4ever21, Aavv/Vertical Forms, Booster, Chicago Underground Quartet/Duo, Clouddead, Crossover, Damien Jurado And Gathered In Song, Daniele Brusaschetto, Discolor, Emoglobe, Enfance Rouge, Era, Foetus, Gabriel“Naim”Amor, Godflesh, Good Morning Boy.
4ever21, Aavv/Vertical Forms, Booster, Chicago Underground Quartet/Duo, Clouddead, Crossover, Damien Jurado And Gathered In Song, Daniele Brusaschetto, Discolor, Emoglobe, Enfance Rouge, Era, Foetus, Gabriel“Naim”Amor, Godflesh, Good Morning Boy.
4EVER21/The 38°c laundrette session/autoprodotto
I 4Ever21, di Roma, sempre in giro per la capitale per concerti, sono alla loro terza prova autoprodotta su cd. Così mi ritrovo tra le mani questo dischetto, contornato da una copertina gradevolissima piena di lavatrici sgargianti verde-gialle, e quattro brani che scorrono bene fra psichedelica e funky acido, (r.eal e.xposition d.ay), tratti che mi hanno ricordato i Sonic Youth di Goo e i My Bloody Valentine di Isn't anything, (my sweetest sin). L'ultima traccia è un esempio di garagerock minimale, gustosamente intinto nel lsd, ossessivo e molto blues, (Wash & dry). In generale manca ancora un po’ di energia e sicurezza, ma siamo già sulla buona strada! Contatti: 4ever21@infinito.it
Andrea Giuliani
AA.VV. VERTICAL FORMS/Vertical form/Vertical form
Compilation di elettronica ad alta qualità (che piacerebbe anche ai nostri vicini di galassia) assemblata dall’etichetta londinese Vertical Form. Tutti pezzi inediti. Sono della partita Isan, Funkstorung, Kid 606 (che mette su un pezzo gentile e tranquillo), Monolake, Vladislav Delay, Mum, Eu, Bola, Thomas Fehlman. Dub che muta: si aggiorna, si fa sostenuto, si complica, si velocizza, si appesantisce, si fa sognante, si arricchisce di suoni di stelline ghiacciate e di fiammelle evanascenti e di gocce in sublimazione, di ombre di musica concreta, di braci siderali. Dub che spinge al massimo la ricerca su sé stesso rimanendo confidenziale, diventando più amabile, più intenso. Dub che continua a proporsi come godibile da chiunque, elettronica dal volto, dal corpo e dal cervello umano. Capita proprio adesso per chi aspettava cose del genere da un bel po’. Finalmente. Certo che per gli specialisti del settore non sarà una novità. Sennò sarei anch’io uno specialista del settore. Voti non se ne danno ma questo al primo ascolto è un molto più che buono che così rimarrà per anni. Una compilation varia e ben ponderata, nel complesso di suoni e strutture complesse e complicate, morbida ed accattivante. Niente sbavature, niente imperfezioni, dà esempio qua di approfondimento sonoro, là di sfaccettatura ritmica, laggiù di melodia. Dà l’idea che si farà risentire con piacere molte, molte volte. Solita occasione persa dalle radio. Verrà il tempo per questa elettronica dagli occhi umani? Per adesso provate a esportarla su un altro pianeta.
Giovanni Vernucci
BOOSTER/Loop in release/Blue Note
James Hardway guarito dall’ossessione della drum’n’bass, gli Incognito innamorati di Sonny Criss, Teodross Avery con il campionatore, i Red Snapper senza le frenesie cinematiche di casa Warp, Erikah Badu che ascolta sotto la doccia un vecchio vinile di Charlie Parker… Jazz contaminato, funkeggiante al punto giusto, suonato con una strumentazione ricchissima (anche sintetizzatore, chitarra, flauto, sitar e qualche sample qua e là), abbellito da calde parti vocali (lascia il segno Malia in “Summer”) e garantito dal marchio Blue Note. Eleganti come solo i francesi sanno essere, i Booster sono poi da elogiare per aver saputo resistere alle tentazioni house di Saint Germain, che di nome è un santo ma che ultimamente aleggia come uno spirito maligno su molte produzioni transalpine.
