non si ascolta.
Giovanni Vernucci
ROYAL TRUX / HAND OF GLORY / DOMINO
I Royal Trux sono la più deflagrante creatura da sogno generata nel panorama musicale di fine millennio, il percorso allucinato di due splendidi mostriciattoli quali Jennifer Herrema e Neil Hagerty. Un po’ di storia, dunque: alla fine degli anni 80, archiviata l’esperienza con i Pussy Galore –il più estatico baccanale che possiate immaginare, una cialtronesca fucina di autentici geni votati alla scorporazione e alla tortura del rock, da cui non a caso nasceranno poi i progetti più interessanti dell’underground americano come Jon Spencer Blues Explosion, Chrome Cranks, Boss Hog, Free Kitten e Royal Trux appunto- Neil Hagerty incontra la Herrema appena sedicenne, sensuale musa, tossica e sfacciata con la quale decide di dare vita ad un nuovo, eccitante viaggio nei meandri del suono.
Un viaggio psichico, stonato ed indotto da amplificatori valvolari, una scala a chiocciola fatta di marzapane e fogli di acido che scende ripidamente giù verso il paese delle meraviglie.
Il paese dell’ipnosi blues e della foia rock. Una sorta di rilettura radicale del rock’n’roll, così come radicali erano le chiavi armolodiche di Ornette Coleman nella reinterpretazione del jazz.
Ed è da qui che parte l’idea dei Royal Trux –o meglio, l’indigenza quasi fisiologica- di rievocare quelle stesse, convenzionali, secolari forme del suono smantellandole e rimasticandole alla luce di nuovi approcci conoscitivi, disarmanti per la loro semplicità, magari superficiali ed effimeri poiché connessi ai bisogni più “bassi”, come la televisione via cavo, le droghe, i cartoni animati, il sesso e le chitarre d’annata.
Rielaborare tutti i più eccitanti percorsi sonori degli ultimi 50 anni con la precisa volontà di stratificare, filtrare e smantellare le maniere convenzionali della musica stessa.
Come guardare con riverenza ai padri –da Robert Johnson a Bob Dylan, poi Rolling Stones, Velvet Underground, Stooges etc..- e nello stesso momento burlarsi di loro, dichiarandoli morti e sepolti con una cerimonia cinicamente carnevalesca.
Neil e Jennifer, sguardi vitrei, chini sul corpo esangue del rock’n’roll e decisamente intenzionati a cercare qualche dollaro nel suo portafoglio per poi darsela a gambe…
In questo senso la pubblicazione di Hand Of Glory assume un significato rilevante.
Non un nuovo album vero e proprio -il duo si è sciolto poco dopo Pound For Pound, nel 2000- ma un assemblaggio di registrazioni ripescate e risalenti al 1989, momento in cui i Trux muovevano i primi passi, ancora ebbri dell’euforia schizoide dei Pussy Galore.
In sostanza si tratta di outtakes da quel gioiello nero che è Twin Infinitives (1990) –uno dei dischi più impegnativi dei nostri, fermamente allacciato a quel percorso di destrutturazione compiuto da opere d’arte impossibili come Metal Machine Music di Lou Reed e Trout Mask Replica di Captain Beefheart- che dunque poco si scostano dalla bellezza urticante del loro referente.
Due lunghe sezioni da circa 20’ ciascuna che emettono –non vi preoccupate, non è il vostro stereo che è arrivato al capolinea!- frattali sonori in collisione impastati con scarni accordi da blues retrofuturista (Domo Des Burros), mantra ipnotici e coltri di chitarre acide, vivisezionate e modificate con apparecchiature scintillanti ed analogiche (Boxing Story).
Un collasso di suoni apparentemente indigeribili ma che alla fine ripagano con l’affascinante consapevolezza di saper decifrare un linguaggio altro, alieno.
La certezza di sentirsi languidamente vivi all’interno di nuove vie di percezione.
Una nuova, viscerale ossessione dal mondo Royal Trux.
