DOGON / Who Is Playing In The Shadow Of Whom? / Wallace
Se non ricordo male, in un libro contenenti alcuni testi della Societàs Raffaello Sanzio, quel genio di Claudia Castelucci scriveva che "il mondo è causa perfettamente e tremendamente sufficiente per creare". I Dogon sono il felice frutto di una di queste creazioni, bizzarra e multiforme, e proprio alla Societàs - un salvifico abbraccio teatrale per il mondo intero - dedicano il loro brano di apertura: un interessantissima composizione che svela tutta l'intelligenza sonora del trio Martuscello-Pupillo-Okapi, avvicinandosi ad alcune atmosfere timbriche del lavoro che il grande Lilith-Scott Gibbons ha creato con Romeo Castellucci lavorando su alcune immagini e suggestioni che non è semplice, anzi inutile, descrivere qui. Il disco, che viene interrotto al centro dell'ascolto da un messaggio del loro sponsor, comprensibile a diversi strati di velocità (più alteri il tempo di ascolto più scopri nuovi messaggi…), presenta generi completamente diversi tra di loro legati a titoli piuttosto pittoreschi, che possono divertire ma anche lasciare sotto il naso un certo fetore di snobbismo. In attesa dell'intervista che dovrebbero rilasciarci presto vi invito a visitare il loro sito ufficiale (www.metaxu.it/dogon/), ammirare il meraviglioso artwork di Camilla Falsini, e farvi una bella idea su quanto sono importanti Martuscello-Okapi, e perché nò, arrivare anche ai meravigliosi Zu. Il meno qui, direbbe la Societàs. Ci vediamo all'intervista, succosa ed acida come sempre (Martuscè, si un marrispunni puru 'stavuota tu giuru e m'accrìriri in capo all'unure ri me patri: akkiano a Napoli e ti scuonso u campionaturi a cuorpi i chirarra… nde)
Daniele D'Alia
DOWN / s/t / CD-R 2003
Finalmente un nuovo gruppo francese di cui valga la pena parlare. Visti dal vivo a Strasbourg, un trio basso chitarra batteria come da tempo non se ne vedeva. Suonano a un volume bassissimo, lenti, vuoti, aerati, concentrati. Se per un paio di armonie chitarristiche possono ancora essere vicini a certo postrock evoluto, il nome che mi viene in mente più spesso è quello di Paul Bley, quello di 40 anni fa, rarefatto e silenzioso. Dal vivo il quarto membro del gruppo è un metronomo, un suono di conchino che pulsa larghissimo appoggiato sulla grancassa, e lasciano che suoni in levare, e non è dettaglio da poco. Tutta la poesia e il groove dei brani vengono da questo dettaglio, purtroppo assente sul disco, in cui dalle tracce è stato escluso il click. Ma la purezza e la bellezza delle armonie, il lavoro contrappuntistico e i silenzi (qui addirittura ancora "troppo" pieni rispetto alla densità attuale) restano immutate. Non so nemmeno se il disco è in vendita. Il consiglio è di contattarli e aspettare che arrivi l’album. Info: beneath_it_all@hotmail.com
Jacopo Andreini
EGOKID / The Egotrip Of The Egokid / Snowdonia
Al largo di una deriva psichedelica ecco spuntare un Egokid. Il suo è stato un viaggio lungo, talmente lungo che, durante il tragitto, si è ideato la sua personale colonna sonora: prendete le capacità melodiche dei Flaming Lips, gli slanci epic/emo dei Sunny Day Real Estate, una voce dai registri variabili (dallo scanzonato al denso crooning simil Peter Murphy), e mescolate tutto con strumenti vintage appartenuti a qualche sconosciuta cover band progressive dei ’70 e via…ecco una delle cose più fresche (gli altri sono gli Orange) di casa Snowdonia. A leggere sembra un calderone abbastanza….Impegnativo da credere, ma, se cosi fosse, vi consiglio di iniziare subito con "Girl From Venus", episodio regalato loro dal boss La Fauci (è un inedito dei Maisie), la versione dei Maisie è a me sconosciuta, quindi non posso fare confronti, ma quest’episodio, nelle mani degli Egokid diventa un singoletto nato per sorridere, una di quelle melodie capaci di risolvere anche una giornata nata nel verso sbagliato. Dopo, accomodatevi pure e godete con "Belagente" e "Burdizzo Bloodless Castrator" (Peter Murphy che scherza con i Sunny Day Real Estate), "Any 1000Creatures" (incredibile nel suo rivolgersi a Wyatt senza stonare), "Grey" (lunga, epica e melodica). Nel finale ampio spazio alle liquide escursioni di "Brother Model Or Mobile Brothel" e "The Egotrip Of The Egokid", la prima dai tratti pop/psichedelici, mentre la seconda è un vero "trip" lisergico dalla lunga coda rumorista. Al largo di una deriva psichedelica ecco puntare un Egokid, e noi tutti a seguirlo……..