Guido Gambacorta
CHICAGO UNDERGROUND QUARTET/Chicago Underground Quartet/Thrill Jockey
CHICAGO UNDERGROUND DUO/Axis and alignment/Thrill Jockey
Mutazioni genetiche della creatura Chicago Underground, al debutto come quartetto e al terzo disco come duo. Il lavoro del Chicago Underground Quartet può essere considerato un valido bignami di quanto è stato prodotto a Chicago negli ultimi dieci anni, non fosse altro per il fatto che Rob Mazurek, Chad Taylor, Noel Kupersmith e Jeff Parker rappresentano a pieno titolo l’intellighenzia musicale della cosiddetta scena post-rock. Il suono del quartetto parte dai concettualismi funk-chitarristici dei Tortoise (“Tunnel chrome”, “A re-occuring dream”) e vaga poi tra i palpiti elettronici degli Isotope 217 (“Total recovery”) e il jazz elettrico del Miles Davis anni ‘70. Ciascun musicista ha composto un paio di pezzi a testa e le nove tracce raccolte sono state registrate nell’agosto del 2000 da John Mc Entire ai Soma Electronic Music Studios. Registrato l’estate successiva sempre ai Soma Studios di Chicago e sempre da John Mc Entire, questa volta parzialmente coadiuvato dietro il banco di regia da Ken Brown, il disco del duo mette in vetrina le doti polistrumentistiche di Rob Mazurek, tromba, pianoforte, electronic sounds, e di Chad Taylor, incredibilmente fantasioso alle percussioni (ascoltare le notevoli “Lifelines”, “Memoirs of a space traveller”, “Access and enlightenment”) ed impegnato pure con chitarra e vibrafono. Nonostante non manchino elementi elettronici e sperimentalismi ambient (“Lem”, “Noon”), “Axis and alignment” suona più marcatamente jazz della prova del quartetto e forse proprio per questo è tra i due dischi quello che si lascia preferire.
Guido Gambacorta
CLOUDDEAD/S/t/Dada Recordings
Come avrete notato la recensione di questo meraviglioso disco esce a quasi un anno dalla sua pubblicazione. Perdonatemi, ma non riuscivo a crederci. Pensavo fosse il mio cervellino ad essere un po’ sfasato, allucinato, malconcio. E poi non mi piace lasciarmi andare a commenti precoci, gridando a qualche next big thing quando ciò che si ha tra le mani sono i soliti vecchi cenci. Ora invece ve lo posso dire tranquillamente: questo disco esiste, ed è un innovativo, spaziale, meraviglioso. Che altro dire? Della formulina magica dei clouddead avrete già letto (hip hop ascetico + post rock + lo-fi, tra l'altro una formula molto vagamente ipotizzata già dagli Ui), e non ve la sto a ri-raccontare. Vi potrò dire soltanto che al sottoscritto questa raccolta di singoli del periodo 98-2000 ha dato tante scosse quante non se ne sentivano dai tempi dell'esordio degli You Fantastic! o dei primi Gastr Del Sol. Per chi già lo conosce, beh tutti pronti a vedere che combinano con la loro prossima uscita, in arrivo tra breve. A chi invece si accosta a loro per la prima volta, che dire, non fatevi assolutamente spaventare da questo strano termine (hip hop... !?) perchè il linguaggio che parlano Why?, Odd Nosdam e Dose One è quello di cui più sentivano la mancanza tutti coloro che attendevano un disco - finalmente e ancora - memorabile, specialmente in campo rock et similia. Questo è senz'altro un esordio che rimarrà memorabile, anche solo per questa semplice intuizione: rianimare l'ormai marcescente corpo post-rock accostando una base ritmica alle sue dilatazioni aeree, per poi darci dentro con fantastici arabeschi di parole. E' passato un anno, e da allora in tanti (Radiohead, Hood) si sono accostati a loro e agli altri cuginetti (Cannibal Ox, Aesop Rock, Anti Pop Consortium). Non so a quali derive ci farà approdare questa faccenda, ma di certo è sorprendente constatare che questo strano indie hip hop sia oggi il più 'rock' e 'wave' di tutti i linguaggi possibili.
