Sour Jazz, Club Off Chaos, Don Byron, Sputnicks Down, Steve Stoll, Magoo, Bebe Rebozo, Metaxu, Onq, Marco Carola, Magicsecretroom, Fiaba, Baffos, Proiettili.
Sour Jazz, Club Off Chaos, Don Byron, Sputnicks Down, Steve Stoll, Magoo, Bebe Rebozo, Metaxu, Onq, Marco Carola, Magicsecretroom, Fiaba, Baffos, Proiettili.
SOUR JAZZ/Dressed to the Left/Munster
La spagnola Munster ripesca dal cilindro del “quasi introvabile” le due release dei Sour Jazz, “No values” del 1999 e “Lost for Life” del 2001, uscite originariamente per l’etichetta francese Ghostrider, aggiungendovi due tracks inedite più un bonus video, e riunendo il tutto in unico cd. Che si vuole di più. Personalmente non conoscevo questo combo newyorkese che non ha trovato nessuna difficoltà ad aggiungersi alla mia hot playlist mensile. Questi navigatissimi veterani del rock hanno suonato con gente del calibro di Marky Ramone, Cheetah Chrome, Jeff Dahl, Ian Hunter, la creme creme del rock ‘n’roll americano insomma. “dressed to the left” quindi non poteva mancare di centrare in pieno il mio cuore con la sua carica sexy e furbetta di rawk’n’roll, come amano chiamarlo loro, diretto discendente della perversione rock per antonomasia chiamata Stooges. Senza voler essere riduttivo penso di sintetizzare bene il senso di questo disco dicendo che è una delle uscite più glamour mai sentite. Rock sì ma tanto, tanto glamour. Signore e signori, qui il bacino pelvico non può resistere al movimento lento, cadenzato, dai fortissimi richiami sessuali di “dig it up”, “Mr. popular” o anche “ i’m a prick”, pescando a caso. Ve lo giuro, vi fareste violenza. “Dressed to the left” grida sesso, sesso, solo sesso, tanto sesso e mi piacerebbe essere una donna stavolta, solo stavolta, per poter provare i brividi di una voce calda e arrapata che ti sussurra i’m a bird/ i’m on a wire/ pump me up, i’m on fire o che urla all’arrivo dell’orgasmo ( “steamroller” ). Uummhh...Tutto intorno, fuochi d’artificio di trombe ( appuuunto...) e sinth analogici che fanno capolino qui e là nella ricerca disperata di qualcuna che ti possa far compagnia anche solo per una notte ( i just need someone to feel / i just need someone da “i gotta change” ). E “Mr. Popular ( part two)” non chiude ma riapre il circolo vizioso di un disco a cui si diventa "addicted" in pochissimo tempo. Proprio come il più bello sport del mondo, più ne fai, più ne vuoi fare..
Francesco Imperato
CLUB OFF CHAOS/Par et Impar/Eternity/EFA
Salve gentaglia, inginocchiatevi e ascoltate: vi dice niente la parolina CAN? Ai giovani più avveduti ricorderà un Mito della Vecchia Era, prima del Diluvio Punk; agli Anziani, Colorochesanno, il solo pronunziarla procurerà immediato distacco dalla triste realtà e porterà alla ribalta suggestioni di mistica fattura. A quale fonte credete si siano abbeverati campioni di reiteratività quali Loop (cercatevi a tutti i costi Mother Sky, omaggio agli stessi CAN,stramitica B-side dell’altrettanto splendida Black Sun) ,Young Gods e non ultimi i Prodigy? Credete che un giorno qualche stronzetto “funky” fatto di crack si sia svegliato e abbia inventato la house-music? Oppure che la New Wave si incarni in Robert Smith? Siete completamente fuori strada e se non riesco a spiegarvelo vi invito a riascoltare “Icons” di Siouxsiee and the Banshees e “Born Slippy” disapetevoichi. Chiunque oggi “traffichi” con drum-machine,noisismi vari e Nuove Età dell’oro(per il portafoglio,immagino,non certo per l’esaltazione dionisiaca a noi tanto cara,amici) non può non aver fatto i conti con l’eredita’ lasciata dal Sacro Graal della Kraut Muzik teutonica dei ’70. Insieme e fondatamente alternativi agli stessi Kraftwerk costituiscono entrambi due delle punte più avanzate di quell’arpione a lunga gittata