Gianni Avella
EL GUAPO / Fake French / Dischord
A distanza di circa un anno da "Super/System", per il sottoscritto uno dei dischi migliori del 2002, arriva questo "Fake French" a mischiare ulteriormente le carte. Se il disco precedente (il terzo, per la cronaca, ma il primo ad essere uscito per Dischord e quindi meglio distribuito) scomodava i Devo, i Suicide degli esordi e i Kraftwerk, qui si piomba direttamente nell’electro anni ’80 e l’aria che si respira è più "pop". Ma stiamo parlando di un gruppo che sa il fatto suo e riesce a creare degli ibridi impossibili, vedi il valzerino elettronico di "I don’t care" e la disco schizoide di "Justin destroyer", poi troviamo anche l’episodio più canticchiabile della loro carriera, "Just don’t know", che vi rimarrà impressa come la musica di un videogame. Gli El Guapo hanno voluto tentare strade differenti, affiancando l’incedere kraftwerkiano e dislessico della title track a piccoli inni come "Underground" e "Space tourist", recuperando con ironia materiali alla Depeche Mode e unendoli con l’uso eterodosso della fisarmonica e delle tastiere. Un suono così spontaneo da sembrare l’unico possibile oggi. Più riascolto "Fake French" più mi vien voglia di cantarlo, che sia il contraltare melodico di "Super/System"? Chi non avesse mai sentito il trio si rivolga lì, li altri resteranno felicemente sorpresi.
Italo Rizzo
FABIO VISCOGLIOSI / Spazio / Santeria - Audioglobe
Riuscite ad immaginare un beat singer di qualche sperduta band di provincia italiana del ’65 che, di botto, decide di emulare le gesta di un qualsiasi "chansonier" d’oltralpe, rivestendolo di lustrini digitali alla maniera degli Air? Ok, forse chiedo troppo, oh miei succosi, ma se cercate la risposta a tutti i costi consiglio di dare un ascolto a tale Fabio Viscogliosi, emigrante italiano stabilitosi nella fascinosa Francia, dove, tra un libro (almeno una decina di libri al suo attivo), qualche disegno (le sue illustrazioni le potete trovare puntualmente ogni settimana nel quotidiano francese Le Monde), e collaborazioni di prestigio (è collaboratore live di Yann Tiersen, e lo si ascolta anche nell'album di quest’ultimo "Tout Est Calme"), stampa per l’italiana Santeria il suo debutto da solista. Spazio sembra l’ideale colonna sonora per qualche passeggiata autunnale sulle rive della Senna, oppure nei dintorni di qualche piazza italiana nelle ore notturne. Cantato in un italiano (l’unico episodio non cantato in italiano è "stranamente" cantato in inglese) che sembra preso in prestito da un Vandelli (quello capellone dei mitici anni ’60) transalpino, ed inserito in un contesto digital/avant pop, debitore tanto a Brian Eno (spesso), che a Robert Wyatt (qualche volta), senza tralasciare il Battisti del dopo Mogol (per intenderci, quello che flirtava con l’elettronica). Quattordici episodi ben distribuiti tra strumentali (dove si segnalano almeno "Apache", "Quantique" e "Cari Angeli"), e cantati (spiccano "Sogno Di Fesso" e "Ancora"), episodi dove Francia e Italia si cercano, si toccano, si baciano……. Spazio regala deliziosi momenti di vecchia Europa, qualcosa che accarezzerà tanti cuoricini.
Gianni Avella
GUASCOCTET / S/t CD 2002 / Guascarecords
Incrociati all’Athenée Libertaire di Bordeaux, sono (erano) un gruppo di argentini che vivono per strada da molti anni. Strumentazione acustica, gran composizione e senso del ritmo, la musica dei Guascoctet sta tra il tango, il free e la patchanka meno becera. Questo mini cd di quattro pezzi doveva servire a finanziare banalmente la vita quotidiana, tra una dormita sulla spiaggia di Barceloneta e una metropolitana a Parigi. Il gruppo non esiste ma più, ma la nuova emanazione Radikal Satan promette già faville, in compagnia di Api Wizz e altri amichetti del giro.
Jacopo andreini
HECKER / Sun Pandamonium / Mego
Come disse una volta il generale Technarx durante uno scontro con la Torcia umana: "Affermazione: …La fisiologia umana è vulnerabile a un impulso di suono solido". Si comincia venendo portati da un ascensore antigravitazionale ai piani superiori. E si sale e si sale fin dove si comincia ad aver paura delle vertigini. Ma non le comuni vertigini da terrestri per l’altezza, qui si parla di vertigini da decompressione astronautica fino alla liofilizzazione finale, all’assottigliamento conclusivo che fa sparire, smaterializzare perfino. Si consiglia caldamente di ascoltare, in tutto il dipanarsi della sua lunga lunghezza, la seconda traccia (capolavoro di rumorismo digitale per un autore il quale servirebbe all’industria del cinema di fantascienza; o diciamo pure al cinema d’avanguardia) chiamata Stocca Acid Zlook, partecipando alla quale (tramite fruizione uditiva) potrete immaginarvi di imbattervi in un burrascoso tornado spaziale , nell’occhio e nell’orecchio d’un ciclone caotico; fin quando , sp e/a zzati via dal tifone non incapperete in un’aggressione di calabroni galattici, in una invasione di superarpie androidi e in una battaglia tra intercettatori alla Capitan futuro. E forse non sarà nemmeno finita la bufera e forse vi sveglierete disturbati dal tagliaerbe in lontananza, in giardino. Ma solo per finta. La seconda traccia (che si fa beffe surclassando di brutto colonne sonore di film di fantascienza e soundtrack da videogiochi da consolle e non) è solo la punta d'iceberg d’un lavoro che promette la sua musica come una scienza (probabilmente la più virtuosisticamente rumorosa possibile) psilocibinica. O direi meglio la colonna sonora d’un avventura multidimensionale dei Fantastici quattro. Capitan futuro! Altro che Captain Beefheart! Vabbè, era solo una battuta, scherzavo.