BakuniM
CROSSOVER/Fantasmo/Gigolo
Mezz’ora di ciò che sarà fra mezz’ora. Anzi trentacinque minuti di un’ipotesi futura di onde medie per illusi, ma come tutti, specialmente da illuso, mi posso sbagliare. Sbaglio già ad illudermi. Però fatemi esagerare che mi/vi spiego meglio. Non snobbate Kraftwerk e Drexcyia? Vi interesserebbe se il loro spirito fosse divulgato da Talking Heads dei nostri tempi? Vi piace farvi girare la testa e farvi muovere le chiappe dal sottofondo elettronico rock sporco? Come cos’è il sottofondo elettronico rock sporco!?! Questo disco è fatto di questa bella schifezza. Di questa immondizia. Siete punk no?! Vuol dire rifiuto. Siete Trash no?! Vuol dire pattume. Porcheria insomma. Di merda tirata a lucido si tratta. Ma con la dignità della merda e del lucido. Merda seducente, merda newyorkese, merda che rocka e rolla. Soprattutto vi piace mescolare, farvi dei bei mix da non capirci più niente? Vi piace farvi prendere, imbambolati, dalla famona chimica e sfamarla con bucatini scotti e sconditi in piatti di plastica nera (credendo che sia cibo divino servito ai valorosi o non credendo affatto e a malamente percependo) con sottofondo di anime di telefonini cellulari che provocanti ammiccano all’essenza della suoneria del microonde proiettando le loro fantasie in un videocitofono cortocircuitato perché spione d’un televisore bloccato in fotogramma sessualmente pervertito loopante a nastro? Questa illusione è per voi. Che non vi sia troppo reale. Duo elettronico i Crossover, coppia newyorkese su piedistallo bianco, con pantaloni stellati e fumi vinaccia (vinaccia-fuxia più che vinaccia-residuo-asciutto di vino sul fondo del bicchiere) che fumigando salgono, coronano-incorniciano e invadono il grigio dello sfondo. Ci si ipnotizzerebbe una venere in pelliccia (finta la pelliccia, naturalmente), pelle nera (non l’epidermide ma l’abito), tacchi a stilo, anche astinente.
Giovanni Vernucci
DAMIEN JURADO AND GATHERED IN SONG/I break chairs/Sub Pop
Nel 1998 è uscito un EP di Damien Jurado, ”Gathered in song”, piuttosto cupo, dalle atmosfere tormentate, in fondo nulla che si discostasse troppo dai lavori precedenti. Per “I BREAK CHAIRS”, Jurado torna a collaborare con i musicisti che avevano preso parte a quel disco (da qui il nome del gruppo), ma il primo impatto è spiazzante. Il cd si apre, infatti, con un pezzo tutt’altro che intriso dei toni melanconici a cui Jurado ci aveva abituati. “Paperwings” è un pezzo ritmicamente stimolante, da cui traspare una certa serenità (“I don’t mind, well as long as i can fly…as long as i’m with you”), così come in “Birdcage” (“Now the sun is coming out…maybe i’ll be fine, as long as i have you on the right”). Ma poi arrivi alla quinta traccia, ”Air show disaster” e ti viene in mente una sola immagine, che magari non è neanche lontanamente pertinente col senso del pezzo, ma l’intero testo sembra uno scorcio di conversazione che potrebbe essersi svolta in un giorno qualsiasi precedente allo scorso 11.09 (“I know how to make you famous, it’s another nice day for the air show disaster”) e ti accorgi che quell’afflizione tipica non è andata del tutto persa. E la conferma arriva con “Big Deal”, vestita di una certa lucentezza e ariosità, ma ascolti bene e Damien ti sta dicendo che se eri in prima linea adesso sei dietro, le cose che sembravano brillare si stanno scurendo, che c’è sempre qualcuno più veloce di te pronto a prendere il tuo posto. Anche “Like Titanic”, sorretta da un motivetto bizzarro e un tintinnio che sa tanto di luna park racconta di un’esistenza opaca fatta di pasticche, alcol e portafogli vuoti (“We have no money for tobacco or the movies”). “The way you look” è tra i pezzi più entusiasmanti, ma Jurado continua a muoversi più a suo agio nelle ballate, come”Inevitable” e “Never ending tide”, dove il crescendo di batteria e chitarra danno proprio l’idea di un movimento continuo ed inesauribile che lacera dentro. Forse non è il Jurado che molti estimatori hanno imparato ad amare, ma il disco è brillante e, seppure più orecchiabile dei precedenti, non è mai banale.