che l’assalto al cielo(esistenziale, politico o comecazzo1 lo vogliamo intendere) accaduto nei seventies abbia espresso, artisticamente e non solo. Lasciando da parte il progressive,vera valanga psicoorgiastica,e tutto il movimento inglese che va dal Duca Bianco ai Roxy di Brian&Brian passando per Metallic KO(postumo) l’asse berlinese(Lou Reed di Metal Machine Music e Iggy in odor di Velvet Goldmine),restano loro e un Robert Wyatt, di Barrett neanche l’ombra e quindi i Pink senza ispirazione e accademici, i Genesis??Peter Frampton?!?Smettiamola:questi sono stati i gruppi che hanno gettato le basi della musica popolare contemporanea e non se ne parli più(per ora.Il dibattito e’ aperto. Tutta questa cappellata per annunziare ai più l’uscita di “Par et Impar”, ultimo lavoro della premiata ditta Club Off Chaos. I nostri sono Jaki Liebezeit, già batterista dei sunnominati M/NOSTRI, Dick Herweg, chitarrista punk della prima ora nei “leggendari” Stosstrupp, e Boris Polonski, proveniente anch’esso dal movimento punk tedesco e approdato alla scena industrial negli anni Ottanta. Le impressioni ricavate dall’ascolto del Disco Uno, interamente in studio, danno la netta sensazione di un combo impegnato a scardinare l’uso dell’elettronica affermatesi negli ultimi quindici anni,dalla techno in giù. Con il primo brano si parte all’insegna di echi dei Pink Floyd algoritmici periodo Dark Side ma quello in cui ci si addentra e’ un tunnel vitaminico a forte danceita’ e si prosegue nella galleria della migliore tradizione mittelangloelettronica con le successive quattro tracce, tra cui spiccano “Gloop” e “Mr.Jeux”, dense di umori in grigio e memori di tristi e gloriose esperienze dove la morte può danzare con le ombre ormai afone dei poveri suicidi, giù nella divisione della gioia. “7vendrass” ci riporta nell’incubo metropolitano dell’alienazione triphoptica e gli inserti melodici altro non sono che specchietti per le allodole, nel gioco del Pari e Dispari. Sorvolando a bassa quota le terre desolate di “Croissant” e “End.O.Line” ci si riporta verso le alte sfere con “Caput”, e un finto teramin si alterna alle gelide vibrazioni dei campionatori, come se i Kraftwerk facessero una jam con Bobby Gillespie. Il virtuosismo assoluto e la preparazione da fuoriclasse allenati dei nostri si fanno evidenti nel Disco Due: registrato dal vivo il 23/10/00 al Kulterbunker di Dusseldorf, e’un ottimo esempio di live set di musiche tra le più contemporanee possibili, riuscita mistura d’umori dark e cadenze altalenanti, estraniamenti e alienazioni tipicamente (sub)urbani, il tutto avvolto nel lilla delle wood di tutti i party di domani. Si inseguono nel buio le fitte trame tessute dai sintetizzatori di Polonski e dai suoni inquietanti delle corde di Herweg, e il tappeto ritmico imbastito dal vivo riesce a trascinare corpi altrimenti in preda a rapimenti allucinatori. Qui i pezzi si allungano ed e’ difficile sfuggire al gioco delle suggestioni: non so per quale strana affinità mi vengono in mente i Tuxedomoon giganteschi di “Ten Years in One Night”, e penso che l’attitudine e’tutto nella vita. I brani, numerati invece che nomati, si susseguono ora danzanti poi riflessivi, lievitando piano verso terre dominate da altri dei, in altri tempi, evidenziando grande verve interpretativa e consapevolezza espressiva, ex-perimentando. Chiude il live una versione accelerata ed estraniante di “Odlgl”, già seconda traccia nel Disco Uno. Complimenti alla Audioglobe: certi cavalli di razza vanno supportati, a maggior ragione in virtu’della veneranda età a cui i nostri eroi si cimentano contro giovani puledrini ignari dell’infinito. A proposito, ce ne sono in giro solo tremila copie con il bonus live cd: che fate ancora li’ in ginocchio?
