Sonic Youth, Sparrow Orange, That’s All Folks, The Miles Apart, The National Trust, Tomas Schumacker, Town & Country, Uber, Ulan Bator.
Sonic Youth, Sparrow Orange, That’s All Folks, The Miles Apart, The National Trust, Tomas Schumacker, Town & Country, Uber, Ulan Bator.
SONIC YOUTH/Murray St./Smells Like
Meno male che ci sono i Sonic Youth a dare un senso ai nostri insolitamente torridi pomeriggi di giugno. In verità l’incipit di Murray St. non è dei migliori: “the empty page” è un pezzo carino, non certo brillante, e forse un po’ troppo accattivante. Molto meglio, a seguire, il N. Young virato in colori acidi di “disconnection notice”. Poi finalmente arriva “rain on tin”, e la band tira fuori le palle: una memorabile suite di quasi otto minuti minuti dagli intarsi chitarristici praticamente perfetti e con un inedito senso della melodia. La terza traccia è sicuramente lo zenit dell’album (rappresenta bene quest’ultima, riflessiva, fase della loro carriera), che comunque prosegue alla grande grazie a brani come “plastic sun”, tutta ritmo e dissonanze, che ricorda il periodo di “Experimental…”, e la solare “sympathy for the strawberry”, una perfetta fusione tra Krautrock (gli strati di chitarre, la batteria metronomica) e SY sound. Menzione particolare per “Karen”, unica traccia cantata da Ranaldo, dove i nostri riescono a comprimere l’avanguardia di “Goodbye 20th century” all’interno della forma canzone più o meno tradizionale. Il disco, per quanto bello, non è sicuramente memorabile, soprattutto se paragonato ai loro precedenti lavori, tuttavia non può negarglisi un indubbio valore, in ambito rock e non solo. Di questi tempi è difficile trovare una band che abbia anche solo la metà della loro classe.
Salvo Senia
SPARROW ORANGE/Hands and Kness Music/Noise-Factory
Dopo l’esordio del primo album “The beauty of strangeness”, arriva il secondo viaggio dei Passeri Arancioni, ovvero degli Sparrow Orange, intitolato “Hands and Kness Music” su etichetta “Noise Factory Records” (ditr, in Eu da Hausmusik). Il genere di questi artisti misteriosi, originari del Michigan (Usa), è arioso e fluido e ricorda le sonorità degli Orb: sono da considerare come parte del contenuto del pentolone Lunch (sinonimo di vari generi di stampo elettronico come D&B, Dub, e Ambient, mischiati con New jazz, chitarra, fiati e tutto ciò che è sperimentale), termine usato volgarmente da qualche P.R. per intrattenere nei locali i clienti durante il Lunch (Pranzo), appunto! “Hands and Kness Music” è curato nei dettagli e nella forma, soprattutto nel lato emozionale crea quasi uno stato di benessere: insomma dodici tracce di puro suono mistico. Vi segnalo “Remember it all” (n°3) dal vorticoso e travolgente Lines Synth; e “Rus’ti-ca’tion” (n°7) dal pad allucinatorio, caratterizzato dal canto di uccellini che lo rendono suggestivo e fresco. Godetevi, senza “fargli male” questo meraviglioso CD.
Etta ‘74
THAT’S ALL FOLKS/Psyche as one of the fine arts/Beard of Stars
Una delle migliori realtà dello stoner-rock italiano proviene dal Mezzogiorno (Bari, per l’esattezza): sto parlando dei That’s All Folks! Dopo l’eccellente album di debutto, Soma… 3rd way to Zion, risalente al ’99, che li aveva qualificati come i degni eredi dei Kyuss in territorio nostrano, con questo secondo album sulla lunga distanza, Psyche as one of the fine arts, licenziato dall’ottima etichetta savonese Beard of Stars, cui dobbiamo la realizzazione di ottime produzioni in ambito heavy-psych, i baresi That’s All Folks! confermano tutta la loro indiscutibile bravura, guadagnandosi a pieno merito il titolo di migliore band stoner italiana. Il disco in questione è un album dalle mille sfumature, anche se il colore dominante resta quello della heavy-psichedelia. Capitanati dall’esuberante Claudio Colaianni, i That’s All Folks! hanno affinato la loro arte attraverso numerose esperienze live, a fianco di altre band ‘sorelle’, come OJM, Hogwash, Acaju e Vortice Cremisi. Essi stessi definiscono la loro musica come hard-rock-heavy-psych, anche se a un ascolto più attento affiorano tracce punk dalla veste robotica alla Queens of The Stone Age (Jumboo), ipnotiche inflessioni doom, come nella splendida Always radiant and fucked, venature space-blues (Soul Vent). Comunque è nelle aperture lisergico/psichedeliche che i nostri risultano maestri insuperabili (Dany). Altro grande album, dunque, questo dei That’s All Folks: oltre 50 minuti di appagante ristoro per menti pronte a varcare le porte della percezione.
