OFFICINA MUSICOTEATRALE FLEB / Petali Di Rose...In Dissolvenza / Autoprodotto
Questo è il genere di produzione discografica che al vostro recensore preferito sta davvero sul cazzo! Beninteso, non voglio offendere nessuno: amo gli Artisti (notare la A maiuscola), mi fanno tenerezza, danno ottimi party post-teatrali (mmmm quel crudo era divino...ma quel grana era riserva speciale? oh-oh-oh quel Berlusconi mi fa orrore...dio mio la guerra, è solo questione di soldi). Cosa sentirete comprando questo cd? Sentirete degli sprazzi di canzone popolare filtrata dal cervello perverso di intellettuali di sinistra, anzi meno male che non c'è più Santo Fazio a Sanremo! Altrimenti ci ritrovavamo gli Avion Travel 2 (la vendetta). I testi sono un polpettone filosofeggiante e simil/poetico davvero indigeribile, la recitazione è stucchevole, il cantato inutilmente enfatico. Bocciatissimi.
Fanfarello
ONEIDA & LIARS / Atheists Reconsider / Arena Rock Recording
Split single dall’evidente valore intrinseco questo tra Oneida e Liars, come una sorta di manifesto, un incontro/scontro inaspettato quanto prevedibile tra due delle band che stanno ridando lustro all’undergruond Nuovo Yorkese. Il gioco è diretto ed affascinante: Liars che coverizzano gli Oneida e viceversa, più una manciata di inediti a testa, per un totale di 26 minuti che in ogni modo seguono la scia delle loro più recenti uscite. Ad aprire sono i Liars che trasformano la "Rose & Licorine" degli Oneida in un’incredibile e "luccicante" wave song dalle forti reminiscenze pop Eno-iane (molto alla Needles In The Camel’s Eye), gli Oneida da parte loro partono prima serratissimi con la punkoide "Privilege", confermano tutte le loro radici garagiste in "Fantasy Morgue" e violentano la "Every Day Is A Child With Teeth" dei Liars. La palma dei più flippati va ai Liars di "All In All A Careful Party" e "Dorothy Taps The Toe Of The Family", scanzonati esempi di pura improvvisazione. Opera dal valore fortemente simbolico, ma se si vuol sapere cosa passa oggi la grande mela "Atheists Reconsider" diventa tappa obbligatoria.
Gianni Avella
PAUL + PAULA / Fotografei Voce Na Minha Rolleyflex / Fosbury
Questi qui vorrei stroncarli perché ci ho messo 22 minuti a scrivere il titolo, anzi colgo l'occasione per invitare tutte le band ad esordire con il classico "s/t". La Fosbury è un'ottima etichetta, ho l'impressione che sia gente che lavora con passione, senza fronzoli e fanfaronate auto-celebrative. Lo dimostra il fatto che a parte i terrificanti Valentina Dorme hanno pubblicato l'ottimo nuovo ES e questo disco che è più che godibile. Fotografei...suona davvero bene, è vitale, vario, divertente, ci sono inaspettate aperture psichedeliche, rallentamenti, una voce psicotica come quella del nostro amato David Byrne, una gran bella scrittura delle canzoni che unisce certa wave (talking heads, devo) al meglio degli anni 90 o 00 (Radiohead). "aPProximate to one inch your way to lose control" (allora è un vizio quello della lunghezza) ha una melodia bellissima e un cantato a cuore aperto, polmoni spalancati, come una invocazione, come un urlo fatto perché serva a qualcosa, a risvegliare le coscienze, a far star bene la gente, non so. Bravi, promossi!