Giovanni Vernucci
HIM / Many in high places are not well / Fat Cat
Io ora vi dico una cosa, in confidenza. Io a parlare di questo disco non sono buono. Avete presente quando non si trovano le parole per dire del bello. Ecco io non trovo le parole per dire del brutto. Allora o vi fidate o provate. Fate voi. Io vi avevo avvertito. Azzardo pure un qualcosa di mostruoso da perdonare per la sua sfocatezza: tra Bon Jovi di quindici (?) anni fa e i video degli audioslave; il tutto bollito nel rifritto del post. Assolutamente insopportabile. E questo ben prima di stroncare i dischi come atto rivoluzionario.
Giovanni Vernucci
HIM / Many in high places are not well / Fat Cat
Se già nel precedente "New Features" questo gruppo mi aveva convinto, adesso mi è proprio piaciuto. Anzi devo ammettere che dopo averlo risentito più volte mi è sembrato bellissimo. Sospeso fra atmosfere eleganti degne dei Tortoise o di Solex e ritmi di mamma Africa del miglior Youssun n'dour, è un disco che diverte anche per le sue geniali trovate che emergono fra le note, senza spararti in faccia la novità a tutti i costi. Se in qualche momento i più metallici o elettronici possono storcere il naso, vi garantisco che aspettando qualche secondo si rimane increduli da un accordo che avreste voluto inventare voi. Sarà, ma io sarei disposto a comprarlo a prezzo pieno (se trovassi l'LP che esiste, lo pagherei anche il triplo).
Supertotutuccio
JET JOHNSON: Tula / Errol
REYNOLDS: Love Songs / Errol
La Errol records è una giovine etichetta di Bristol, per la precisione di Portishead. Curioso come si chiudano i cerchi e si venga per vie così traverse a capire il senso delle cose. Da essa prodotto è il secondo disco dei Reynolds, da non confondersi con gli avanguardisti argentini Reynols, per intendersi quelli col cantante batterista affetto da sindrome di Down. Dopo il primo disco Field Recordings, i nostri sono sopravvissuti alla disgrazia della perdita del cantante, e sull'onda di tale emozione hanno deciso di continuare come progetto esclusivamente strumentale. Piaceranno senz'altro agli appassionati di quel postrock chitarristico americano edificato sugli insegnamenti della scuola chicagoana del decennio passato, presieduta da nomi che ricordare equivarrebbe ad una aperta offesa alla competenza del lettore. Come un maestro censore di blow up posso riuscire a descrivere con parole il suono dei Reynolds in termini di squarci melodici e progressioni dispari fino ai limiti del free di "Like Texas". Il cuore vince e la musica pareggia fuori casa. I Jet Johnson dal canto loro si preoccupano di celare sotto il nome che ai più nulla richiama la presenza in pompa magna di due (due!) membri di quei Billy Mahonie scorti spulciando il catalogo Southern nei momenti di tedio. E c'è anche Ian Scanlon degli Econoline, gruppo già noto ai più disoccupati tra gli estimatori di emo/math-core. La risultante di un cotale simposio di cervelli è questo piacevole Tula, divertissment di cauto post-loro stessi. La voce femminile della norvegese Caroline Nesbo ci accompagna con leggerezza nell'approssimarsi fatale e inevitabile della malattia e poi della morte, che speriamo giungere presto ma almeno non prima dell'autunno, quando il progetto, forte dell'apporto fisico e morale di due nuovi componenti, darà alle stampe un altro capitolo del sé. Ci piace la Errol records, etichetta da non tenere d'occhio poiché sarà lei a tenere d'occhio ognuno di noi. Per sempre. E sempre.
Onq
KABU KI BUDDAH / Life Is A Movie... / S.K.
