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Music - CD Reviews - Review | by SuccoAcido in Music - CD Reviews on 01/11/2002 - Comments (0)
 
 
 
R.U.N.I., Radian, Smith And Mighty, Spaceheads, The (International) Noise Conspiracy, The Kaiser Lupowitz Trio, The Libertines, The Mercury Program, Vonneumann, Votiva Lux.

R.U.N.I., Radian, Smith And Mighty, Spaceheads, The (International) Noise Conspiracy, The Kaiser Lupowitz Trio, The Libertines, The Mercury Program, Vonneumann, Votiva Lux.

 
 

R.U.N.I./La zuccha polmonate/Wallace/Beware!/Bar La Muerte

Eccolallì. Un disco di remics pure in casa Wallace. La cosa mi affascina, soprattutto a livello di reazione psicologica. Cioè immagino i soliti citrulli che affollano i megastores il sabato pomeriggio (se mai sto disco ci arrivasse, sia chiaro) a girarselo tra le mani e a stabilire che sì...se ci hanno pure fatto un disco di remix, come Acme di Jon Spencer o il disco dei 'toons Gorillaz, questo disco dei RUNI deve essere davvero una gran figata. Resti Umani Non Identificati....anche il nome potrebbe rivelarsi intrigante. Ma sapranno decifrarne l' acronimo poi? Ma no, Il Cucchiaio Infernale, opera da cui è liberamente tratta questa versione rivisitata non è un best-seller. Non uno di quelli che ristamperanno cento volte per cento anni con l' intenzione di fotterti i soldi cento volte, perlomeno. Non è Never Mind the Bollocks, insomma. E meno male, pensa che noia a remixare i Pistols! Si saranno divertiti certo di più i personaggi qui coinvolti (Pin Pin Sugar, Bugo, A Short Apnea, Rollerball, A034, Aerodynamics, il patron Mirko Spino, Mutables, Ovo, Tasaday, gli stessi RUNI) a mescere nella musica dei R.U.N.I. col cucchiaio sopra detto e noi a metterlo in bocca. Pietanze ben assortite, dal rap quasi Beastie Boys con tanto di campionamento hendrixiano ad opera di Bugo ai drammi cacofonici di ASA e Ovo, dai rintocchi retropop dei Mutables (quasi un outtakes di Kryptonite dei Mina la loro Pediluvio Universale, NdLYS) al minimalismo sintetico degli Aerodynamics. Ahahahah... e poi le facce di quelli che vorrebbero protestare col negoziante per aver preso in mano il disco di remix sbagliato. Impagabile.

Franco "Lys" Dimauro

RADIAN/Rec Extern/Thill Jockey

Ritornano i Radian, dopo TG 11 prodotto da Reheberg e pubblicato su Mego, con “Rec.Extern” prodotto da Mc Entire e pubblicato su Thrill jockey. L’esperto e navigatissimo leader dei Tortoise, estimatore dei Radian, che tra l’altro hanno supportato in tour la tartaruga, ha chiamato direttamente a Chicago il trio austriaco per collaborare e registrare al Soma electronic music studios questo disco. L’ascolto non è dei più allegri, visto che a suggestionarlo e/o ad evocare deve essere qualcosa tipo la visione che campeggia in copertina, fruita non come rappresentazione ma bensì esperita come reale. E il senso di decadenza, lo spettro della disumanizzazione, l’abbandono, il trapasso, lo spaesamento, la fredda solitudine, perfino lo sradicamento desolante e i fantasmi di uno spersonalizzante deserto, l’emotività svuotata di certi non luoghi che si fanno da metaforici a metafisici nella loro artistica rappresentazione non è roba da rincuorare l’anima o da rinfrancare lo spirito, da alleviarlo o da elevarlo. Paesaggi dell’anima. Anima di certi paesaggi. Angoli di mondo.Musica e riflessione del/dal deserto post industriale e post moderno o dalla sua mitica immagine (poi appunto esperita), come una meditazione ispirata dai luoghi desertici naturali… e chiaramente senza proclami apocalittici ma dati di fatto. Musicalmente le otto tracce portano naturalmente il segno della mano del produttore, ormai riconoscibile come manierata autorialità matura. Ciò è evidente soprattutto nello sforzo di far suonare il tutto alla perfezione (si riscontra un certo pesante perfezionismo che può sdegnare i puristi del suono dei Radian freschi ed esordienti, ma da ogni purista, anche dai più simpatici e scavezzacolli, ci teniamo ormai abbastanza alla larga) e in certe ritmiche molto dubbate e frammentate al parossismo che sono marchio di fabbrica di McEntire. Comunque la musica dei Radian se un po’ si ripete e un po’ si rinnova nella veste sonora (in questa occasione tirata a lustro, lustro dovuto all’illustre collaboratore, al prestigioso studio di registrazione e alla esperienza transoceanica e metropolitana, high-fidelity) non può che darci, in questa transizione che magari a posteriori potremmo scorgere come interlocutoria, una conferma e farci attendere le novità future. Intanto potremmo andare a provare un ascolto sperimentale del disco in qualche negozio ultraspecializzato in impianti supercostosi per vedere l’effetto che fa. Quaranta minuti di un’accozzaglia talentuosa non stratificata ma silenziosa, bella sbocciante a sorpresa tra i fruscii e i grilli e i singulti e le eco tenute e trattenute, che cerca in continuazione di catturare l’ascoltatore attirandolo in uno spazio-tempo sconosciuto e poco invitante, facendolo perdere. Magari per imprigionarlo in quella che potrebbe, sulla lunghissima distanza, rivelarsi una trappola innocua. Come un labirinto insensato dai muri inconsistenti, sfondati e translucidi. Senza la paura e il panico di non poterne uscire ma con una leggera tensione che lascia svaniti.