Antonio Montellanico
RYE COALITION / JERSEY GIRLS / TIGER STYLE
Cominciamo dalla traccia numero cinque, attratti dal geniale titolo, “ZZ Topless”. Un pezzo che suona come una riuscita combinazione tra il rock degli amati barbuti texani e gli Shellac. Con queste premesse è caldamente consigliato il nuovo Ep dei peraltro poco raccomandabili Rye Coalition, una mezz’oretta di musica tutta da pogare, realizzata durante le pause del tour perpetuo che i nostri continuano a sostenere in giro per il mondo e pubblicata dall’etichetta newyorkese Tiger Style. Registrate da Steve Albini, le sette canzoni di “Jersey Girls” sono trainate da “Stop Eating While I’m Smoking”, tratta da “On Top”, l’album dello scorso anno. Ci sono poi “Snow Job”, molto Jesus Lizard, e la già ricordata “ZZ Topless”, entrambe tratte da un sette pollici ormai fuori catalogo, mentre il resto è tutto inedito: dall’iniziale “Communication Breakdance”, che cita Led Zeppelin e AC/DC, fino alla conclusiva “Break Wind And Fire”, in stile MC5, passando per la schizzata “Speed Metal Tap Dancer” e “Paradise By The Marlboro Man”, che conferma la tematica pro-fumo come una delle più gettonate dai cinque ceffi. Roba come questa, a volte, fa proprio bene alla salute. Lo dovrebbero scrivere sulla confezione.
Guido Siliotto
SONIA BREX / WINTER IN SUMMER / DUPLIKAT
Un ritorno inaspettato quello di Sonia Brex: negli anni ’90 suonava infatti nei leggendari Quartered Shadows, band siculo-berlinese fautrice di un energico garage rock sporcato da umori lisergici. Adesso Sonia fa cose molto diverse, vive a Berlino dove ha registrato “Winter in summer”: il disco può essere inserito nella classe del “cantautorato elettronico”, poiché la voce e il laptop sono i protagonisti, spaziando da momenti riflessivi (“Too late” e la title-track) a quadretti trip-hop (la deliziosa “Life like”), con un episodio anche in lingua madre (“La luna vera”, dove appare Cesare Basile al banjo e che mi ha ricordato certe cose di Cristina Donà). Da segnalare anche “Voices”, una sequenza di sperimentalismi vocali alla Laurie Anderson, ad ogni modo l’atmosfera prevalente è da chill-out party, come dimostra la lunga traccia (un po’ troppo in effetti) finale “Life like loop”. Il disco non è distribuito in Italia al momento, provate a contattare Sonia tramite il sito www.soniabrex.com o l’etichetta www.duplikat.org.
Italo Rizzo
SOULO / MAN, THE MANIPULATOR / PLUG RESEARCH
Cominciamo dalla copertina: due grassi camionisti, uno dei quali a torso nudo coi segni della canottiera, si abbeverano con un imbuto, mentre sul retro una pollastrella piuttosto racchia offre “birra gratis”. La foto stampata sul cd raffigura un altro buontempone che mostra sorridendo il dito medio. Uno sguardo ai titoli: si va da “Daddy’s Girl, Mama’s Boy” fino a “The Peter Plan”, passando per “Your Erroneus Zones”. Si presenta così “Man, The Manipulator”, il secondo cd dei Soulo, pubblicato dalla Plug Research di Los Angeles. Questi due giovani assemblatori di suoni si divertono a giocare con tutto ciò che passa loro sotto mano, come bambini intenti a costruire una casa coi mattoncini Lego. Le 12 tracce di questo incatalogabile lavoro mettono insieme, con grande ironia, frammenti di musica senza remore e timori reverenziali né rispetto per niente e per nessuno. Il foglio promozionale cita Sigur Ros, Flaming Lips e Beta Band: mah! rispondiamo noi. Elettronica psichedelica, potremmo dire, sicuri di sbagliare. In realtà sembra davvero inutile – e proprio qui sta il bello - cercare nomi di riferimento e chiavi di lettura: dal rock al glitch-pop fino al jazz (come quello decostruito in “What Do You Say After Hello?”), nulla rimane indenne dopo il passaggio di queste creative schiacciasassi, che rimescolano tutto in un gran frullato di ritmi, melodie, voci e rumori con vario utilizzo di strumentazione sia acustica che elettronica e campionatori. Avvolgente e inebriante, con belle sorprese dietro ogni angolo. E allora, cosa e perchè pretendere di più?