Fabio Lino Bonaccorsi
DON BYRON/You’re # 6/Blue Note
James Zollar (tromba), Edsel Gomez (piano), Leo Traversa (basso e voce), Ben Wittman (batteria) e Milton Cardona (percussioni e voce) sono i compagni d’avventura di Don Byron in “You’re # 6”. Formazione quindi completamente diversa rispetto a quella vista recentemente dal vivo in Italia e una serie infinita di ospiti ad arricchire un disco che, ne sono sicuro, sarebbe piaciuto tantissimo a Dizzy Gillespie, se solo fosse ancora tra noi a suonare “Mas que nada”. New York del resto non è così lontana dai Caraibi e i ritmi latini di “Theme from Hatari”, “B-Setting” e “A whisper in my ear” ce lo ricordano molto bene. A rendere l’atmosfera davvero caliente ci pensano poi una versione salsa di “Belmondo’s lip”, tema cinematografico di Henry Mancini che in chiusura subisce pure il trattamento illbient di Dj Spooky, e il tradizionale “Shake ‘em up”, consigliatissimo per animare le cene in compagnia degli amici. La vena sottilmente malinconica di “No whine”, per pianoforte e clarinetto, e l’eleganza formale di “Dark room” dipingono nel finale un sole un po’ più pallido di quello caraibico.
Guido Gambacorta
SPUTNICKS DOWN/Much Was Decided Before You Were Born/Human Condition
Questi debuttanti Sputnicks Down non sono certo una delle solite Next Big Thing, ne' per il sottoscritto ne' per la stampa specializzata inglese. Ciò nonostante è probabile che gli SD si saranno comunque fatti la loro bella schiera di ammiratori, data l'interessante miscela strumentale che tira in ballo mogwai, gybe e va a posarsi su qualche deriva neo-acustica, il tutto sorvolato a tratti da tappeti ritmici quasi house e sezioni d'archi dal sapore epico e sinfonico. Ma non è questo il punto. Ieri notte mi è capitato di vedere su Raidue un'intelligentissima trasmissione che proponeva, accanto a interviste e skech comico-demenziali, alcuni tra i video più memorabili del periodo synth-wave degli anni 80 e fine 70. E' stata una folgorazione: ri-ascoltateli e noterete come pezzi divertentissimi e vitali quali 'Tarzan Boy' dei Baltimora o 'Der Commissar' di Falco possano ancora vantare una freschezza di idee e una ricchezza 'semantica' nettamente superiore al rock pseudo-colto di Mogwai e Sputnicks Down, nonché a tutto il pop-rock 'edulcorato' dell'universo musicale odierno. Spero che i nuovi aspiranti divi inglesi arrivino prima o poi a capire che la peculiarità del rock come fenomeno culturale (o più semplicemente intellettuale) sta nella sua particolare 'dialettica' tra spazio (suono) e tempo (ritmo - durata del pezzo), o più semplicemente nella sua costruzione per 'simboli' - di qualsiasi tipo: vocali, musicali, concreti - disposti sul continuum temporale del nastro registrabile. Il rock può avere un qualche valore estetico-culturale, al di là di ciò che pensa una certa critica di stampo sociologico, solo quando il 'messaggio' è dato da questa particolare conformazione del significante. E questo accade quando si può individuare all'interno del brano una specie di 'struttura logica intellettuale' (per tirare in ballo il cinema, qualcosa di vicino al 'montaggio connotativo' in Ejzenstein) che si ritrova negli artisti più disparati dell'ultima metà del 900. Non ho qui lo spazio per motivare adeguatamente le mie idee. Per ora potrò solo ipotizzare che sia proprio questo il motivo per cui prima o poi verranno dimenticati i Beatles mentre verrà riscoperto Captain Beefheart, verranno dispersi gli U2 ma tornerà a nuova vita quell'incredibile new wave che va dai Rumours agli Wire passando per Industry, Feelies e Talking Heads. Si tratta di una sorta di 'selezione naturale' che trascende addirittura molte delle solite valutazioni d'ordine socio-economico... Ora, molte band inglesi, di qualsiasi genere, partendo da Travis, Muse e Mogwai per arrivare a Starsailor e Sputnicks Down, giocano TUTTO su un suono ricercato, su un lavoro di studio ben fatto, su incroci di synth e chitarra che abbiano la priorità di risultare 'gradevoli', col risultato che le canzoni risultano completamente prive di scarti logici, puntando sul lato più superficiale e meno significativo della costruzione formale. Non capiscono che è proprio a questo livello così superficiale che il rock può farsi veicolo di un 'messaggio nuovo', addirittura indecifrabile e intraducibile in qualsiasi altro linguaggio - elemento che da solo basterebbe a dargli quella valenza artistica tanto ricercata negli anni. Quella degli Sputnicks Down non è altro che una qualunque musica leggera che per apparire 'giovane' usa ritmi marcati e chitarre elettriche, e con sguardo anticonformista si definisce 'rock', legittimata unicamente dal fatto che le piace sculettare sopra un palco, ma che in quanto a valore artistico - ahimè - non può vantare manco la copertina. Il fatto che sia buona musica poi per il sottoscritto è secondario, chi se ne frega? gli Sputnicks Down sono buoni musicisti, hanno buone idee anche se annoiano già al terzo brano e scrivono buone canzoni: il punto è che si tratta di canzoni che non ci interessano, così come non ci interessa la musica lirica o la classica. A questo punto vi prego di scusarmi se non ho fornito una sufficiente descrizione del disco, ma pur nel mio piccolo - lo dico con la massima umiltà e spero di non sembrare pretenzioso - mi piacerebbe far riflettere, piuttosto che limitarmi a recensire.