Fanfarello
PECKSNIFF / Elementary Watson / Merendina
Questo disco non me lo sarei mai aspettato dalla band parmigiana dei Pecksniff - nota ai più come titolare di due grezzissimi pezzi noise-garage sulla Porno-compilation snowdoniana. Innanzitutto notiamo un radicale cambio di formazione della band: del trio originale rimangono soltanto Stefano Poletti (voce e chitarra acustica) e Filippo Bergonzi (chitarra e basso), mentre il batterista Marcello Poletti è stato sostituito dal più sobrio ma ugualmente efficiente Massimo Morini. Al loro fianco è da segnalare la presenza di una bravissima corista (Patrizia dall’Argine, vi ricorderà la voce meravigliosa di Kate Pierson dei B52’s) e di due "suona-giocattoli" (Simone Sommi e Fabrizio Battistelli). I nuovi Pecksniff, pur conservando un certo ideale di slackerismo pavementiano, abbandonano il "feel" hard e disarticolato degli esordi per spostare il loro baricentro verso una ricerca melodica delicata, essenziale, quasi infantile. Termini di paragone in questo senso possono essere quelli di Jad Fair, Beat Happening, Violent Femmes, Guided by Voices, e molti altri autori del primo lo-fi. Passando al disco, diventa da subito difficile descrivere le meraviglie che vi si trovano racchiuse e compresse (24 minuti appena, ma davvero ultra-carichi di idee ed originalità). Diciamo subito che la forma canzone dei Pecksniff è disarticolata quanto quella degli Half Japanese e il loro impegno a suonare più svogliato più di quello dei Pavement. Ma niente paura. I pezzi – che suonano frantumati, incompiuti, sbriciolatisi sul più bello – non portano mai a termine nessun tipo di discorso formale tipico del pop, caratteristica che – se potrebbe far venire a qualcuno la voglia di accusarli di "frammentarietà" - non fa altro che aumentare il fascino indicibile di queste melodie perfette e ridotte all’essenziale, cantate con grande personalità dalla voce bislacca di Stefano, e suggellate dagli altrettanto riusciti contro-canti di Patrizia. I pezzi sono quasi tutti di buon livello, anche se ve ne sono alcuni che spiccano nettamente. Per esempio si rimane incantanti quando dopo la filastrocca di The Bees Attack! ci si imbatte in quella delizia di dolce e malinconico pop-rock dal titolo Trobules and Clouds, che vi farà innamorare al primo ascolto. Il brano parte con un vigoroso refrain di armonica, per poi muoversi su linee di voce e di basso degne addirittura dei Cure di Boys Don’t Cry (non sto esagerando): accanto alla voce, straziata e sbilenca - sempre capace di conservare una certa auto-ironia - entrano al terzo giro poche note di chitarra che siglano uno dei momenti più belli e memorabili di tutto il disco. Susy D.J. è invece una deliziosa perla di lo-fi acustico, minimale, essenziale, quasi sussurrata, tutta giocata su accordi pieni di chitarra e intrusioni lievi di piatti e percussioni, seguita dal country-garage di A Book Into Your Eyes, che mi ha fatto tornare alla mente addirittura i misconosciuti DM Bob and the Deficits (folle roots-band che usciva su Crypt). E’ infine la volta di Sea of Grass, che assieme a Troubles and Clouds rappresenta il pezzo più riuscito del disco. Ascoltate il delirio psichedelico che si sente nel finale e ditemi quale altra band italiana è mai state capace di cose simili. Quando poi sembra tutto finito, si sentono partire una drum-machine e un synth che snocciolano note parecchio care alla memoria: la ghost track è in realtà una cover della splendida "Today I Started Celebrating Again", brano di Will Oldham presente sulla compilation In The Groovebox (e secondo il sottoscritto una delle sue gemme più preziose…). La versione dei Pecksniff è praticamente uguale per quel che riguarda la base musicale, mentre è la voce di Stefano a stravolgere tutto, quasi lo sbigottito refrain di un ragazzo qualsiasi che intona uno stonato inno alla vita. Positivo. Insomma, ho speso una marea di parole cercando di comunicare a chi sta leggendo la bellezza, la malinconia, la forza e la dolcezza che si celano in questi "pezzi" dei Pecksniff. A voi basterebbero invece solo pochissimi euri per fare vostro questo disco meraviglioso, ed essere felici. Ve lo consiglio caldamente.
BakuniM
PILAR TERNERA / Autoprodotto
Che disco di merda! Proprio musica del cazzo! Ahahaha vi siete spaventati vero? Sto parlando con Sara e Oliviero i due creatori ed esecutori di questo intimo gioiellino discografico. Questo è il classico cd che se spedisci la band in studio viene fuori una roba che spazza via in un sol colpo metà delle pagliacciate musical/intellettuali che ci tocca sorbirci ogni giorno. Credetemi: c'è più creatività in queste 17 canzoni che in tutto il recente catalogo Kranky! Non so da dove iniziare per descrivere la bellezza di queste composizioni. C'è una dolcezza che non è mai zuccherosa, un senso del perdersi, del mistero che non è mai auto-compiacimento. Echi di Durutti Column, piccoli mantra psichedelici, tastierine perfette ed insinuanti. C'è più poesia in queste 17 canzoni che in tutta la recente produzione degli Sterolab! Ecco un progetto da sostenere davvero con passione, non lasceteli soli.