Guido Siliotto
TALK SHOW HOST / S/T / AUTOPRODOTTO
Sono Daniele Cortese ed Enrico Bolzan i due intestatari della sigla Talk Show Host, progetto elettronico che in 46 minuti svaria da momenti di quiete ambientale (brani numero 1 e 4) ad episodi di rumorismo sonico-digitale (la traccia 13, una delle migliori – se non la migliore – dell’intero lavoro), sempre all’insegna di un’interessante ricerca ritmica. I Talk Show Host catturano l’attenzione dell’ascoltatore dall’inizio alla fine e sono bravi nel tenersi ben lontani dalla cerebralità afasica che caratterizza decisamente troppe delle odierne produzioni elettroniche. Fin qui i punti a favore del duo. A sfavore gioca il fatto che alcuni brani lamentano un’eccessiva aderenza a modelli precostruiti: i Boards of Canada ed i Mouse on Mars affiorano rispettivamente nelle tracce 3 e 6, le frenesie sonore di Aphex Twin sono utilizzate per movimentare la traccia numero 9 e Third Eye Foundation è molto più di una semplice influenza nella drum’n’bass gotica del quinto pezzo. Il giudizio finale quindi si abbassa inevitabilmente, seppure certe ingenuità siano almeno in parte perdonabili ad un gruppo che sta muovendo i suoi primi passi. C’è poi da considerare che la smisurata varietà delle soluzioni adottate, qui sinonimo di una maturità non ancora raggiunta, negli anni a venire potrebbe anche rivelarsi un prezioso serbatoio per la creatività dei Talk Show Host. Contatti: talkshowhost@anomolo.com
Guido Gambacorta
TERJE NORDGARDEN / S/T / STOUTMUSIC
Il mio indirizzo e-mail è abudet@wooow.it . Chiunque sia riuscito ad ascoltare il disco in questione dall’inizio alla fine è pregato di contattarmi.
BakuniM
THE HOT WIRES / IGNITION / ARTROCKER
THE DIVINE BROWN/ HOW THE DIVINE BROWN SAVED ROCK’N’ROLL / ARTROCKER
Oggi si parla tanto di ‘rinascita’ del rock’n’roll, ma si dimentica spesso che esistono tante altre bands, attive a livello underground, che cercano con ogni mezzo di perpetuare lo spirito genuino e selvaggio del rock’n’roll. Tra queste rientrano sicuramente gruppi come The Hotwires e The Divine Brown. Entrambi provenienti da Londra, si differenziano nelle sonorità. I primi, col loro debut-album Ignition, suonano un grezzo ed energico punk rock, in cui rivivono i gloriosi fasti di bands come Dead Boys, Crime e Pere Ubu. I loro potenziali hits si chiamano Big City, Car Crash #1 e Destroyer, dove vengono delineate ipotesi sonore punk/new wave di grand’efficacia. I Divine Brown, invece, si riallacciano palesemente all’hard-punk-garage scandinavo, in modo particolare a gruppi come gli Hellacopters. Il loro Ep, intitolato How the Divine Brown saved rock’n’roll, contiene sei tracce di crudo e selvaggio street punk’n’roll, dall’impatto sonoro deragliante: letteralmente devastanti sono brani come Get some action e I got the fire. Promossi a pieni voti, aspettiamo ora il debutto sulla lunga distanza.
Gabriele Barone
THE LIFE AND TIMES / THE FLAT END OF THE EARTH / 54°40’ OR FIGHT / 43 ROCKET
Ep di esordio per la band composta dall’ex leader degli Shiner, Allen Epley; dall’ex chitarrista dei Someday I John Meredith (qui in veste di bassista) e dal batterista degli String and Return Mike Myers.
Sei tracce in cui il suono delle chitarre e le ritmiche della batteria accompagnano in varie forme la complessa ricerca melodica del cantato.
Da un lato l’essenzialità e la compattezza dei riffs in “Raisin in the Sun”, “High Score”, contrapposte alla malinconica (e filtrata) interpretazione di Epley, rappresentano un ottimo incontro fra la California pop dei Buellton e dei Radar Brothers e la Washington post Fugazi dei Faraquet, dove tuttavia sono i testi e la loro interpretazione, più della struttura sonora, a rivestire il ruolo dei protagonisti.
Il lento quattro quarti ed arpeggio in appoggio a vere e proprie poesie in musica come “Houdini”, “Servo” “The Flat End of the Earth”evocano scenari maggiormente pop melodici, con sfumature che variano dai Depeche Mode agli Alice in Chains.
Infine la genuina irruenza rock di “Movies and Books”, caratterizzata dal ritmo incalzante delle percussioni.