BakuniM
STEVE STOLL/Windows on the world/Zenit
Il nuovo dell’ex KMFDM, vive sospeso in uno spazio-tempo indefinibile. Le strutture di Windows on the world, infatti, pur aprendosi alla più assoluta contemporaneità elettronica, adottano metodi e (sopratutto) suoni decisamente antichi, più prossimi all’Hard-beat dei primi 90. Il risultato é un disco che sarebbe potuto uscire identico già dieci anni fa, se solo l’ambiente culturale l’avesse permesso, ma fresco ed avvincente, nel suo monolitismo, come la più attuale techno-house-trance. Stoll manovra le macchine con la sapienza di un veterano, producendo una granitica e ferrosa sequenza di ritmi, costantemente sostenuti. Violento ed euforico, ma ad anni luce dalla decelebrata gabber, Windows... si articola molto più di quanto non possa apparire ad un ascolto superficiale; non rinuncia a stratificare fondali sempre diversi, ma mai sopra le righe, obbedendo ad una seriosità di antico retaggio industriale; tra i Test Dept. della svolta house e gli Underworld meno... “trainspotters”(Menace, Bazooka Joe); occhieggiando compiaciuto ad una tribalità, evidente nell’iniziale Fast back, ma subliminale all’intera opera; fino alle citazioni kraut di Dubs on plays, molto Gottsching. Nel suo genere, un ottima conferma. Mi resta un dubbio, però: tra un Daft punk ed un Basement Jaxx, c’è davvero un d.j. che metterebbe su roba del genere?
Alessio Bosco
MAGOO/Realist Week/Global Warming
E' come se Allen Ravenstine pisciasse sulla discografia degli XTC. La musica prodotta dai Magoo, giunti ormai con Realist Week alla terza uscita ufficiale, impeto pop aereo che va a scontrarsi con una pioggia di bagliori synth calcolati e scarni. Non c'è che dire, è una band che le canzoni le sa scrivere: i quattro sembrano infatti cresciuti a pane e pop inglese - soprattutto quello dell'imitatissima band di Partridge, solare e cangiante - e sembrano aver raggiunto con quest'ultimo lavoro un'invidiabile maturità stilistico-compositiva, evidentissima soprattutto quando certe sonorità melodiche e fluttuanti si sposano con una buona dose di elettronica dal gusto cosmico e cibernetico, arrangiata quasi fosse un semplice rimando 'ambientale' - proprio alla maniera dei primissimi e imitatissimi Pere Ubu. Ma ascoltateli più attentamente e ci troverete anche tracce dei Chrome (l'ipnotica bonus track finale ad esempio), dei R.E.M. più scanzonati (Knowledge is Power, The Only Tests...) e ancora un certo gusto a metà tra punk apocalittico e Trans Am (Powerman). Da notare anche una piccola perla di intimismo meccanico, la dilatata e sussurrata You Make The Surprise, quasi a richiamare alla mente le atmosfere visionarie e selvagge dei primi Labradford. Avrete capito che in questo Realist Week regna l'eclettismo, saggio e ben dosato, fatto rientrare in un impasto sonoro coerente che non preclude al suono una certa originalità, permettendo ai Magoo di proporsi da subito come una delle migliori promesse del panorama pop inglese odierno.