Fanfarello
PIN PIN SUGAR / Latex Duellos / Bar La Muerte
Questa recensione è un racconto breve o un breve racconto oppure…
Introduzione e nota dell’editore: i Pin Pin Sugar bazzicano nelle periferie di Milano già da diverso tempo…hanno pubblicato due mini CD autoprodotti che mostravano le evidenti potenzialità del gruppo. Del primo segnalo tre brani (Cervello di gallina inchioda zucchero, Chevrolet, Chettary) che recano subito il marchio della voce strafottente di Nicola Ratti, uno schiaffo alla quotidianità urbana…la chitarra dello stesso si divide tra riff corrosivi in contrappunto al basso e semplici ma efficaci armonie di stampo jazz. Il basso e la batteria sono in perenne lotta fra di loro…Chet Martino (basso-slapper omicida!) ci angoscia con la sua martellante pulsazione sonora…la batteria di Franz Scardamaglia completa degnamente la stato comatoso dei tre, senza sgarrare dalle linee: se i Police facevano "Regatta", i Pin Pin Sugar fanno sicuramente "Jazzatta". Consiglio la richiesta di questo Ep ai fautori del misfatto…
Capitolo 1-2-3-4-5-6 Schnauzkrampf: l’entrata è un trionfale accordo pianistico degno del miglior krautrock tedesco, come del resto la chitarra in stile iracheno pronta a sgozzare il marines di turno…
Capitolo 7-8-9 Stinco: un felice intermezzo-relax con scambio allucinato di chitarre lasciate al loro destino di accordi pieni…una fuga di basso assolutamente parsimoniosa, se non geniale nei suoi approcci ammiccanti con la chitarra…
Capitolo 10-11-12-13-14 Istamina: l’input del sax mi riconduce alla tensione di suoni liberamente abbandonati alla vena ironica del gruppo…la voce sempre impeccabilmente al suo posto, senza scassare le balle come fanno certi gruppi nostrani che sembrano aver scoperto l’acqua calda, perfetto compendio alla musica sghemba del gruppo…
Capitolo 15-16-17-18-19 Deus Sive Natura: il sax di Andreini mi ricorda alcune fasi dell’avventura sonora di David Jackson nei Van Der Graaf Generator (magari lo sto offendendo…ma a me piacciono moltissimo), cosa che rende questo scorcio sonoro un intro spiazzante per la voce-megafono di Nicola Ratti, per la ritmica semplice e complessa di basso e batteria, un pezzo molto esistenzialista…a giudicare da quello che ho capito dal testo…
Capitolo 20 Bei: Ancora il sax in primo piano, con stacchi da krautrock, basso e chitarra vigorosamente d’accordo nel rendere il pezzo un divertissment in collaborazione perfetta con la batteria impeccabile del Pin Pin…
Capitolo 21-22 You have no Shrimp: grande overture collettiva, veramente un capolavoro armonico-ritmico…il sax è quasi disperato nel dover seguire quei tre pirati sonori…
Capitolo 23-24-25-26-27 Fishpool: capolavoro indiscusso del PinPin-lavoro, un riff che strappa applausi e pogo a scena aperta…lo conoscevo dai tempi della loro calata abruzzese, quando i tre furono protagonisti di una rassegna musicale pescarese…Chet che detta il colpo sul pesce, canto onomatopeico asincrono, radio-tuning-murene incazzato, break psiche-deviato-fritto, riff-fishpool di chiusura a ricordarci che il massacro di pesci non è terminato…
Capitolo 28-29 American Blend: Altro radio-tuning per introdurre un inseguimento urbano di strumenti alla ricerca della conferenza stampa più acclamata del nuovo millennio…
Capitolo 30-31-32-33-34-35-36 Elisir: Elisir di lunga vita…un attimo di pausa…neo-chitarre armonicamente interessanti…lasciate al libero sfogo del proprio cervello…l’incursione finale dell’elettronica è forse una promessa sul futuro…magari un giusto incrocio tra analogico e digitale per nuove interessanti sorprese…
Epilogo: Bar La Muerte ha fatto un buon acquisto…les hommes mechaniques alla Ferdinand Legèr della copertina ricalcano appieno la sghemba struttura delle composizioni dei Pin Pin Sugar, un duello tra costruzioni labili e sempre ad un passo dalla rovina, contro qualcosa di insondabile che tutti i compositori devono affrontare per plasmare la materia sonora…
Danilo Boh!