Roberto Baldi
THE RAPTURE / ECHOES / VERTIGO
Si sa, questi non sono momenti di originalità, ci si esalta, purtroppo o per fortuna è tutto da decidere, per Hype che hanno il solo merito di venire a galla nel momento e nel posto giusto. Come la new sensation (che poi tanto New non è, avendo trascorsi addirittura nella gloriosa Sub Pop) The Rapture. Tormentone da un anno a questa parte, Echoes vede finalmente la luce sotto l’ala protettrice di James Murphy (visto all’opera dietro il banco mixer per i Trans Am) e Tim Goldsworty (collaboratore degli Unkle di James Lavelle), aka Dfa, vale a dire, il duo di produttori più eccitante del momento.
Sono loro, infatti, ad aver reso la famosa House Of Gealous Lovers, a detta di molti i cinque minuti più esaltanti dai tempi di Pil, Gang Of Four, A Certain Ratio e compagnia funk punk, oggetto del desiderio della nuova (ri) onda. House Of Gealous Lovers che fa inevitabilmente parte, come l’altro singolo famoso (e molto a là Robert Smith) Olio, della track list finale di Echoes; album, quest’ultimo, che mostra un gruppo in preda a vere e proprie frenesie dance applicate al tipico suono rock (cosa che contraddistingue i Rapture da qualsiasi altro gruppo tipo Liars o Black Eyes che invece partono dal processo inverso).
Le riedizioni di House…e Olio, qui rese ancora più tribaloidi (la prima) ed electro (la seconda), mostrano, in ogni caso, solo due dei tanti lati di Echoes: infatti, a sorprendere e meravigliare è la disinvoltura con cui i nostri affrontano territori puramente chitarristici (Love Is All suona vicinissima ai Television), psichedelici (Infatuation) e rilassati (la decadente ballad pianistica Open Your Heart), tanto da risultare quasi impossibile immaginare loro dietro a veri inni dancefloor quali I Need Your Love e Sister Savior.
Come affrontare quest’album quindi? In due soli modi: se adiate ogni tipo di revival, specie se abusato, lasciateli perdere e tornate al vostro Entertainment, se invece mettete da parte ogni sorta di pregiudizio può anche diventare il vostro album dell’anno. In entrambi i casi, comunque, sono sicuro che una volta inserito nel lettore stenterà a venirne via.
Gianni Avella
TIED AND TICKLED TRIO / OBSERVING SYSTEMS / MORR MUSIC
Percorso encomiabile ed esemplare quello dei fratelli Acher. Se decidono di andare in classifica si affidano ai Notwist, se vogliono far breccia nei cuori dei indietronici si affidano a Lali Puna e Ms John Soda, con Village Of Savoonga e Tied And Tickled Trio a fare da outsider per la ricerca sonora. Ne hanno per tutti i gusti, insomma. Coi Tied sono alla terza prova in studio, di sicuro la più interessante (considerando la latitanza dei Village Of Savoonga) da parte dei teutonici fratellini da molto tempo a questa parte.
Stupisce che sia la Morr Music (comunque amica dei Acher brothers) a distribuire un disco che non ha nulla a che fare coi vari Manual, Limp ecc., se si devono cercare le radici del suono Tied ci si deve rivolgere alla rivoluzione jazz di Miles Davis e Coltrane, ed alle evoluzioni che ne seppero dare combi come Weather Report e Mahavishnu Orchestra. Ovviamente non stiamo ai livelli dei gruppi citati ma l’attitudine è la medesima: voglia di “imbastardire” la tradizione, rileggerla attraverso occhi che guardano avanti. Il jazz rock passato ammiccava ai suoni caldi di Sly Stone e James Brown, oggi i suoi caldi sono quelli dell’elettronica, pur sempre tedesca, di To Rococo Rot e minimal techno. In Observing Systems tutto si combina: funk, dub, elettronica, jazz da blu note, a venirne fuori sono gli ibridi bellissimi di “Freakmachine” (caldo e caraibico episodio tra Coltrane e groove africano), “The Long Tomorrow” (andamento elegante dal retrogusto John Barry), “Observing Systems” (sinuosa, “cool” e felpata). Intermezzi ‘tronici (Observing Systems), e veri esempi di come oggi il jazz possa convivere in matrimoni alquanto impensabili (assolutamente fantastici i fiati che si insinuano nel minimal glitch di “Like Armstrong Laika”).
Spirito da big band e capacità sopra la media attuale. Observing Systems non solo s’impone già da ora come candidato nella playlist di fine anno, ma s’insinua, in punta di piedi, tra le opere più riuscite dell’intero post rock di matrice jazzistica.