Giovanni vernucci

SMITH AND MIGHTY/Life is…/!K7

Iniziate l’ascolto di “Life is…” dalla traccia numero 11: “One, two mic check, hold tight as we connect…..one, two mic check, hold tight as we connect….one, two mic check, hold tight as we connect….” …e dopo le prove tecniche al microfono di Mc Kelz può prendere il via il sound system degli Smith and Mighty, dove vengono miscelate vibrazioni electro (“Sea”), drum’n’bass narcotizzata (“Rise”, “Run come”), soul crepuscolare (“Flash of joy”, “I saw you”), reggae tecnologico (“B-line fi blow”) e poi chiaramente il dub (il primo amore non si scorda mai, no?), adeguatamente strapazzato, frullato, smaterializzato, manipolato così da presentarsi sempre sotto nuove sembianze pur costituendo il minimo comun denominatore di tutte le tracce. “Life is…” è un disco più eterogeneo e senz’altro inferiore rispetto ai precedenti “Bass is maternal” e “Big world small world”, ma gli Smith and Mighty - misconosciuti precursori della scena bristoliana dei vari Massive Attack, Tricky, Portishead e Roni Size - dimostrano ancora una volta di avere classe da vendere. Menzione speciale per “You said always”, impreziosita dalla bellissima voce di Tammy Paine.

Guido Gambacorta

SPACEHEADS/Low pressure/Bip-hop

Bella sorpresa dall’Inghilterra. Il settimo album del duo Harrison&Diagram, fatto di percussioni assortite (suonate dal primo) e di tromba e campioni vari processati in studio (suonati e trattati dal secondo), è riuscitamente interessante, coinvolgente all’ascolto ed eterogeneo. Si passa da atmosfere tranquille a ritmi galoppanti attraversando campi di suono fieramente organico, genuinamente improvvisato e artatamente stravolto. Consigliabile soprattutto agli amanti di un trip hop originale, di cui in qualche maniera rievoca atmosfere, stilemi e sound; tenendo presente che è aggiornato nel restyling dai mezzi tecnici attuali ed integrato da contaminazioni digitali. Poi ci sono anche un paio di pezzi frutto di remix fatti da amici che si aggiungono al vasto uso di tocchi elettronici sparsi abbondantemente che vanno a segnare una via degnamente percorribile anche da altri. In effetti, questo uso molto pop ed effettuato in contesti formali acquisiti dal senso comune e vendibili, dei nuovi elementi digitali, siano essi rifiuti o forgiati ad hoc, apre una strada molto percorribile che porti alla fusione di downtempo, glitch eclectic e magari ambient. Non strettamente da sofisticato sottofondo distratto, ma che rechi forte l’odore degli strumenti acustici, quali fiati e percussioni, e del suonare come azione umana fatta di fiato e movimento muscolare su roba concreta. Provate ad ascoltare la losca e misteriosa The Lugano affair. Dove su una rigonfia linea (non funkissima purtroppo) di basso portante si dipana smagliante una storia cool. Chissà di quali strani traffici e situazioni è scena la cittadina della Svizzera italiana (che come l’ho vista di mattina presto l’ultima volta che ci sono stato mi dava veramente tristissime sensazioni, ed era l’undici luglio). Il disco mi pari non si allontani di molto dall’esito che alcuni produttori hanno raggiunto remixando e campionando creativamente la musica di Phil Ranellin. Un disco ottimista nato da una visione ottimisticamente umana. Cosa pensereste che potrebbe venire fuori se, magari a Bristol o a Brixton, gli Spaceheads incontrassero un contrabbassista cubano o giamaicano ?!