Antonella Fontana
DANIELE BRUSASCHETTO/Bluviola/Radon studio
Dopo il buco nero di “Mamma fottimi”, Brusaschetto infittisce in “Bluviola” le trame del suo industrial da camera attraverso arrangiamenti più corposi, allentando a tratti la morsa nichilista che attanagliava l’opera precedente. La sua non è più soltanto un’indagine sui propri mali, ma su quelli del mondo esterno: ne “La terra dell’arcobaleno”, ad esempio, sembra di ascoltare un Gaber contemplativo immerso in uno scenario sonoro da dopobomba. Altrove dominano toni sferzanti ed apocalittici: ne sono testimonianza l’apertura marziale, quasi epica de “La teoria del flusso” ( i C.S.I. dietro l’angolo ) e la schizofrenica “I love you all” ( un ritmo sintetico che viene spezzato dalla carica punk del ritornello cantato in un registro catacombale ). L’equilibrio, nonché il climax emotivo, è raggiunto in “Goffo”, dove l’arpeggio dolente della chitarra e l’eco di una tromba preludono all’inevitabile esplosione noise. “L’uomo nero” è, invece, una macabra filastrocca recitata sulle cadenze da panzer della sezione ritmica e le cannonate del synth e della chitarra. Il limite dell’operazione continua ad essere la voce, troppo monocorde, declamatoria ed appiattita sul modello di Lindo Ferretti, tant’è che alla fine l’episodio più riuscito sembra lo strumentale della title-track, un intreccio quasi tropicalista di chitarre languide e lievemente dissonanti. La strada battuta da Brusaschetto è tra le meno consuete e modaiole, ma sino ad ora il torinese ha dimostrato di essere più un abile ( in qualche caso ottimo ) scenografo di fondali sonori, che non un cantautore ispirato.
Davide Romeo
DISCOLOR/III/Mizmaze/Lizard
Le porte del cosmo si sono riaperte in terra teutonica, dopo anni d’oblio. A questo riaffiorare nella memoria storica collettiva mitteleuropea, ha contribuito non poco il riflusso generato dall’ondata post d’oltreoceano, notoriamente molto neo-krauta. Così come questa nuova creazione di Stefan Lienemann: instancabile polistrumentista di Norimberga, attivo già dal lontano ‘86 in innumerevoli progetti di estrazione diversa (Shiny Gnomes, Fit & Limo...). Come avverte il titolo, questo é il terzo episodio del suo lato più incline all’alterazione chimica. Una voragine cosmico-lisergica, acida ed allucinata tanto quanto melodica ed accattivante. Un lunghissimo compendio di psichedelia germanica: tra sognanti arrangiamenti in odor di Popol Vuh (Glass Keys to open) ed infinite reiterazioni temporali (Sirius); mantra in assenza di gravità (And Wonder), Amon Düul psycho-pop (Garden Fair) ed elettronica kraftwerkiana a braccetto con sitar (As light as a Feather) e Beatles (What remains of her). L’esperienza del nostro riesce, comunque, a disperdere quell’odore di revivalismo che un disco del genere porta, inevitabilmente (sebbene coscientemente), con se. Un’imprecisabile modernità, abbraccia, infatti, anche le divagazioni strumentali, in apparenza, più obsolete; riuscendo a tramutare l’antica avanguardia (attuale perché vista dal presente, ma meritoria di un’adeguata rilettura più che di una riproposizione pedissequa) in un pop modernista, stralunato e lunare. Affascinante.