BakuniM
BEBE REBOZO/Voglio essere un ninja e vivere nell'ombra/Fort Core Rec
SAKURA SENA! BIG BOOP STAR! AHA! BIG BOOP STAR!..."che cazzo fai?!? che cazzo faiiiiiii!!!! lasciami stare lasciami stare io non posso sopportare tutto questo, io me ne vado, me ne vado!" "ehi! ascolta... resta qui, ascolta..." - sbang, si chiude la porta, l'ambiente si libera di unità auditiva superflua, emittente sonnolente calore, un fiatare troppo sospinto perché il vaso non traboccasse. Comprometteva - lo ammetto - l'equilibrio precario di tale campo di vibrazioni perfette, generate come da foga indie rebozo. Spengo lo stereo. Provo a liberarmi totalmente da ogni pensiero relativo alla sfera del quotidiano. Prendo la cover, leggo le liriche BRASILIA VANILIA, SEX IN NUOVA YORK, penso a Ferreri, al King Kong feticcio sulla spiaggia di Ciao Maschio - penso ai rumori rebozo quasi una specie di stravolta marcia funebre-nuziale, dovutagli, mai stata, King Kong, Ping Pong, penso ai Polvo davanti ai Kung Fu Movies, un deja vu di un certo sound, qui presente ma OUT, da ogni contesto: OUT - Ching Chong, Sing a Song, New Yong. Bye. Riprendo a leggere TUMEFATTO! DA INCISIONE CHIRURGICA. E-ESPLOSA! IN SACCHI DI PLASTICA TRASPARENTE - Baku la smettiamo? che continui a martellarci col tuo surrealismo all'amatriciana? Scusate ragazzi, ma questi Bebe... come fare ad essere freddo con queste musichine meccaniche e meravigliose? io non sono certo un professionista, non sono pronto al mondo della critica fredda e calcolatrice, io devo liberare i miei sentimenti, e non posso trattenermi dal gridare ai quattro venti quanto adori quest'ineffabile band. E voi, se per caso aveste un cuore in sintonia col mio, allora dovreste gettarvi fulmineamente all'acquisto di questo sorprendente CD, perché con 'Voglio Essere un Ninja...' i grandi e misconosciuti Bebe Rebozo hanno confezionato un prodotto di prima scelta, un disco capace di sprigionare una grinta e una classe tale da fare invida a tutto il panorama indie-core italico e non. Ok, non tutto suona proprio 'perfetto' sino alla fine - anche se avrei tanto voluto scriverlo - ma c'è anche da dire che le cadute di tono sono davvero rare, quasi non ci si presta attenzione tanto restano sommerse dal restante ben di dio sonoro. Ma il punto è un altro. Quella che vi sto per fare è una constatazione che davvero non potrà sfuggire a nessuno: il suono dei Bebe Rebozo, dopo essere maturato iperbolicamente dai tempi del loro debutto sull'ottima Porno-compilation Snowdoniana, è, per impatto sonoro, ormai degno di essere annoverato tra le più interessanti realtà indie europee, nonché in grado di dar filo da torcere ad innumerevoli stelle e stelline d'oltreoceano. Un esempio? prendete gli ultra-blasonati AtomBombPocketKnife, fate girare un loro disco subito dopo avere ascoltato questo secondo capitolo dei Bebe... ragazzi, sia per equilibrio interno ai pezzi, sia per l'uso intelligente delle chitarre, sia per gli incroci sonori tanto impensabili quanto vigorosi, nonché per la grinta e per il carattere straordinario del gruppo, ogni paragone risulta veramente fuori luogo, perso in partenza. Provate ora a metterli vicini ad una delle band del momento, gli Arab on Radar: noterete che rispetto alla band americana i Bebe non sono affatto inferiori, anzi si difendono egregiamente... insomma un piccolo miracolo italiano, anzi enorme, e di quelli veri (a questo punto speriamo solo che qualcun'altro oltre a noi se ne accorga...). Per quanto riguarda le influenze dei tre (Danilo Di Nicola, Francesco Polcini, Claudio di Nicola), queste sono da rintracciare nell'indie più vigoroso, quello dei precursori-di-qualsiasi-indie Mission of Burma, e quello dei noise veloci di Sonic Youth e - soprattutto - Big Black (My Dog is a Fucking Republican). La voce poi ricorda in qualche modo quella di Guy Picciotto, senza però risultarne una bieca fotocopia, mentre le sonorità possono rimandare in alcuni momenti agli arabeschi contorti dei già citati Arab on Radar ('Cowboy Light' e 'Capitano ho fatto una cazzata', ove riecheggia addirittura il fantasma di Reoccuring Dreams degli Huskers), in altri ai riff adrenalinici dei primi Unwound (Lonny Zone). Ma i paragoni si sprecano, inutile tirare in ballo i Polvo per le strutture indie frantumate di 'Voglio essere un Ninja...' o annotare la presenza del sax di Giustino Di Gregorio in 'Bacialupoballarin...': l'incredibile miscela esplosiva dei Bebe Rebozo parla da se, scoppiettante - sembra proprio che da un momento all'altro possa fare 'boom', possa uscirsene dalle casse e fare 'sbadabum bum bum' 'pata-patatrac' 'ratatatata sboing' 'truuuum tu-tu-tum' 'pappaparararaaaaa'...