PUNCK / Mu / Autoprodotto
Peccato per l'assoluta sciatteria grafica di questo demo, perché il contenuto è notevole. E' il classico cd che i giapponesi avrebbero messo in una strana custodia di pelouche oppure dentro una scatola di metallo da messo chilo con dei graffiti incisi con il cacciavite. E' francamente difficile non fare cazzate ed emozionare la gente con delle frequenze sporcate da rumore di vinile e sintetizzatori sospesi. Punck riesce con questi pochi mezzi a farmi provare delle emozioni, mi spinge a chiudere gli occhi, a tirare fuori le mie paure, seppur solo per una ventina di minuti. Bravo Adriano Zanni.
Fanfarello
PUNTOG BLU / 5 Gradi Di Escursione / Self
Energico power rock su giri di basso pop-wave, il tutto cantato in italiano. La risposta nostrana agli Interpol? Ascoltando il brano d’apertura potrebbe sembrare, ma subito il discorso si complica, la loro materia pop si sposta su coordinate a metà strada tra new wave, post-rock in forma canzone ed emo-indie ben scritto (Blu, Aprile), e via discorrendo una lista di influenze che spazia dai Pavement più normali, agli Slint in versione pop (soprattutto per certe chitarre) agli Interpol più diretti. Una cosa è certa, il punto di forza dei Puntog Blu - non certo il nome, tra i più brutti di tutti i tempi – va ricercato nel desiderio forte e quasi ossessivo di immergersi in una scrittura pop d’autore, stando sempre attenti a sconfinare volontariamente e il più possibile in territori indie di vario tipo e in atmosfere dilatate al passo coi tempi (a tratti vi verranno in mente i Radiohead, per esempio in "Facilmente"). Si nota poi la volontà di confrontare le loro esplicite influenze con l’originalissima voce di Gianluca Romele, che riesce a dare ai PB quel tocco di personalità che le musiche non riescono a costruirsi autonomamente. Tutto sommato un disco piuttosto piacevole, anche se in fin dei conti – ma guarda un po’ – si tratta di roba già sentita e ri-sentita.
BakuniM
R.U.N.I. / Ipercapnia In Capannone K / Wallace
L'importanza di questo disco è innanzitutto sociologica, perché attualmente i R.u.n.i sono quello che fu Gianni Brera in tempi migliori: un cantore della padania. Figli che sgozzano i padri...che cosa hai combinato?? Non si venga mai a sapere!!! (cosa c'è di più folk al momento attuale dei baby killers?). Allevati da genitori che leggono Gente e Oggi e tornano a casa con in testa i ritmi odiosi della fabbrica o il ronzio insopportabile dei microchip (è un fischio lungo lungo lungo). Sono un macellaio e ti sgozzo, perché non mi sei mai piaciuta, ti mangio qui. L'importanza di questo cd è che riesce finalmente, in maniera semplice e "corretta", ad uscire fuori da quella malattia sociale che chiamiamo post-moderno. Il loro kraut-rock (Imbocca il Down tedesco) non è semplicemente un omaggio o peggio una citazione scolastica, non lo è perché senti chiaramente che quella forma si adatta alla perfezione ad una realtà viva, dura, concreta. I can metallurgici, i Faust come colonna sonora della paranoia da ufficio e del lavoro interinale, del mondo di zombie di cui Silvio I il grande è il simbolo più visibile (da tutti). Il peggio del fordismo si sposa al peggio della new economy e "semplicemente" i R.U.N.I lo mettono in musica. Ipercapnia in capannone K: una pagina di storia italiana.