Bosco
EMOGLOBE/S/T/Autoprodotto
Forse ho in mano del materiale scottante, di quello che le major cercano avidamente per realizzare i loro perfetti piani di business e farsi, in ultima istanza, una barca di soldi. Quasi quasi non lo recensisco, me lo nascondo, e poi dopo un po’ lo riesumo e lo vendo al primo talent scout puzzone che incontro..no, no, mi sento in colpa, ne parlo, dai.. Le quattro tracce degli Emoglobe (milano) hanno un sound rock-post grunge non ricercatissimo né nuovo ma molto efficace. La band sa il fatto suo con melodie sempre in primo piano, ruvidità e sporcizia elettrica funzionali, sound decisamente moderno ‘contaminato’ a volte con i synth, effettistica dosata a dovere per dare quel tocco di atmosfera che ti risolve l’arrangiamento di un brano. Per quanto sia improbabile che si torni sul disco nel tempo, i brani hanno ganci giusti per entrare in testa e regalare una mezz’ora di buona compagnia. Gli Emoglobe hanno il sound giusto all’epoca giusta e niente di strano se tra un po’ li si veda in heavy rotation su mtv e surrogati nostrani.
Francesco Imperato
ENFANCE ROUGE/Rostok Namur/L'Enfance Rouge
Portati dal M.S. Stubnitz fino in Terra d'Otranto, aspettando la prossima traversata... Forse il nostro ultimo disco "politico" (??¿?) (c.f. Dachau Blues ). Anche perché comunque "Il messaggio sparisce in culo con tutta la bottiglia" conclude Carmelo Bene. Potessimo essere parte del calcio che frantumerà il vetro. Et merde. Francois e Chiara non sono musicisti, ne' artisti impegnati, ne' viaggiatori. Sono due sognatori, semplicemente, di quei pochi, pochissimi rimasti. Francois Cambuzat è il musicista anarchico, utopista, quello di 'Holdings', capace di partecipare ad un programma tv solo per inneggiare alle 'bombe', capace di inserire tra i testi di Rostock-Namur, qualche anno più tardi, trenta lunghe accuse dettagliate a varie multinazionali che ci invita a boicottare. L'atmosfera in cui ci si immerge pensando e ascoltando Chiara e Francois è vicina al profumo delle vecchie pagine di un libro di storia, simile ai campi di battaglia catalani nel 36, ai pugni chiusi, quando questi erano una realtà sociale forte, onnipresente. La loro musica ci fa respirare viaggi tra il mediterraneo e la mitteleuropa, sino all'oriente, all'islam, le loro mille patrie. Definiti da alcuni come un incrocio tra i Velvet Underground e una certa avanguardia europea, l'Enfance Rouge (che si è ampliata a tre membri con l'arrivo di Jacopo Andreini alla batteria) ci offre con 'Rostok Namur' un viaggio questa volta corsaro, come non mai piratesco e sporco/ubriaco/malinconico. Il clima di ascetismo underground si spezza in battiti di batteria marziale (L'Escamoit Rouge), proseguendo poi attraverso deliziose ballate (L'age d'or, una piccola gemma dei nostri - nostalgia... 'nostalgia del presente', direbbe qualcuno...). Di colpo poi se ne spunta il fantasma del primo Nick Cave (Tombeau Pour New York), mentre altrove il cupo incedere dell'Enfance Rouge si fa mutante sino a scampoli di chitarrismo Math Rock (Ajustement structurel) per poi venire sommerso da pressanti rumorismi elettro-cibernetici (italienische tanzkrankheit, barrio chino). Queste le coordinate essenziali dei nostri, ma aggiungeteci ancora qualche puntatina in territori etno-music (l'inizio e il finale di Otranto), una caustica cover della stoogesiana 'i wanna be your dog' - dal testo rivisitato - e piccoli bozzetti d'avanguardia e collage radiofonici (Shang Kou). Poi, dopo le musiche è la volta delle parole. 'Otranto', 'Gaio e Giallo'. E' la luce forte-accecante-spenta di certe parole che ascoltate oggi paiono incredibilmente vivide, pregne di umanità. Forse, il fascino strano di certe parole forti, antiche. Parole che avrebbero dovuto essere di tutti, e per tutti. Semplicemente forse, parole mai state. E’ gratuitamente disponibile in rete (www.enfancerouge.org)
BakuniM
ERA/Stadiobeta:O Km/h/Alfamusic
Prog-metal. Sicura perizia tecnica: chitarre con il cazzo di fuori, synth da film di Dario Argento, piano scintillante: poi, schitarrate acustiche e mood vocale del migliore rock istituzionale italiano. Straniante, per cinque secondi si può pensare di essere finiti in mezzo ad un primissimo Faith No More, ma l’impressione si spezza presto. Particolarmente imbarazzante.