BakuniM
METAXU/S/t/Plate Lunch
Una Goccia. Di plasma virale. Che si estende per contagio. Metaxu è il regno mediano e ineffabile del demone Eros. O voluttà plenaria, secondo Novalis. Ricordate la Midian di Barker? Quest’ultimo lavoro di Maurizio Martusciello – manipolatore, grafico, plagiarista – e di Filippo Paolini - Dj , turntablist, è una sapida esperienza di medietà elettroacustica, che arriva stillando gocce di Caos. Annullate molte retoriche del Segno, mercé un saccheggio divertito, ci portano verso un paradossale enterteinment fatto di colto e incolto, sensualità austera, soundscapes abilmente dis-organizzati. La forma c’è solo per essere disfatta. Ludicamente. La musique concréte, con le sue radici umanizzanti, qui è solo un centro polare ( di tradizione disincantata ) dal quale è doveroso sganciarsi. E di gran carriera! Esserci, calati e invischiati nei concatenamenti sclerotizzanti della realtà, nella coatta comunicazione tra organi. Che fanno Corpo, in barba ad ogni illusione di arbitrio; eppure disancorarsi dalle forme di scrittura archetipale e doverosamente anelante al consenso: è l’istanza forte, desiderante, a volte Ingenua – la vita è banale! – di tutte le avanguardie, passate e future.Lavorare sulla carne viva,- dice Martusciello. Spasmi, azioni su corpi e forze impalpabili, per modificare la materia. E’ un tentativo. Così, perché ci va di Farlo. Voci limpidissime, ocra, deserto, sfumature mediorientali (in agonia, disperate e sensibili. Lamentazioni antichissime – Tammuz! -), su inserti di musica contemporanea, ariette Rotiane… Minimal, Gunter side. Vorrei vedere i lavori per Cane Capovolto. Esperienza intensa, scommetto.