Fanfarello
SKIANTOS / La Crema / Latlantide
Freak Antoni, come un porno-attore: signore della crema. Gli Skiantos, così come i GRANDISSIMI Squallor, ci hanno sempre ricordato quello che siamo: mentecatti di nero vestiti che parlano di guerra, pace, post-moderno, Stanley Kubrick aspettando con ansia di restare soli per poter ruttare, petare e sognare di accoppiarci furiosamente con una gnocca della TV a caso (compresa Mara "tetta rovente" Venier). Cosa posso aggiungere per glorificare per sempre questa enorme band? Sarò grato a vita a questi cazzoni perchè mi danno la possibilità di essere un italiano terrone senza alcuna vergogna. Gli Skiantos appartengono a quella schiera di intellettuali consapevoli del fatto che quasi tutte le nostre costruzioni mentali sono foglie di fico che a malapena nascondono la vergogna di essere animali. Chiunque di noi sa, in cuor suo, che la Pausini, il suo Marco (scappato via per non tornare più), vuole scoparselo di brutto, magari facendosi frustare e chiamare brutta zoccola. Gli Skiantos li amo perchè sono invidiosi e rancorosi, prendono per il culo le canzoni per l'estate e ne fanno una perfetta, dimostrando, ancora una volta, quanto sia gudurioso detestare il concetto amando la forma. Gli Skiantos mi fanno godere tantissimo con il loro rock sbilenco, sporco, orecchiabile, cantabile, ballabile. In fondo ci invitano semplicemente ad essere onesti con noi stessi, è così difficile? Dimenticavo: Alina è una piccola troia. Il mercato discografico in crisi cerca di aprirsi a nuovi bacini di utenza, e dio solo sa quanto siano IN i pedofili! Prendi una pre-lolita bionda, mettila con la panza di fuori, scrivile una canzone piena di doppi sensi e il gioco è fatto! Ahhh Alina, siiiii Alina, godooooooo Alinaaaaaa...
Fanfarello
SHARKO / Meeuws / Bang! Music
Era dai tempi dei Police che non sentivo Sting così in forma! Che si sia lasciato alle spalle le menate sulle foreste pluviali, sui bambini poveri, sull'aids stragista e sia tornato a fare buona musica? Beh pare proprio di si, sono belle queste canzoni. Un attimo, amici, prendo la velina, magari c'è scritto il motivo di questo ritorno al passato. Ahhhhhh ma era troppo bello per essere vero!! Non è Sting, è semplicemente uno che canta come lui! Si chiama David Bartholomè, è belga però bazzica molto gli stati uniti. Non sapevo che esistesse questo signore, però questo disco non è affatto male, fresco come un fiorellino di primavera. Si tratta di quelle canzoni alle quali non puoi non affezionarti perché sono simpatiche e emanano onestà nota per nota. Mi pare di aver letto una volta sul Manifesto, a proposito del buonissimo CD d'esordio di Babybird, il termine dark pop; visto che sono comunista e devo allinearmi ai dettami del mio quotidiano di riferimento, vi dirò che questo è un bel cd di dark pop. Se come me amate Babybird e i Police compratelo, magari non subito a prezzo alto, ma se lo beccate usato non fatevelo sfuggire!
Fanfarello
SHIPPING NEWS / Three-Four / Quarterstick Records
Three-Four non è il nuovo album degli Shipping News, ma una raccolta di tre E.P. usciti solo per il mercato americano. La particolarità di tale progetto e che gli E.P. sono nati dalle menti di ogni singolo membro del gruppo, che Rinchiusi in studio nell’arco tra 2001/2002 decisero di dare ampio sfogo alle loro voglie musicali, senza che nessuno ascoltasse il materiale dell’altro. Three Four raccoglie tali E.P. (con l’aggiunta di qualche inedito proveniente dalle medesime session) che altrimenti sarebbero rimasti roba per pochi eletti. I brani ivi contenuti inevitabilmente svelano le diverse personalità di ognuno: Muellen e Crabtree non discostandosi tanto dal modello Chicago/Luisville riescono in ogni caso a creare interessanti variazioni sul tema post rock (rispettivamente con "…Diamond Lined Star" e "Cock-A Doodle-do"), anche se le cose migliori le offre Noble. L’ex Rachel’s si diletta a sperimentare col dub ("Paper Lanters"), e dilungandosi in emozionali excursus psichedelici (la lunga "We Start To Drift", aiutato dalla voce degli Elliott Chris Higdon), e facendo ben sperare nell’imminente prossimo album degli Shipping News, che dopo l’ascolto di Three-Four si lascerà desiderare con trepidante attesa.