Giovanni Vernucci

THE (INTERNATIONAL) NOISE CONSPIRACY/The first conspiracy/Burning Heart

Non un disco nuovo di zecca per gli International Noise Conspiracy, ma la ristampa curata dalla Burning Heart di materiale registrato alla fine del 1998: 12 tracce per 28 minuti che fotografano il momento esatto in cui Dennis Lyxzén parcheggiò la furia HARDCORE dei Refused nel GARAGE sottocasa. Era ancora presto per attendersi inni esplosivi del livello di “Smash it up” e “Capitalism stole my virginity” ma il funk battagliero di “T.i.m.e.b.o.m.b”, la rabbia di “Introduction to…/The black mask” e le liriche politicamente corrosive promettevano già allora la riuscita futura della cospirazione internazionale.

Guido Gambacorta

THE KAISER LUPOWITZ TRIO/You don’t!/Stereosupremo, 2002

Un disco spesso è solo il momento finale di una storia. Ci sono dischi di viaggi avventurosi, scoperte, ricerche, documentazione, passatempi, analisi, dolore, passione. Mi piace pensare che questo disco faccia parte di una di queste famiglie. Alla fine la musica (la musica, quella che dovrebbe parlare da sola, quella che dovrebbe essere al centro della discussione per dischi di questo genere, il jazz alla newyorchese) può essere messa un po’ da parte. Perché se è vero che il disco è ben registrato, eseguito, composto, creato, se si sente l’eccitazione di questo trio italiano a confronto con un altro trio americano, se si sente una bella coesione di intenti e linguaggio, è anche vero che non riesco a sentire una cosa nuova, o qualcosa che di per se’, senza nessun altro valore aggiunto, arresti il mondo che mi circonda e mi catturi dalla punta del cervello fino alle budella delle orecchie. Ma questo non è un loro problema, non deve esserlo. E nemmeno il vostro. E’ una considerazione generale, una cosa che potrei dire di quasi ogni disco, proprio perché è assolutamente soggettiva. Anche per questo mi piace sentire qua dentro la voglia, il desiderio, l’avere trent’anni e mettere un altro mattone per la costruzione della casa dei sogni. Spero che ne mettano su molti altri. Un plauso a Stereosupremo per essersi messo (anche) su questa strada.

Jacopo andreini

THE LIBERTINES/Up The Bracket/Roughtrade

E’ sempre cosi… ci sono dei gruppi che per anni portano avanti un idea, un concetto, una moda, per poi scoprire un giorno che qualcuno, più furbo o più fortunato, gli sta rubando il tempo, e che è troppo tardi per “sfondare” il mercato senza essere considerati degli “sporchi cloni” privi d’idee proprie (un po’ quello che successe negli anni novanta a Seattle con tante e tante buone band). In linea di massima questa è la storia dei “The Libertines”, il loro contratto discografico è arrivato troppo in ritardo rispetto a quello degli Strokes, dei BRMC, dei White Stripes ecc…, ed ecco tutti a far paragoni, a tirare conclusioni sulla furbizia del discografico di turno (Geoff Travis famigerato socio di Morrissey), ed a bistrattare a priori il loro buon esordio “Up the Bracket ”. Mettendo da parte tutte queste cose, i 36,40 minuti di questo disco sono interessantissimi, con pezzi che Strokes e soci nemmeno si sognano, perché i “The Libertines” aggiungono ai canoni del filone in questione, magari inconsapevolmente, influenze Beatlessiane, echi dei migliori Thin Lizzy e tante altre cose che regalano al disco una freschezza superiore. Up the Bracket, è uno di quegli album che se li ascolti al mattino ti senti per tutta la giornata sotto l’effetto di 1000 pocket coffee. Basta ascoltare “Death on the Stairs” per carpire la differenza tra i “The Libertines” e il resto della ciurma che strizza l’occhio ai suoni del passato.