Francesco Giannici
FOETUS/Flow/Ectopic music
Attesissimo ritorno di Jg Thirlwell, alias Foetus, che con tanta malattia incornicia uno dei più bei dischi degli ultimi cinque anni!!! Flow è un disco di industrial rock genuino, che si mescola a swing jazz da big band anni ‘30; un capolavoro d’architetture sonore epocale! Il buon vecchio JG, è il patriarca della musica industrial rock: partito nei primi ‘80, ha fatto scuola a tutti i gruppi industrial americani come ad esempio Ministry, Bigblack, Cop Shoot Cop, White Zombie, gli ultimi arrivati Nine Inch Nails e i loro compagni di merenda Marilyn Manson. “Quick fix”, la prima traccia, è una mazzata nei coglioni; violentissima e sincopata all’estremo, arricchita dal campionamento di una ritmica della canzone “Corrosion” dei Ministry, ci teletrasporta subito in mezzo ad una guerriglia urbana new-yorkese. “Cirrhosis of the heart” è una hit da classifica swing-jazz/bossanova, arricchita da un testo ignorante quanto basta e una tromba che si staglia nella desolazione… “Mandelay” la eleggo una delle canzoni più originali del secolo! Lenta e ossessiva nell’incedere a passi lenti, contornata da carillon da film horror anni ‘60 e da una tromba di Morriconiana bellezza: una ballata industriale passata ritmicamente all’interno di una pressa idraulica... “The grace of god” è un”altra hit swing-jazz industriale; non avrebbe certamente sfigurato nei locali dei ghetti di harem 60 anni fa ammesso che fossero stati tutti schizofrenici naturalmente… “Suspect” è un capolavoro di Wagneriana memoria, che mostra l’aspetto più sinfonico del nostro Foetus, riconducibile ai suoi numerosi progetti paralleli, fra i quali cito ad esempio i Manorexia. “Someone who cares” mostra un Leonard Cohen cyberpunk: allucinatamente country-metal arricchito da un lontano sax, campionato chissà dove… Con i tredici minuti di follia apocalittica di “Kreibabe” si conclude questo signor disco. I testi, crudi, disgustosi, antipatici, desolanti contornano e completano l’album, guidando l’ascoltatore nel mondo del nostro eroe, a cavallo tra nevrosi, nausee, psicosi paranoiche, morte e nichilismo estremo; farebbero impallidire perfino l’esorcista dell’omonimo film… Amen.
Andrea Giuliani
GABRIEL“NAIM”AMOR/Soundtracks/Normandie Dream
Cortometraggi immaginari, montati attraverso operazioni mnemoniche con foto sbiadite, ritrovate in qualche cassetto; cartoline osservate con attenzione o colte di sfuggita in qualche bancarella, durante un viaggio in Europa. Piccoli avvenimenti e pomeriggi sonnolenti; curiose commistioni oniriche, tra la Parigi di Francia e la Parigi texana. Senza pretese, senza confini di genere, musicando la pura fantasia solo per il gusto di farlo; e con un’essenzialità sorprendente, oltretutto. Immediatamente (ed inaspettatamente) una placida fisarmonica, conduce sulle rive della Senna (Valse sentinelle); ma una chitarra tex mex (Frame up) riporta subito indietro, in terra d’origine, più o meno dalle parti dei Calexico, qui rappresentati nella persona di Joey Burns. C’è spazio per tutto, nella memoria, anche d’improvvise sferzate dissonanti (Galaxie) e di smaterializzaziÜ¥e_5À______e__W___<"_____x_______x__ ____¬_______¢_______a!__M_________T__
Bosco
GODFLESH/Hyms/Music for nations