Gianni Avella
SOLID FONDATION / More Space MR 002 / Moostake
Sicuramente un buon prodotto uscito fuori dalla collaborazione dell’italianissimo Lorenzo Giannecchini ed il Dj inglese Zak Frost. Hanno avuto un buon successo anche all’estero vendendo molte licenze in Francia, Germania, Spagna, Benelux , Australia e Sud Africa. Il genere è quello denominato Tech-house, molto elegante e curato nei particolari (sicuramente trascinate in pista specialmente in Afterhour).Il vocoder è tornato a scaldare e robotizzare i campioni di voci, sempre attuale e originale (come ci hanno insegnato i Kraftwerk) ed è presente in tute e tre le tracce, rendendo i pad e gli effetti ancora più ascetici ed enigmatici. Preferisco il lato B-1 più da viaggio.
Etta'74
STEFANO GIACCONE / Tutto Quello Che Vediamo È Qualcos'altro / Santeria-Audioglobe
Ecco un disco impossibile da stroncare per chiunque. Il "personaggio" Giaccone e la sua musica sono blindati contro qualsiasi critica. Chi si sentirebbe di dire male di un disco pieno di musica "suonata" con una pletora di strumenti acustici ben registrati, struggimenti assortiti, poesia come se piovesse? Chi potrebbe dire male di un "puro"? Di un anarchico militante che ha fatto la storia del rock italiano con i Franti? Come si può storcere il naso davanti a testi che parlano con il cuore in mano di lotte operaie, di galere, di libertà ecc...?Eppure un vecchio articolo, accostando gli Skiantos alla tradizione nobile dei cantautori, diceva: " (...) è da un po' di tempo che questo gruppaccio sta muovendosi nel sottobosco bolognese della musica, della gente che si è rotta le palle di ascoltare i vari lamenti esistenziali e non di Guccini, Dalla, De Gregori (...)". Beh, oggi Stefano Giaccone è tutto questo: un adulto che, senza un briciolo di ironia, di distacco, di spirito anarchico, pontifica sul "mondo moderno". Ovviamente il mondo moderno visto da una vecchia signora che racconta i suoi ricordi di gioventù facendo la calza. La cosa più grave è che il suo afflato politico/poetico ignora del tutto l'oggi, il presente, salta a piè pari il nostro tempo, parlando un linguaggio che odora sempre più (appunto) di retorica e moralismo pretesco. Era più disperato chi guardava con gli occhi sgranati "fragole e sangue" sperando di rimediare alle ingiustizie del mondo spaccando la testa ad un poliziotto oppure lo era maggiormente e consapevolmente Warhol, nel suo apparente "perdersi" nella stordente luccicanza della pop culture? Il mio parere può non contare nulla ma Pasolini preferiva occuparsi di scrivere saggi sul lavoro di Warhol e di adattare i dialoghi italiani di "Trash" di Morrisey, ignorando quell'impegno urlato, enfatico e proprio per questo automaticamente falso, parte integrante del sistema che si prefiggeva di abbattere. Personalmente ho sempre amato l'ambiguità, tutto ciò che sfugge ad un grossolano incasellamento: per questo Fanfarello è anarchico e triste mentre Giaccone è conservatore e felice. La musica è un continuo plagio della produzione di Guccini anni 70 e il trash/duetto con Lalli ci fa guardare con simpatia al duo Tatangelo/Stragà appena ammirato al festival di Sanremo.
Fanfarello
STANZA 101 / Fuck Love Make Porno! / Autoprodotto
Si parte alla grande con interessanti riflessioni socio-politiche affidate alla voce di un agente delle forze dell’ordine, sorvolate da tagli e rumorismi ben strutturati, capaci di ricreare un’atmosfera un po’ anacronistica ma non per questo banale o priva di valore artistico (RadioDemocrazia). Subito dopo ci si perde in noiosi cazzeggi a cavallo di post-rock, post-noise e post-du-palle, e si continua così per il resto del disco. Peccato, "Radiodemocrazia" è un esperimento davvero ben riuscito, gli stanza 101 devono a tutti costi tornarci sopra.