Vincenzo Barreca

THE MERCURY PROGRAM/A data learn the language/Tiger

The Mercury Program è un terzetto, chitarra basso e batteria, proveniente dalla Florida che suona sin dal 1997 pezzi strumentali. A questo si è aggiunto due anni dopo un quarto elemento che ha introdotto nella musica tastiere e soprattutto vibrafoni. Così a settembre è uscito il loro terzo disco. La musica è molto tranquilla, i pezzi seguono crescendo non eccitantissimi ma cullano intime emozioni e nessun capogiro.Il vibrafono, come fosse una voce, si evidenzia sopra ritmiche precise e condite da semplicissimi e leggerissimi loops e beats elettronici e chitarristici. La chitarra, molto composta, reiterando accordi, ben riempie gli spazi e guida anche le composizioni non sfrenandosi, non abbandonandosi mai al piacere dell’elettricità, nemmeno della meno sporca. Questo è infatti un disco pulito e ordinato. Il gruppo aveva qualcosa da dire e da trasmettere e mi pare sia ben riuscito nel suo intento. Mi pare che abbia ben realizzato la sua pur semplice ed innocua idea in modo onestissimo e sentito. Soprattutto non si avverte il disgusto di pretenziosità e di pretese inarrivabili ma si sente una musica piacevole e fuori moda suonata da gente per niente infuriata. Si adatta perfettamente alle sensazioni che danno quelle domeniche mattina arrivate troppo tardi. Postprecisazione buttata là: avrei scritto le medesime cose se il gruppo fosse stato italiano.

Giovanni Vernucci

VONNEUMAN/Jaser/Laego/Freeland

Il nuovo disco di vonneumann, progetto romano che vuole farsi definire al singolare, approda alla Freeland e consente di saggiare le reali potenzialità del gruppo. Si avverte una ricerca costante sui suoni, un lavoro probabilmente lungo, che illumina l’ascolto e che si libera da alcuni ingombranti riferimenti (che siano il post-.rock o gli Storm & Stress), che si affacciavano nel precedente ep. “Jaser/laego” lo potrete ascoltare in diversi momenti, certi che vi darà ogni volta sensazioni differenti, incuranti se vi ha preso di più Alfa offensivo o Buste bianche normalizzate, perché vonneumann o lo si accetta o lo si rifiuta in blocco. E la musica? Cominciamo col dire che si fa largo anche un uso consapevole di strumenti elettronici, che una traccia (mònile stuhhi) è rielaborata da Ivan Rossi, il quale scompone abilmente dei frammenti elettroacustici, che in due brani ci sono le comparsate inconsapevoli (cioè campionate durante le prove di un concerto) di Shane De Leon e Amanda Mason Wiles dei Rollerball; che più volte sembra svelarsi un’anima malinconica (the death metal e.p.). Posso solo aggiungere che vonneumann si può accostare ai nomi di altri sperimentatori (ad esempio Starfuckers, per quanto molto differenti) di cui sentiremo senz’altro parlare in futuro.

Italo Rizzo

VOTIVA LUX/Solaris/Cyc Promotions

Un nuovo album per i (se non sbaglio), bolognesi Votiva Lux: pura psichedelia sognante dal sapori post-rock, un sogno quest’album…ipnotico fino all’ultima nota…Il disco si apre con “Ffair”, viaggio lisergico accompagnato da un ospite d’eccezione, l’ugola del cantante gallese Brychan, che arricchisce l’album con i suoi gorgheggi sognanti; le chitarre ipnotiche e le loro divagazioni rendono questo brano il migliore dell’album. “Inisheer” il terzo brano offre una ballad acustica toccante e ricca d’effetti atmosferici: potrebbe ricordare qualcosa dei Led Zeppelin più folk mescolati al buon vecchio Nick Drake, il padre putativo degli ultimi Motorpsycho. Qualche reminiscenza new wave potrei anche sentirla nella traccia “ Inishmore”, brano come i precedenti sempre ricco di ampie sfumature di chitarre, che si rincorrono e divagano quasi come un sintetizzatore, e facendosi anche aiutare da questo. L’ombra di una dolce malinconia chiude questo stupendo album con la canzone “Inishmaan”, una traccia strumentale, (come tutte le altre eccetto “Ffair”), arricchita dalle minimali note di una tastiera che sfuma in lontananza. Il cantante e compositore Wayne Hussey dei The Mission, il famoso gruppo Gothic Rock, ha definito quest’album uno dei migliori dischi degli ultimi anni in fatto di melodie e arrangiamenti per chitarre.

Andrea Giuliani

 


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Reg. Court of Palermo (Italy) n°21, 19.10.2001
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