Joele Valenti
ONQ/The supine waste/Best kept secret
La scuola del folk-solipsista dei vari Smog, Songs:Ohia, ecc. continua a far proseliti. Anche da noi, l’idea che basti una cameretta e un multitraccia qualsiasi per registrare un album, é stata accolta a braccia aperte. Certo, non sono in molti a riuscire ad elevarsi dallo standard da demo (un pericolo che in questa metodologia è, inevitabilmente, sempre presente) e dietro la povertà di mezzi, spesso si nascondono (o si svelano?) l’inconcludenza e la scarsa capacità compositiva. Non é il caso del progetto solista di Luca Galuppini, che in The supine waste, con l’ausilio di un otto piste e l’aiuto del batterista Mauro Costagli, ha raccolto dieci brani, fra inediti e non, intensi e tenebrosi; dividendosi tra chitarra e synth e rifugendo, anche, gli stereotipi del genere. L’iniziale Be delicate é una ballata, ma alla voce, più che Bill Calahan, sembra esserci Jhon Lydon, periodo P.I.L.; Kill refrains o Poles, sembrano rifarsi agl’immancabili Sonic Youth meno rumoristici; Cleanup, invece, si apre ad un inaspettato Rock’n’roll, sebbene molto sui generis. Tutte le tracce, però, si concedono ad un’oscurità quasi apocalittica, a cui non sembrano estranei gli ultimi Swans di Michael Gira (So long, suckers; Why and Why me). Possibili pecche, potrebbero essere: l’uso sconsiderato dell’effetto applicato alla voce, alla lunga davvero insopportabile ed una certa ripetitività negli accordi. Ma sono piccolezze, per certi versi caratterizzanti. Quantomeno curioso, che l’autore sia stato già coinvolto, in passato, in svariati gruppi di estrazione grindcore. Contatti: onqqq@inwind.it
Alessio Bosco
MARCO CAROLA/Open System/Zenit
L’esordio di questo operatore di sistemi elettronici, vive sostanzialmente di due anime. Nella prima metà, il Carola sembra preferire le eteree ambientazioni warpiane: episodi come Highview o Detached, infatti, non sfigurerebbero affatto nel repertorio dell’Aphex Twin più concitato, dibattute, come sono, tra micromelodie ultrasintetiche ed eleganti pulsioni ritmiche. La seconda parte del lavoro, invece, si addentra nei territori della techno-house più convenzionale, creando un taglio netto con ciò che l’ha preceduta e per certi versi contraddicendolo. Certo, anche in questo caso l’indubbia capacità del nostro é evidente, ma con lo scorrere delle tracce si avverte del manierismo. L’eccessivo minutaggio, poi, non sembra aiutare un genere che, per sua natura, andrebbe gustato più velocemente e fuori dalle mura domestiche; il rischio della monotonia é sempre dietro l’angolo, poiché il continuo, metronomico, pulsare in 4/4, paradossalmente, alla lunga sfinisce ed annoia. Bel disco, complessivamente, ma si attendono future evoluzioni.
Alessio Bosco
MAGICSECRETROOM/S/t/Snowdonia
Un allucinante viaggio nei meandri della psiche estinta. Procedo lentamente, incespico, ho di fronte discariche di rifiuti cerebrali, inerti, cerco qualcosa, un appiglio. No, nulla. Nessun idea, questi neuroni fischiettano indifferenti. E' una mente svuotata di tutto, cacca e pappa, bello e brutto. Piccole certezze? punti di riferimento? no. Il nulla? nemmeno. Forse i Residents... magari magari. I MagicSecretRoom (un tempo MagicMusicRoom) sbarcano a Snowdonia, proprio dopo un apprezzatissimo demo che Blow Up collocava a metà tra Wire e Red Crayola... su questo debutto omonimo non ci sono però ne' Wire ne' Red Crayola, ne' assolutamente null'altro. Provate magari a immaginarvi dei bambini pazzi e drogati che compongono la soundtrack di un film horror di serie B... io ho quasi paura quando ascolto le loro musiche, ho paura del mondo, di questi uomini dal sub-conscio strano da cui se ne escono tali creature deformi, ho paura anche di chi le mette in commercio, sicuramente una setta di post-democristiani assassini, assatanati e biricchini, così come ho molta paura di me, che ascolto queste musiche assolutamente felice e compiaciuto. Danze meccaniche spaziali, sabba virulenti di gelide cacofonie animali, rumori agghiaccianti, tensione stremata assoluta. Buttateci dentro tutto il corpo rock putrescente e fateci un minestrone, prendete la cover e baciate il faccione marrone. Io non so davvero che altro dire, certi suoni è meglio tacerli - stupendi, essi stessi reclamano un doloroso, sacro silenzio. Forse anche questa recensione è sbagliata. D'altronde, basta così. Ma alla fine che altro potevo dire sull'affascinante, ipnotizzante non-musica dei MSR?