Molto carini questi francesi, che hanno deciso di disfarsi della chitarra per veitare gli assoli da guitar hero. Fanno una specie di hc rock, ma con trombone, violoncello, basso e batteria e ogni tanto altre robette. Sono registrati e mixati tipo demo con tutti i suoni sbagliati ma al volume giusto, e questo li rende fuori posto ma personali. I pezzi mi piacciono molto, dal vivo devono essere molto belli se evitano quel vizio francese per il rock-festive, oramai un genere a sè oltr'alpe. La voce della signorina per approccio mi ricorda spesso quella di Marylise dei Vialka (che però ne sa mooolto di più). La voce del maschietto invece mi ricorda chiunque. Non so. Li ascolto (durano poco, anzi giusto) e mi fa piacere sentire questo suono scarno e diretto. Bravi. Cercateli almeno su internet pigri di merda che non siete altro: www.kabukibuddah.fr.st
Jacopo Andreini
KAMMERFLIMMER KOLLEKTIF / Cicacidae / Staubgold
Questo collettivo tedesco ci ha messo più di due anni per mettere a puntino questo suo terzo album. La combinazione elettroacustica di fiati ed elettronica, di archi, corde e sintetizzatori, lo studiato uso di percussioni acustiche ed elettroniche, la commistione di musica colta e cultura popolare, l’uso attento dell’errore umano e non che viene inserito come parte integrante delle composizioni, il metodo alternato e/o congiunto dell’improvvisare su basi programmate o di aggiungere a posteriori elementi sintetici a composizioni suonate, potrebbero sembrare l’ennesima prova di esercizio tecnico o dimostrativo che poco ha da dire. Invece si sente che a guidare la creazione della musica è lo spirito dell’espressione collettiva. Tutti questi elementi dosati insieme e mixati secondo un gusto che privilegia la spazialità, la silenziosità, la quiete, la raffinatezza delle sfumature del suono, hanno contribuito a far di questo album un pezzo pregiato di musica atmosferica non semplicemente avvolgente ma pure penetrante. Fino nell’intimo nel caso di quelle 3 o 4 tracce di sicura presa che ognuno a cui interessa questo genere di opera potrà godere. E non solo, visto che nessuno degli amanti dei Pink Floyd di mezzo più psichedelicici e rarefatti potrà perderselo. Se sapranno ancora esprimersi ai livelli delle loro tracce migliori (quelle dove la fusione di tutti gli elementi è più sciolta e naturale) daranno vita a qualcosa di importante in quest’ambito e non solo.
Giovanni Vernucci
KINSKI / Airs Above Your Station / Strange
Dopo tre minuti di fondale leggero ed atmosferico partono accordi di chitarra, un altro minutino e si aggiunge un'altra chitarra che suona alcune note in fila. Un altro minuto e dal fondo si innalza un crepitio noise che pare vada ad affossare il resto ma il resto resiste. Cosa accadrà adesso? Ecco: ingresso di batteria maestoso, accordi che sospendono elettricità distorta e siamo a sei minuti. Poi viene a sovrapporsi un'altra chitarra che dinamizza un po' e siamo a sette e mezzo. Rientra il tema della seconda chitarra dell'inizio. A otto e mezzo si sentono un po' di escrudescenze noise chitarristiche alla Mogway (?).A nove minuti ritorna la pace, la batteria si calma e si sgretolano piano le cordicelle. Per cinque secondi non si facevano i dieci minuti. La seconda traccia ci favorisce un interessante intro bello ritmato, poi entra la batteria ma il groove io lo sento più nella chitarra. Si insinua un po' di noise spettrale e continua l'interessante lavoro della chitarra iniziale che intanto s'evolve. Rientra la batteria come da copione. Subentra un riffetto spaccapalle. A tre e mezzo la chitarra tenta una fuga melodica. Riuscita la chitarra rimane il lavoro dell'elettrica ritmica per pochissimo. Al quarto minuto e quaranta prova a partire una cavalcatina che va a spengersi. E' il sesto e sei secondi della seconda traccia... Per dire, sentivo oggi uno dei pezzi iniziali di NY city ghost and flower e in un quinto del tempo (della cavalcata) davano il quintuplo dell'energia e dell'anima. Dopo trenta secondi di qualcosa di un po' più interessante il terzo pezzo prende vita, spunta una voce femminea e almeno un po' di parti di me cominciano a muoversi a ritmo. La batteria riacquista fortunatamente un senso. Anche le elettriche dopo una parentesi si riaffacciano più vive, e sto pezzo direi che può andare. Gli ultimi 50 secondi sono la continuazione del giochino dei primi trenta secondi iniziali. Per un pezzo che si chiama Rohde island freakout può andare. La quarta traccia è di undici minuti e il basso gonfio iniziale non promette nulla di buono, ma vediamo come progredisce. Si aggiungono la chitarra arpeggiata e la batteria, poi viene a intrecciarsi un'altra chitarra. Siamo a due e dieci e io speravo che fossimo a di più. Si ferma la batteria e le chitarre e il basso creano una deliziosa suspance piena di silenzio. Qui mi piace e spero che duri. Le chitarre dialogando molto semplicemente riverberano. Al quarto si impennano. Dopo trenta secondi riparte una nuova struttura ritmica, basso e batteria un po' in secondo piano e non è male. Al quinto e trenta riprende a correre una cavalcata elettrica. Io preferisco ancora quelle di Neil Young. Ecco sono cavalcate elettriche parecchio opposte a quelle di Neil Young. Siamo all'ottavo ed io già da un bel po' ho rismarrito il senso e l'utilità. Pare che ci