Atteso ritorno dei GODFLESH, dopo l’elettronico “US AND THEM”, che con questo “HYMS” spiazza tutti con un deciso ritorno a sonorità più massicce, riconfermando il talento, la genialità e l’assoluta polivalenza di mister Justin Broadbrick, leader nonché cantante chitarrista del trio. Due novità in casa GODFLESH: al posto della classica drum machine, codesta è stata sostituita dal prezioso e metronomico TED PARSON, ex batterista di bands storiche come i patriarchi dell’industrial SWANS e dei tecnotrash-metal PRONG. L’altra novità in casa GODFLESH, (comunque non presente su disco), è l’abbandono del bassista B.C.Green,sostituito dal bassista dei killing joke e prongraven. Dalle scintille incandescenti della copertina, si ha già un’idea del contenuto: fangoso, massiccio, metallico, monolitico nel suono e nell’impatto; Hyms è tutto un ansimante incedere a passo lento, ossessivo, psichedelico, acido. Non ci sono più i classici campionamenti o effetti di sorta del passato in questo lavoro, (presenti solo in una manciata di brani), è solo un unico grande suono granitico e titanico…Il CD si apre con la massiccia e rallentata “Defeated”, per poi cedere il passo a ritmi più sincopati in “Deaf, dumb & blind”. Con “Paralyzed” forse ritroviamo i classici Godflesh, quelli più eterei e melodici del disco Selfless. “Anthem” stupisce per l’iniziale giro blues di basso, per poi procedere verso una classica cavalcata nel loro stile. “Vampires” ci ricorda di quanto i fear factory, abbiano rubato a piene mani dal sound dei Godflesh; Antihuman presenta dei campionamenti, e mi fa venire alla mente l’ultimo lavoro del progetto parallelo di industrial-dub-hiphop di Broadbrick: i Techno Animal. L’ultima traccia, “Jesu”, apocalittica e inquietante, alterna riff metallici, a divagazioni di spettrale psichedelica, figlia di film come “Eraserhead”del maestro Lynch. Infine, una bonus track fantasma, una ballata malinconica degna di loro precedenti lavori come”Us and them”. I Godflesh sono un’anima da capire, da cullare, da ascoltare e riascoltare, essi sono il simbolo della decadenza del settore secondario: l‚industria; è bello ascoltarli in auto, mentre all’orizzonte durante il crepuscolo, si scorgono le fabbriche della città, (qualunque…), e si ha la netta sensazione che questo disco sia la perfetta colonna sonora “politica” e l’antimanifesto di queste manifestazioni fumanti. Morte a Videodrome! Gloria e vita alla nuova carne!
Andrea Giuliani
GOODMORNINGBOY/GoodMorningBoy/Urtovox
Una base elettronica, quasi di stampo old school, inaugura l’ascolto di questo lavoro; ma non crediate che Good Morning Boy sia il solito polpettone “pseudosuonato” della domenica. Ci troviamo davanti a un disco importante, illuminato da un’aura nord-europea che stimola, e conferisce il giusto grado di modernità ad una prova tutt’altro che modernista. Ma c’è di più, il nostro, ai “nuovi movimenti acustici” accosta spunti di sensato minimalismo Lo-fi e condisce il tutto con intermezzi pescati tra meandri della nuova cultura country d’oltreoceano, il risultato è notevole. Marco Iacampo (alias Good Morning Boy), si è lanciato a capofitto in un lavoro istintivo, individuale, e di certo non ha pensato alle interessanti esperienze fatte nel passato (vedi Elle), sicuramente però, di quei tempi porta con se, nelle vene, l’effetto che solo qualcosa di pop può dare, perché il grado di feeling che si raggiunge ai primi ascolti con G.M.B. non è trascurabile, canzoni come “for the morning scope” o “She’s the protector” s’insinuano tra le crepe emozionali e lì vi restano. L’unica nota dolente, se cosi si può definire, è l’utilizzo dell’inglese, lo so, lo so, sono troppo campanilista, ma per quanto riguarda Good Morning Boy non ne posso fare a meno, so per certo che il ragazzo scrive dei testi in italiano stupendi, ma forse basterà tradurre.
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De Dieux /\ SuccoAcido