Gabriele Barone
THE MILES APART/Storyboard/Green
Dopo i WOOD un altro successo in casa GREEN: un bellissimo disco di pop-emocore, che richiama alla mente i miei amati HUSKER DU, e che con le sue sfumature pop, rende questo disco ancora più appetibile e poetico nelle sue cavalcate hardcore. “PRIMEMOVER” la prima traccia ne è la chiara dimostrazione: pop-hardcore aggressivo e positivamente melodico. “FEELING HAVE NO SHELTER” richiama a tratti anche i R.E.M. degli 80’, quelli veri, e “ANOTHER TIME ANOTHER PLACE” ribadisce questa vena HUSKER DU che giova in modo incredibile alla freschezza compositiva del THE MILES APART sound: un basso presente e pulsante, una batteria ineccepibile e semplice, e una chitarra fresca e tagliente. “REBIRTH” è un pezzo di emocore che alterna parti tirate a sprazzi di melodia, accennando anche una leggera influenza, (forse non voluta), dei VOIVOD, il gruppo canadese del periodo degli 80’. “THIS IS GOODBYE”, una ballata, chiude il disco con la sua emozionale chitarra arpeggiata.....
Andrea Giuliani
THE NATIONAL TRUST/Dekkarg/Thrill Jockey
Una copertina dalle tinte psichedeliche, dove I colori schizzano come massa liquida lanciata a distanza, e che si espande in larghezza, confondendoci con lo sfondo: è questo il biglietto da visita di Dekkagar dei National Trust che si schiude nella visione di un tramonto marino. E cosi, come la massa liquida cromatica sembra provenire da lontano, la musica che il CD racchiude ci riporta a stati d’animo evocativi da tardo pomeriggio di mezz’estate: una musica d’altri tempi, che, a distanza di un trentennio, sembrerebbe essersi paracadutata a noi per inebriare le nostre orecchie: un misto di soul, psichedelia ed atmosfere vintage ci avvolgono nel loro black sound, e riescono a rendere lieve anche l’umore più nero e pesante e a colorarlo di calde crepuscolari tonalità arancio o rilassanti tinte marine. Se amate la musica indie , ma anche le sonorità 70’s e Marvin Gaye e siete attratti dall’originalità di una mistura di retrò e modernità, questo è il Cd che fa per voi. Indossate una camicia multicolore dal taglio freak, pantaloni a zampa e rituffatevi nel passato, ma rivestendolo di abiti nuovi!
Tiziana Rosapane
TOMAS SCHUMACKER/Electric Avenue/Spiel Zeug
Non è uno dei famosi fratelli che gareggiano in F1, ma un pilota di musica elettronica che fa sosta ai box di SuccoAcido. E’ Tomas Schumacker, Dj – produttore (con etichetta propria la Spiel Zeug) da molto in vetta alle chart di tutto il globo; l’originalità del suo stile ha fatto di lui un artista poliedrico, miscelando il reggae, il rock il jazz ed latri generi musicali con l’elettronica. Ma basta sezionarlo! Parliamo invece del suo secondo album un po’ vecchiotto, stampato nel 2000, ma sicuramente di grande effetto che accontenterà un po’ tutti i gusti. Il titolo è “Electric Avenue”, doppio album in vinile, che contengono dieci tracce una più bella dell’altra (ricordiamo che in giro c’è il terzo album e a giugno uscirà il nuovo). Segnaliamo per il genere D&B “Bimmer” (D3) e “Pimp that beach” (C3); ancora, “Good Life” (feacturing Kaori….non quella del formaggio) ripresa dal vecchio pezzo dei mitici Inner City versione New jazz e per gli amanti della cassa a 4/4, tech-house a manetta con “Egoshooter” (C1) e “Play fast & loose” (B1). Il resto, scopritelo da soli! Ciao Rewusi!