BakuniM
FIABA/Lo Sgabello del Rospo/Lizard
Da alcuni definiti “figli del metal e nipoti del prog.”, i siracusani Fiaba sono pervenuti in realtà ad uno stile assai originale, caratterizzato da un sound assai scarno, per certi versi “impressionistico” e soprattutto straordinariamente evocativo di mondi lontani e suggestioni arcaiche. Uno stile che rifugge sia i barocchismi e le fughe di tastiera (peraltro assenti in formazione) del prog., sia le tematiche distruttive e sanguinarie di certa iconografia metal. Il magico microcosmo dei Fiaba si nutre di surreali filastrocche da medioevo popolare, con un immaginario culturale che pesca spesso nella tradizione musicale celtica ma che non disdegna scorribande in territori di folk siciliano. I testi, stesi con grande sensibilità dal batterista/poeta B.Rubino, sono affidati all’ ugola lirica del pittoresco cantastorie G.Brancato che risulta essere nell’economia del sound il vero deus ex machina del gruppo, rendendo spesso la musica puro contorno decorativo. Dopo questa doverosa introduzione veniamo allo “Sgabello del Rospo”, terza fatica della band siracusana. Siamo di fronte, a mio avviso, al loro lavoro più ambizioso e maturo, finalmente confortato da una produzione all’ altezza (i primi due album, seppur buoni, erano in tal senso abbastanza artigianali). Un concept che cattura l’ ascoltatore fin dalle prime battute, calandolo magicamente in atmosfere da sogno allucinato, evocate con pochi abili tratti dai musicisti e sublimate da un songwriting superiore alla media nonché dall’ interpretazione torrenziale di G.Brancato. Difficile estrapolare i singoli brani dal contesto perché ogni song è una piccola gemma di un mosaico in perfetto equilibrio tra “gesto” ed “intenzione”, con un’ ironia di fondo e quel gusto per lo sberleffo che allontana la trappola della sbavatura pretenziosa. Insomma, per dircela tutta, “Lo Sgabello del Rospo” è un affresco di rara potenza evocativa che proietta di diritto i Fiaba nel gotha del prog./folk metal nostrano. L’unico difetto? Un artwork alquanto freddo, ma di fronte a tanta grazia, possiamo tranquillamente …ingoiare il rospo.
Francesco Barraco
BAFFOS/S/t/Autoprodotto
Il primo CD-R dei siciliani Baffos è un lavoro che brilla per qualità, inventiva ed autoironia, doti rare per una band all’esordio in sala d’incisione. I cinque Baffos si proclamano fieramente “proto rock’n’rollers” e, grazie al loro approccio viscerale ed istintivo, si collocano in un ambito musicale nel quale nomi blasonati come Jon Spencer o Chrome Cranks (ma l’elenco potrebbe allungarsi parecchio…) hanno già strappato consensi da pubblico e critica. La pubblicazione di questo CD, registrato con la collaborazione di Cesare Basile e Marcello Caudullo, è solo l’ultima tappa di un già ricco curriculum nel quale spiccano la vittoria alla rassegna Suburban Live Set dello scorso anno e l’esibizione dal vivo al festival Sonica 2001. L’ascolto di queste cinque tracce conferma l’impressione favorevole che scaturisce dai loro concerti: si parte in quarta con “Crisi Di Panico” e i suoi ritmi serrati, proseguendo con gli episodi migliori “Figurine Colorate” e “ I Want Some”, con la calda voce di Elena Fazio che vola su un tappeto sonoro di chitarre urticanti. In presenza di tali premesse è lecito attendersi grandi cose da loro. Contatti: info@baffos.it
Raffaele Zappalà
PROIETTILI/Italian Punk Waves 77/87/Autoprodotto
Il periodo dal 77 all’87 può sembrare breve, ma ci sono dieci anni. E in dieci anni di cose ne succedono. Ad esempio la nascita e la morte di un genere come il punk che ha rivoluzionato e influenzato tutto. Certo fu un fenomeno soprattutto inglese, però la compilation che sto cercando di recensire dimostra che i giovani italiani di allora qualcosa hanno recepito pure loro. Bisogna innanzitutto ringraziare il sig. Michele Ballerini per aver racchiuso in questo disco 17 gruppi punk italiani che in quel decennio (ad essere pignoli il pezzo più vecchio presente è del 78) tentarono di imitare Sex Pistols, Ramones & Co. Alcuni pezzi provengono da LP, EP, altri da unreleased demo o registrazioni introvabili. Anche la qualità dei pezzi è molto varia sia come suoni sia come idee. Beh però a questo punto credo che abbiate capito che l’importante di questo dico non sono le canzoni in sé, ma le canzoni come documento di quegli anni. E infatti si sente che quei gruppi erano più vicini all’origine del punk, mentre adesso chi suona questo genere è influenzato per la maggior parte da Green Day, Offspring e Blink! Contatti: mickpunk@hotmail.com, link: www.punkadeka.it
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De Dieux /\ SuccoAcido