sia un crescendo ma io devo essere parecchio miope. Quasi al nono si rienfatizza la batteria. Al decimo riparla la sola chitarra e un po' di vento. Poi rientra un'altra chitarra. E' il finale noise. E siamo al decimo. Anche questo niente di che ma almeno lavorare sul suono viene loro meglio che cavalcare con gli strumenti. Crash finale e siamo all'undicesimo e trentasei. Per cercare qualcosa di buono nella prossima traccia aumento il volume. I Think i blew it nuhs comincia con qualcosa di un po' diverso e va meglio. Vediamo come si evolve...Fino alla fine lievita dignitosamente e va a fluttuare. Pensieri cattivi nei confronti del batterista mi assalgono. Qui infatti non era presente. Sesta traccia. Il dialogo fra gli strumenti cerca di innalzarsi. Si riabbassa subito e non c'entra il batterista, il quale entra al quarto e trenta e stavolta dà un buon contributo a un pezzo che comunque per altri tre minuti e mezzo si snoda in maniera da copione . Manco ve lo sto a raccontare. Vi sarò sicuramente venuto a noia da un bel po'...Siamo alla penultima traccia. Al quarto decido di tirare fuori la parola ambient .Or ora parte un arpeggio pulitissimo . Dopo poco fa la comparsata intermittente un po' di noise in sordina. Un po' di sospensione e al quinto e spiccioli viene a dar man forte la batteria. Al quinto e quarantasette si riparte. Stavolta comincio un po' a rimuovere la testa. Batto le lettere un po' più spedito, a tempo. Per un attimo penso a quanto è bello l'inizio del Neu settantacinque. Miraggio lontanissimo. All'ottavo e cinque secondi il pezzo si spenge in un fischietto di feedback dopo regolare decrescendo. Getto la serg.magg. a bere un bicchiere d'acqua fredda. L'ultimo pezzo non ce la faccio. Vi lascio la sorpresa. No vabbene, arrivo fino in fondo. Tre minuti scarsi di ambient chitarristico per quella che forse nel complesso è la miglior traccia. La più breve. E' finito. A me ha dato la triste impressione di un disco poco improvvisato, poco composto e parecchio costruito. Costruito in una mancanza di ispirazione direi pressoché totale. E non so davvero se si sono divertiti a farlo e non capisco che rapporto abbiano col suonare.
Giovanni Vernucci
KRAKATOA / We Are The Rowboats / CD 2003 Cuneiform
Questi sono ragazzi che sanno il fatto loro. Un quartetto allargato, che con un bello spettro di strumenti suona rock con arrangiamenti cameristici. Nelle sedici tracce di questo album, registrato molto bene da loro stessi, c'è spazio per un ogni possibile direzione la canzone rock abbia preso negli ultimi 25 anni. Dai Rachel's agli U2, dai Portishead a Arto Lindsay (ma la critica li ha già paragonati a ogni altra band possibile, e nelle loro stesse parole "ascolta la nostra musica e trovaci le tue radici personali"), mantenendo un equilibrio di fondo impeccabile, che li rende non dico unici ed inconfondibili, ma sicuramente molto piacevoli. Danno un po' la sensazione dei primi della classe, ma davvero di fronte a composizioni come "You deflect Happiness" o "Orange Whistle" si fa tanto di cappello e si ascolta ancora. L'unico pezzo non originale (ma dal notevole arrangiamento personalizzato) è "Sabre Dance" di Aram Katchaturian, un altro che in gioventù spazzò via secoli di polvere dalla classica e sinfonica europea. Stanno nello stesso calderone musicale di bands come Barnacled o The Eyesores, un occhio all'Europa e le mani sull'America, ma come quelle band lo fanno bene, naturalmente e senza forzature. Romantici fino al buco del culo e rigorosi come i "rowboats" del titolo. E non cantano.
Jacopo andreini
LASPINA / Baby Champagne / Acide Produzioni
In ritardassimo eccovi recensiti i LaSpina. Lo so, non me lo perdonerete mai, saprete già delle meraviglie della band parmigiana, che soprattutto col primo lavoro — Da Molto a Molto Poco, del 2000 - ottenne grandissimi consensi da tutta la stampa nazionale. Il loro ultimo disco si chiama Baby Champagne ed è un lavoro splendido, come pochi se ne sentono in Italia: grintoso, energico, variegato, leggermente auto-ironico, un pochino strambo quasi fosse opera di dandy di periferia. Spicca su tutto il cantato, tra Celentano, i La Crus e Capossela, e i bellissimi testi che si imbattono in storie d’amore il più delle volte disperate e catastrofiche (indimenticabile "Firenze è sempre Firenze, e tu non sei più tu, sei molto di più"). Ma più che i contenuti stupisce la capacità del gruppo di creare grandi canzoni dalle mille sfumature con una strumentazione così minima ed essenziale. Difficile davvero citare i momenti migliori: di sicuro la splendida e sognante "Foto di Aprile", ove soffici arpeggi primaverili vanno a esplodere in un urlato finale a sorpresa. Stupenda anche "Comunque sono ancora convinto" che si arrampica su differenti registri vocali, o l’iniziale "Baby Champagne", rock arpeggiato sciolto ed energico cantato con non-chalance e spossatezza d’essere. Per concludere va citata ancora "Angela & Black", bellissimo testo per un pezzo d’atmosfera terzinato e quasi western. Sentite un po’, siete stanchi del solito indie? Del solito underground? del solito post-rock? Volete finalmente un disco bello che non vi faccia insultare dagli amici? Volete delle grandi canzoni capaci di darvi qualche chance con la ragazza da voi ambita? Beh, ringraziate Dio, ora avete i LaSpina.