Etta ‘74
TOWN & COUNTRY/C’ Mon/Thrill Jockey
Il Jazz è stato reinterpretato da molti dei musicisti appartenenti al circolo del “dopo rock”, suonato ed “Imbastardito” con le più varie influenze possibili, lo hanno fatto i Tortoise, i Cerberus Shoal sino ai grandi Gastr Del Sol ed i Town & County sembrano aver raccolto il testimone della (vecchia) creatura dei litigiosi Grubbs e O’Rourke. C’ Mon è una raccolta di Jazz acustico (completamente strumentale) di penetrante bellezza dove ogni nota è suonata con calore ed attenzione, in composizioni articolate ma scorrevoli dando una singolare sensazione “ambientale”. I pezzi si evolvono fantasiosi (ci sono proprio i Gastr Del Sol dietro l’angolo in “Bookmobile”) e senza divagazioni inutili (la lunga ma mai estenuante “Going To Kamakura”) e la sensazione che si ha, prestando attenzione l’album è quella di ascoltare una sola unica traccia ma soprattutto questo è un album che ferma il tempo, quando si arriva alla fine del cd non si capisce se siano passati due minuti o due ore. Questo forse sarà un album che ascolteranno poche persone ma quelle poche saranno obbligate a spargere la voce a chi di dovere (e non solo).
Gianni Avella
UBER/Less is more/Marsiglia
Gli Uber vengono da Lucca, citano indistintamente tra le loro influenze Fall, Joan of Arc, Van Pelt e Gastr del Sol (io aggiungerei Cure – il cantato e la chitarra di “That’s great” – e June of 44 – gli accordi reiterati di “Frankie’s Trumpet”) e questo loro primo demo viene dato alle stampe dalla Marsiglia Records, cdr label genovese che fa capo a Matteo Casari dei Lo-fi Sucks. “Less is more” è un lavoro acerbo che fa dell’acerbità uno stile: la registrazione casalinga rende ancora più spoglie (less) le già minimali “Ricciarelli” e “Cangour eats Paul” e ancora più pulsante (more) il basso che scava tra le chitarre di “Frankie’s Trumpet”. 4 tracce suonate con una spontaneità che è promettente preludio alla futura maturità. Gruppo che vale la pena seguire fin da ora con attenzione. Contatti: lessismore@virgilio.it
Guido Gambacorta
ULAN BATOR/OK : KO/Ursula Minor
Vorrei aprire questa recensione facendo i complimenti a Matteo Dainese, a mio modo di vedere uno dei batteristi italiani più poliedrici (e più bravi) degli ultimi anni, protagonista prima nei Meathead di Mauro Theo Teardo, poi tra il 1998 e il 1999 macchina ritmica nelle esibizioni live del progetto elettronico Here ed infine membro degli Ulan Bator nell’ultimo “Ego:Echo” accanto ad Amaury Cambuzat e Oliver Manchion. Il materiale raccolto in “OK : KO” risale proprio al periodo di realizzazione di “Ego : Echo” (periodo trascorso dal trio franco-italiano al Sonica Factory Studio di Calenzano, vicino Firenze) e alla tournee che successivamente accompagnò l’uscita di quel lavoro. Ecco allora raccolte insieme “La joueuse de tambour” ed “Hemisphere” estratte dai concerti di Cagliari (luglio 2000) e Milano (dicembre 2000); le versioni demo di “Let go ego!” ed “Hiver” ed inoltre quattro improvvisazioni di studio rappresentate dall’assalto chitarristico di “Attack”, dal crescendo sonico di “Ruobmat ed esueuoj al” e dai rumorismi di “OK : KO” ed “Hair ov dog”. Un’antologia di esecuzioni inedite e rare quindi, ma “OK : KO” non è un disco per soli completisti; anzi, a chi non conoscesse la musica degli Ulan Bator consiglierei di iniziarne la scoperta proprio da qui, dal suo lato più crudo e spigoloso e da una traccia colossale come “Let go ego!”, che nella demo version si conclude non con il ritornello psicotico cantato da Michael Gira ma con staffilate lancinanti degne dei primi Mogwai. La realtà scarnificata. E così resa ancora più reale.
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De Dieux /\ SuccoAcido