Gianni Avella
TUJIKO NORIKO / FROM TOKYO TO NAIAGARA / TOMLAB
Certe cose che vengono dal Giappone sanno affascinarci come poco altro. Tujico già l’avevamo conosciuta per due sue precedenti uscite su Mego caratterizzate da un suono certamente più aspro.
Stavolta, su Tomlab, sembra mettere meglio a fuoco il proprio intrigante trip melodico serissimo. La produzione del suono che l’accompagna è curata dalla sapiente tecnica artistica elettroacustica di Aki Onda. Rarefazioni sognanti, arpeggi, feedback gentili e di sfondo, microsporcizia, ecco: la polvere, ritmi dalla bassa battuta, lentezza e spazi di silenzio, bassi gonfiati, voce su voce in spire avvolgenti o lanci liberi, suono in libera uscita, gola spiegata: tutto teso alla ricerca di una dimensione pop matura. Non per volere a tutti i costi esagerare proponendo un disco che ci è piaciuto, ma potete pure provare a prendere questo disco come un Vespertine, liricamente meno intenso e comunque orientalmente diverso, a cui tutta la carne è stata tolta dall’osso. Se amate Bjork adesso sapete con chi tradirla. Certo sarebbe fico sapere cosa la Norico stia cantando. Ma è anche fico pure solo l’immaginarlo.
Giovanni Vernucci
UOCHI/TOKI / VOCAPATCH- MHM / BURP PUBLICATIONS
Una rivelazione: questo primo disco dei Uochi/Toki resterà forse un culto per pochi, eppure ha molte potenzialità di andare oltre il proprio “bacino di utenza”. Che sarebbe l’hip hop, sebbene stravolto e cosparso di escrementi giusto per tenere alla larga chi ama il rap patinato e falsamente “stradaiolo”. Il fatto che questo cd esca per la Burp è già un segnale, sin dal primo ascolto ci troviamo circondati da un rappato insistente e verboso, basi minimali e giochini elettronici alternati a brani di puro hardcore (sì, proprio hc suonato, chitarra e batteria!). Ma la caratteristica primaria sono i testi di queste 31 canzoni senza titolo: è meta-hip hop, surreale reame dell’assurdo in cui citare i R.E.M. e Schopenhauer oppure arrendersi all’evidenza (“questo è il decimo pezzo!!!” urlano, ma il lettore segna 11!) non è reato. Gli Uochi/Toki sono in tre ma il cd è avaro di informazioni su di loro, sappiamo solo che prima si chiamavano Laze Biose e che in un paio di pezzi compare Bugo. Difficile stabilire quali sono i momenti più interessanti di “Vocapatch”, sia le basi electro sia quelle più “caciarone” hanno ragion d’essere, gli Uochi/Toki vanno assunti tutti d’un fiato perché sono b-boy devastati e consapevoli, che mettono a nudo le proprie paranoie e le rivoltano come un calzino, concettualizzando le peggiori cazzate e vomitandocele addosso, felici.
Italo Rizzo
WIRE / SEND - PF456REDUX / PINK FLAG
Si è già detto del ritorno degli Wire, un ritorno alla grande in virtù di un disco come “Send” che proietta il post punk e la new wave negli anni 2000, ricordandoci di farci saltare come succedeva nei capolavori del rango di “Pink flag”. Da quel disco prende nome l’etichetta del gruppo, quasi a rivendicare un passato unico ma non irraggiungibile. Assieme a “Send” è uscito, solo in vinile ed in edizione limitata, questo “PF456Redux”, con copertina bianca e senza note, che racchiude oltre ai pezzi del cd con un mixaggio diverso (sono più brevi e veloci, dunque ancora più schizzati degli originali) anche i rimanenti estratti da “Read and burn” 01 e 02, gli ep che hanno annunciato il ritorno del quartetto sulle scene. Ritroviamo così, accanto al punk futurista di “Comet” la feroce “Germ ship”, il mirabile intreccio di chitarre di “Spent”, l’elettropop di “Trash/Treasure”, le atmosfere darkeggianti di “You can’t leave now”, le spigolosità di “Raft ants” per terminare con ”99.9”, l’episodio più elettronico e dilatato. Sedici tracce in tutto, una buona occasione per chi si è perso gli ep (ricordiamo che il secondo era in vendita solo online) e vuole avere un saggio completo della macchina Wire, che con un salto ha superato tanti colleghi più giovani e più pompati.
Italo Rizzo
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De Dieux /\ SuccoAcido