BakuniM
LARVAL / Obedience / CD, 2003 Cuneiform
Un'altra nuova uscita su Cuneiform, un altro disco denso di suoni e immagini. Guidati dalla chitarra di Bill Brovold, i Larval sono attivi dalla fine dei '90 e hanno già pubblicato 3 album prima di questo su Avant e Knitting Factory. Non aspettatevi però schizzati zornismi, ché questo album è fatto di stratificazioni. Tanta tanta chitarra, e poi vibrafono, sax, violoncello, basso e batteria. Un po' d'arpa, ma tutto al servizio della composizione. Il suono è veramente imponente, dal vivo sono loud, e su disco possiamo apprezzare le tessiture armoniche senza farci perforare le orecchie (o se proprio ci tenete basta mettere il cd su un bel 1000 watt e alzare fino a 0db). L'andamento è comunque in qualche modo rilassato, lambendo i territori oramai normalizzati nel termine postrock, anche se si sente che qui c'è del muscolo e probabilmente questa gente ogni tanto suda. Ma suda molto nel cervello, e i pezzi da 13 minuti sono lì per inghiottirvi e masticarvi ben bene. A voi uscire indenni da Her last good day (davvero molto molto bella) o dalla maratona di One day I just kept on walking (appunto). Che mr. Brovold sia attivo da 30 anni, che abbia lavorato con tutti i famosi, che abbia fatto dischi in giappone, che sappia suonare benissimo la chitarra a me frega poco. Mi interessa sentire che questo disco tornerà sul mio lettore cd ancora, e per motivi ogni volta diversi.
Jacopo Andreini
MARIPOSA / Domino Dorelli / Santeria - Audioglobe
Dopo il primo atto intitolato "Portobello illusioni", si riapre il sipario del teatrino dei Mariposa e in questo secondo atto entra in scena anche Enzo Cimino (batteria, percussioni e missaggio) accanto ad Alessandro Fiori (voce, violino, pianoforte), Enrico Gabrielli (fiati), Gianluca Giusti (pianoforte, tastiere), Michele Olivieri (tastiere, pianoforte) e Rocco Marchi (basso, minimoog, chitarra). Immutata la scenografia: testi surreali, citazioni colte, puri divertissement, costruzioni art-rock e spirito dissacrante (osservate bene il collage di copertina…). Parafrasando il testo di "Undici la" i Mariposa sono "troppo piccoli per fare i cantautori, troppo grandi per fare i cantastorie", vale a dire difficilmente classificabili ed assolutamente stralunati. Epilogo con la filastrocca di "La linea e il cynar" e poi cala nuovamente il sipario. Applausi.
Guido Gambacorta
MARIXPERIENCE / New Trippers / Gnomexperience
Mari X è una realtà della scena rock palermitana. L’etichetta Gnomexperience fa parte dell’intero progetto artistico. New trippers è del 2001, due è del 2002. New trippers lo preferisco perché le sue chitarre, le sue cadenze lente e visionarie, i suoi strumenti acustici, le sue atmosfere mediterranee, le sue canzoni sentite e motivate da un'urgenza serena (tutto questo e pure altro che non sto qui a fare oggetto di discorso perché dovrei parlare di cose quali: le timbriche vocali e la pregnanza lirico melodica del cantato, oppure la dinamica dei brani), me lo hanno fatto tornare ad ascoltare con piacere e mi hanno pure spinto a farlo circolare in giro (pensate quanta qualità e spessore avrebbe acquistato se i testi fossero stati cantati in italiano!).Due ha suoni più pesanti, la compattezza dei brani è più energica, le digressioni strumentali più gratuite. La produzione è più nordica e professionalmente pulita e questo di per sè non è un male, ma probabilmente alle mie orecchie il lavoro fatto sul primo disco ha più giovato perché più naturalmente vicino allo spirito della band. A questo punto devo anche dire che due oltre all’iniziale intro (che trovo personalmente la cosa migliore) presenta alcune riuscite canzoni anche orecchiabili, liberi arrangiamenti che rispetto all’esordio accantonano gli strumenti acustici per preferire sinth vari, peraltro a volte usati anche benissimo, chitarre elettriche e chitarre comunque più dure anche quando pulite. Ed inoltre reca il lodevole tentativo di cantare in italiano e spagnolo oltre che in inglese. Ma MariX è anche la famigliare creatura di Gianfranco Marino (chitarrista di estrazione noise) e dentro c’è parte della sua vita. All’interno del primo album c’è una traccia chiamata Sebastian first experience che ce ne dà uno scorcio. E Sebastina dovrebbe essere figlio del fido Sciacca Francesco, altro elemento della band. Il secondo album porta nelle immagini dell’artwork foto tratte dall’ecografia del figlio di Gianfranco, Rei, in arrivo; e ancora altre immagini famigliari. E pure la traccia iniziale di introduzione prima nominata è chiamata Rei first inner beats. Aspettiamo (mi raccomando, a tempo dovuto; e non troppo di fretta) il terzo capitolo d’una discografia da tenere presente, ritenendo che ci possa riservare delle sorprese crescendo e maturando parallelamente e insieme alla vita del suo leader e di chi gli gira intorno. Chi volesse verificarli dal vivo può contattare: gnomexperience@hotmail.com.