BakuniM
SUPER COLLIDER / Raw Digits / Rise Robots Rise
Tra i dischi del 2002 scoperti appena cominciato il 2003 c’è la sorpresa Raw Digits che sta felicemente occupando il lettore in questo mese di gennaio. Al momento è il disco 2002 che più preferisco e che ascolto più assiduamente. Godibilissimo ad altissimi e bassissimi volumi il secondo disco dei Super Collider, ennesimo duo elettronico a regalarci piacevoli sorprese, è un disco che più lo ascolti più non ne penetri la stranezza misteriosa e affascinante. Dunque: concettualmente il disco è praticamente una bomba elementare. Base techno magnetica e nel complesso azzeccata da far paura e cantato souleggiante ebbro e bianchissimo che si armonizzano fondendosi (ma sarebbe meglio dire " si disarmonizzano fondando") in un qualcosa di schizofrenicamente dialogico/comunicativo riuscito fra l’uomo e la macchina, così i Super Collider cercano di sfondare, pazzi e gentili, più porte possibili (dove porte è da intendersi come quel luogo beato di beatitudine che sta tra il timpano e il cervello) mantenendo comunque la loro opera ad un livello certamente snob e ricercato, facendo vedere quanto sono abili e fuori dagli schemi. Melodiare ineccepibile, testi che si legano alla musica portando nonsense illuminante e una musica che più la ascolti più t'irretisce e ti strabilia di perfezionismo. Il tutto si mostra così semplicemente ed appare così ispirato ed intelligente da far pensare sin dal secondo ascolto di trovarsi davanti ad un disco capace di incidere sin da adesso sul futuro ad un livello così popolare come forse in quest’ambito mai ancora era capitato. Davvero dei Suicide europei hi-tech con un anima, o qualcosa del genere, trasformata (un corpo risorto chissà dove e chissà come evoluto) per l’avvenire ed in preda ad una visone alcoolica così potente da cancellare la memoria e da essere irripetibile. C’è una piccola pecca che viene fuori proprio riflettendo sul paragone/parallelo Suicide: Raw digits potrebbe impedire di comunicarsi e quindi di comunicare a quegli ascoltatori (peggio per loro) che si precludono tutto ciò che ha che fare col "soul"e con l’ultradigitale, laddove i Suicide riuscivano a comunicarsi e a comunicare davvero senza barriere di sorta. Nonostante anche a loro qualcuno spaccasse il naso. Il modo in cui questo disco pretende di protendersi nel futuro è lampante sin dalle liriche che lo aprono: "Are there messages coming to you that you just cannot decipher? Time points you an unknown thing from the future". Nient’altro aggiungo se non che questo è un disco notevole che dovete notare. Cercate di ascoltarlo. Per la prima volta mi trovo davanti ad un disco appena uscito così discontinuamente convinto e così impressionato da voler vedere il futuro solo per rendermi conto dell’ora. A volte basta un’immediata ed attenta visione della grafica di un digipack per rendersi conto della portata del CD che contiene.Questa è una di quelle volte. C’è un nuovo codice inventato ed inutile che sprigiona bellezza ed attrae geniale. Date un’occhiata al loro sito: semplicemente www.no-future.com. Che ne dite? Invitatevi ed invitate al suono che si balla con gli occhi e si prega col digitale.
Giovanni Vernucci
SUPERSHOCK / Les Fleurs Du Mal / Supershock Records
Interessante ibrido tra Joy Division, My Bloody Valentine e Velvet Underground, ecco i Supershock a rinverdire il concetto di Dark con un esordio di ottima caratura, grande fascino e più che ottima continuità. Voce tragica, giri di basso new wave, esplosioni chitarristiche e tanti fiori malvagi sono pronti a solleticarvi le orecchie e sconquassare le vostre notti più scure. Ma attenti, il disco non si limita certo a queste semplici equazioni: intrusioni impreviste (flauto?) in Friends, chitarra acustica e voce quasi classiche che aprono July per poi portarla su lidi di cantautorato oscuro, viscerale e poeticamente stonato, contornato da chitarre epic-glam a la Smashing Pumpkins, e a seguire i coretti residentsiani che aprono Hearts, che si trasforma subito in new wave lirica contornata da archi, campane e campanelli, il pezzo più coinvolgente del disco e un bozzetto delizioso da ricordare a lungo, per poi imbattersi nel frizzante incedere metal di Queen Bee, o nel cantato femminile di Stars, contornato da un visionario lirismo e da parentesi sintetico-xilofoniche leggere e suggestive. C’è una grande coerenza e un raro equilibrio nelle canzoni di Les Fleurs du Mal, disco che pur non vantando una registrazione curata e brillante si merita ugualmente un bollino di qualità da parte del sottoscritto.
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De Dieux /\ SuccoAcido