Giovanni Vernucci
MARLENE KUNTZ / Senza Peso / Virgin
Io mi scusa con tutti voi lettori di giornala. Io so che voi abituati a ottimo e corretta italiano di giornalista Fanfarello, ma ora lui è tanto di malato, sta disteso su suo letta, che lui chiama letta di morte, lui febbre alta. Io mi chiama Teresa, perché mia madre era tanto devota di questa santa e faccio cameriera in casa di signore giornalista. Lui tanto amico di signore direttore Marco Di Dia e siccome signore direttore serviva subito recensiona di questo disco lui detto me: Teresa, fai tu. Tu capisci, lettore di giornala che per me è grosso onore, lui dice sempre che vendite di gruppo dipenda da cosa giornalista dice, io sempre di parte di popolo e non volere fare danno a nessuna con mia parola di poca competenza. Questo gruppo è nominato Marlene Kuntz e io dico che questi ragazzi sono brava, io penso, quando io faccio piatti di signore Fanfarello io accendo piccola radio e cerca stazione di polonia, ma signore ha braccino corto con sui soldi e dato me piccola piccola radio che io ho grande culo (scusa brutta parola) se posso sentire il signor digei Albertino (lui ammazza me di risate). Quando io sento il rock in piccola radio io sento grande battito in mio cuore, come piccolo terromoto di tetta tettonico (scusa brutta parola).Io crede che questi ragazzi che suonano rock sono brava, io piace chitarra però io pensa che poi dopo un po' io spacca palla. C'è quella canzone di amore che si chiamare "Danza" questa è canzone di grande sentimento di amore per donna io pensa, come io sentivo a mamma mia cantare a mio papa quando io era in grande terra di Polonia. Però anche questa dopo io creda che spacca palla, però io ho poca di esperienza, tu sai questo. Però io crede che questo che scrive parola di canzone è straniero come me, forse lui di ungheria senza permesso di soggiorno e lui fa finta di essere di Italia per stare in vostro bel paese di merda (scusa brutta parola) perché io non capisce niente di quello che lui canta, forse lui prende parola di vocabolario e legge a caso (scusa brutta parola, ma forse non brutta parola così brutta come a cazzo).Io pensa che questi ragazzina con cantante di Ungheria finto italiano poi un giorno saranno di grande rockstar e io faccio loro auguri, perché tu sai che è brutto guadagnare soldi lavando casa di grande disordine di giornalista Fanfarello. Loro bravi ma io preoccupata di cantante perché sembra me sempre molto disperato quando lui canta, ha sempre questo tono di uomo malato, come Teresa quando suo ex mandato a fare nel culo (scusa brutta parola).Lui (il cantante di Ungheria) ha sempre come gola grattuggiata e tono di mendicante che dice: signora bella, hai spicciolo?Io non potere mangiare se tu non dai spicciolo. Cosa ha fatto italia a questo cantante di Ungheria?Io pensa che questi ragazzi molto bravi, molto belli, molto buoni ma forse dovere allenarsi ancora molto per diventare rockstar un giorno di domani. Io adesso stacca disco e torno a mio lavoro di lavare piatti e anche ad altro compito digrossa vergognosità che io faccio a signore giornalista Fanfarello, ma lui detto a me di mai dire a nessuno perché lui dice che finire in galera sia io che lui. Io spero di non avere fatto di brutta figura. Io spero che ci essere prossima volta per noi.
Teresa Oblomov
MÄRZ / Love Streams / Karaoke Kalk
Il glitch pop da sottogenere dell’elettronica è diventato ormai un vero e proprio genere e con il moltiplicarsi dei dischi, dei gruppi e delle etichette di riferimento è cresciuto ovviamente anche il rischio di imbattersi in produzioni sempre meno valide ed originali. Rischio dal quale si tiene ben lontano il progetto März, duo tedesco composto da Albrecht Kunze ed Ekkehard Elhers (già accasato presso la Staubgold, etichetta di Colonia proprio come la Karaoke Kalk). La materia di partenza è la solita - morbide trame elettroniche, delicatezze acustiche, intonazioni pop - trattata però dai März con rara sensibilità e con un tocco ammirevole di soave levità. Ad ogni nuovo ascolto "Love streams" regala piacevoli sorprese: i riflessi argentei di "The cricket song", i gorgoglii di "The rain rains", la brezza che soffia tiepida nella title-track… E la traccia techno di "Love streams" - "Chelsea boys" - inserita com’è dopo le carezze di "Interlude # 1", addolcita dal tintinnio di mille campanelli e seguita dal sorriso di bambino con cui si apre "The histeric song", sembra proprio una nuvola sospinta dal vento nell’azzurro terso di un cielo primaverile.
Guido Gambacorta
MASSIVE ATTACK / 100th Window - Special Cases / Virgin
Andate a recuperare una traccia a caso di "Mezzanine", che so "Risingson", sezionatela in mille particelle, prelevate una di queste particelle, estraetene la radice quadrata e ciò che avrete ottenuto mandatelo in loop fino a quando non vi renderete conto di essere scivolati dentro "Small time shot away". Oppure andate a riascoltare la title-track di "Mezzanine" e poi elevatela al cubo: ecco prendere forma "Butterfly caught". "100th window" suona proprio così, come un’operazione algebrica o una costruzione geometrica applicata al materiale di "Mezzanine". I Massive Attack del nuovo millennio (in questo momento ridotti alla sola figura di 3D in seguito alle dimissioni date da Mushroom e per via del periodo di riposo sabbatico preso da Daddy G) sembrano badare molto di più all’architettura che al ritmo, al suono puro - suono in quanto tale - piuttosto che all’anima che dovrebbe alimentare quel suono. La centesima finestra si apre su un lungo corridoio alle pareti del quale non appaiono né colori reggae (la voce di Horace Andy in "Name taken" sembra lievitare come quella di un alieno….) né tanto meno velleità pop (perché non sono pop i tre brani cantati da Sinead ‘O Connor). Un lungo corridoio appena rischiarato da luci al neon. Percorrendo la penombra del corridoio si può restare confusi, persino spauriti nell’osservare le pareti completamente spoglie. Un vago senso d’ansia assale ogni singolo passo. Se qualcuno dovesse pensare che "100th window" è l’atto di morte dei Massive Attack, gli consiglio di andare ad ascoltarsi "I against I", canzone scritta nel 2002 con Mos Def per la colonna sonora di Blade II e adesso inclusa nel singolo di "Special cases": un pezzo di incredibile potenza che prefigura ciò che sarà il rap da qui ai prossimi dieci anni! Prova evidente che la creatività dei Massive Attack è ben lungi dall’essersi esaurita. Un lungo corridoio del quale non si intravede ancora la fine.
Guido Gambacorta
MEDUSA / Punkmotocross?? / Extra Labels
"Amici miei" apre il cd dei friulani Medusa: suona come i Green Day, e questo non è necessariamente un complimento. Ma "Punkmotocross??" non nasce e muore qui. "Essere" vive di sferzate più autenticamente punk e il riff imponente de "Il mio gatto", arricchito dall’indovinato contributo di Caparezza, ci fa capire che i riferimenti sono anche altri; non a caso "Figa" s’accosta alla scuola hardcore anni ’80. C’è spazio anche per lo ska di "F.O.P." e per il rock di "Guardo un po’ più su". Ma il meglio i Medusa lo concentrano nell’ultima traccia: "Sistemato" ha riff, ritmiche, linee vocali e cambi azzeccatissimi, degno omaggio al punk "pogaiolo", distruttivo e verace della fine degli anni ’70. Un buon disco, insomma.
Vanni La Guardia
MEGANOIDI / Outside The Loop, Stupendo Sensation / Alternative - Venus
Ricordo una data del goa boa festival in cui una band genovese semi sconosciuta ci aveva fatto muovere il culo con ritmi ska incalzanti e ritornelli accattivanti del tipo supereroi vs la municipale o meganoidi contro daitan 3. Sono passati quattro anni da allora, un album d’esordio che ha ottenuto tanto successo da dover essere addirittura ristampato, il video tormentone della omonima "meganoidi" che ha imperversato per buona parte del 2001 su MTV ed un successo di pubblico che li ha portati a presenziare nei principali festival italiani. Che fanno i nostri robottini, si siedono sugli allori e sfornano un secondo album fotocopia facile facile, magari svendendosi a qualche major? Neanche per sogno, decidono di autoprodursi, si chiudono nel loro studio di incisione per sfornare dodici nuove tracce, volano oltre oceano per mixarle con un taglio più ruvido, ed il risultato è davvero notevole. Dimenticate quasi totalmente i Meganoidi che avete conosciuto, i nostri hanno deciso di mettere un po’ di anima al sound hard core californiano che imperversa dalla metà degli anni novanta. Chitarre distorte e ritmiche dritte, fiati non più chiamati a scandire il tempo in levare ma che riempiono il suono e gli danno un calore tutto particolare che contraddistingue queste tracce da una mera riproduzione di un genere ipersfruttato (l’hardcore melodico per l’appunto), un cantato equilibratamente incazzato e per fortuna quasi esclusivamente in inglese. Inside the loop e The penguin against putrid powell hanno tutte le caratteristiche per diventare le traccie simbolo di questa mutazione, Seven years ago è forse il pezzo più fedele al genere di riferimento, la fine quello più nostalgico dei "vecchi" Meganoidi, ma più in generale questo è un album da ascoltare tutto di un fiato. Ottima la cura grafica e fotografica della copertina e del booklet, e degna di nota la decisione di piazzare il tutto a tredici euro (potere dell’avere un po’ di dignità e la determinazione di amare il proprio "lavoro").
Old Admin control not available waiting new website
in the next days...
Please be patience.
It will be available as soon as possibile, thanks.
De Dieux /\ SuccoAcido