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Music - CD Reviews - Review | by SuccoAcido in Music - CD Reviews on 01/01/2002 - Comments (0)
 
 
 
The Magic Carpathians, Isolation Years, Job Karma, The Mabels, The Sivler Mt. Zion Memorial Orchestra And Tra-La-La Band, Motorhead, June Panic, More Rockers, Lamb, Division Of Laura Lee, Tracker, Hood, Shannon Wright, Seven Storey, Chris Liberator.

The Magic Carpathians, Isolation Years, Job Karma, The Mabels, The Sivler Mt. Zion Memorial Orchestra And Tra-La-La Band, Motorhead, June Panic, More Rockers, Lamb, Division Of Laura Lee, Tracker, Hood, Shannon Wright, Seven Storey, Chris Liberator.

 
 

THE MAGIC CARPATHIANS/Denega/Obuh

Un'altra enorme sorpresa dalla Obuh records in stato di grazia! Non so assolutamente nulla di questa formazione (tutte le scritte sul cd sono in cirillico) ma vi assicuro che è di una bellezza, di una purezza da portare quasi alle lacrime. 9 tracce fatte di rumori della notte, sassofoni struggenti memori delle migliori prove dei Tuxedomoon, arpeggi di piano che fanno venire alla mente film muti in bianco e nero, visi spaventosi, movimenti incerti e drammatici. Batterie elettroniche da mercatino dell'usato e violoncelli torturati, acqua che scorre nelle viscere di Varsavia, voce degna di Meredith Monk. Disco dell'anno! Contatti: obuszek@yahoo.com

Fanfarello

ISOLATION YEARS/Inland Traveller/Stickman

Non nego di trovarmi davanti ad una possibile, nuova cult band. Sono quasi sicuro che presto vedrò il loro nome spuntare nelle ciarle di rete, nei newsgroup, nei forum musicali, nelle voci argentine dei ragazzi all'uscita da scuola. Probabilmente il loro pop/rock senza infamia né lode farà breccia nei cuori di molti adolescenti vogliosi di musica deprimente. Mi trovo ad ascoltare 12 tracce di power pop arrangiato sempre alla stessa maniera: ritmica presente, chitarra scampanellante in primo piano, echi di country and western di maniera, fisarmonica che fa tanto dark pop, una voce impostata e sufficientemente tediosa da piacere a qualche giovane fan di Nick Cave. Sono di fronte a tutto questo, ma perché? Peccato perché la traccia iniziale (una specie di tema morriconiano contaminato) non era affatto male.

Fanfarello

JOB KARMA/Newson/Obuh

La Obuh è un'etichetta polacca dal cuore nerissimo. Non sempre le loro produzioni mi hanno convinto: a volte per eccesso di compiacimenti dark, altre per eccesso di zelo sperimentale (avete presente un disco fatto da tre loop tipo gocce d'acqua sul lavandino che vanno avanti per un'ora?). Questa volta l'obiettivo è centrato in pieno perché questo disco è, credetemi, stupefacente, il perfetto corrispettivo in musica di Eraserhead di David Lynch. Era dai tempi dei seminali Throbbing Gristle che non sentivo un disco così autenticamente inquientante, disperato e a suo modo beffardo (anche se lo humour inglese/marcio di Genesis P.Orridge era davvero un'altra cosa). Si parte con Ascension: techno music rallentata all'inverosimile, pulsazioni misteriose di sintetizzatori, un crescendo ansiogeno quasi da teatro della crudeltà artaudiano. Schekle: voci dal nulla profondo, riverberi da manicomio, campi di concentramento? Concerti Rock? Grande Fratello? Suadenti avvertimenti della polizia? Quando siete ancora con il cuore in gola e terrorizzati da morire arriva November, l'apice del disco, un capolavoro di chitarre sferraglianti (come nei primi dischi dei Chrome), sintetizzatori dallo spazio profondo e vergini stuprate. Imperdibile! Contatti: jobkarma@wp.pl

Fanfarello

THE MABELS/The closest people/Candle

Compagni d'etichetta dei ben più noti The Lucksmiths gli australiani The Mabels si presentano con un secondo lavoro degno di nota, nel quale emergono i punti focali della filosofia musicale della Candle Records: melodie orecchiabili, meravigliose armonie vocali, testi intelligenti e riferimenti sportivi. E proprio descrivendo una storia d'amore mediante l'utilizzo di metafore sportive che The Mabels aprono l'album: "Sporting declaration ("'She's already got a scoreboard full of runs/She's got her feet up in my pavilion) è una gemma folk country, nella quale le voci di Anthony Atkinson e Kim Parker interagiscono alla perfezione. L'album prosegue e si viene colpiti dal delicato suono di un'armonica, che introduce a "I've decided", sussurata ballata pop à la Belle & Sebastien, dagli archi che puntellano le melodie eteree di "White Walls, quiet halls", dalla chitarra acustica che in sottofondo accompagna la voce carica di pathos di Anthony Atkinson in "She Understands". Chiude l'album "The streets of Brisbane", canzone che descrive alla perfezione le angosce vissute a causa della distanza che ci separa dall'amato/a. Viaggi in aereo, distanze colmate dalla musica (...."the go betweens song reminds me if I close my eyes I can pretend I'm in her bed not next to this business man....). Scordatevi il New Acoustic Movement e avvicinatevi a questi simpatici ragazzi australiani: il vero talento è tutto rinchiuso nelle note di "The closest people".

Giuseppe Marmina

THE SIVLER MT. ZION MEMORIAL ORCHESTRA and TRA-LA-LA BAND/Born Into Trouble As The Sparks Fly Upward/Constellation

Dopo un ottimo esordio, ecco il secondo disco dei Silver Mt. Zion, progetto parallelo di alcuni membri dei Godspeed You Black Emperor - piccola leggenda canadese di labrafordinana memoria - intenti a spostare le coordinate della band madre verso suite cameristiche più aperte a certi esperimenti rumoristico-elettroidi e dai contorni a tratti indie e melodici. Si parte con le percussioni in delay dell'iniziale Sisters!Brothers!... - che rimandando all'isolazionismo + radicale - per poi venire inondate da un'acidula sezione d'archi di rachelsiana memoria, ricamata da delicatissime tessiture di piano che creano atmosfere antiche, romantiche. Le altre tracce procedono tra movenze Epic Ambient (This Gentle Hearts...) e dilatazioni parlate a metà tra gli Spacemen tre più languidi - per le chitarre - e i Labradford - per le atmosfere - (Built Then Burnt). Take These Hands... parte già più vigoroso, carico di nerbo: inaspettatamente da un tappeto di pulsazioni in delay macchiate d'archi si leva una voce, filtrata e sporcata, che aggiunge nuove coordinate indie-cantautorali al suono della band. E' poi al centro del disco che s'innalza la spettrale Cloud've Moved Mountains... forse il pezzo migliore, si svela in tutta la sua bellezza di suite elettro-romantica, richiamando alla memoria i Low più minimali quanto il Badalamenti oscuro della soundtrack di Twin Peaks, il tutto come sempre ricoperto da archi e delay chitarristici ipnotici e psych. A fine CD si sentono poi alcuni (abusati) rimandi pop non distanti da certo Slow-core. Se i diretti referenti sono Rachel's e l'altra band parallela, i GYBE, questi Silver Mt. Zion rivelano più di chiunque altro quanto sia corto il passo tra certi suoni "classici" e l'indie-cantautorale americano sviluppatosi in ambito post-rock negli ultimi anni.Ma ai Silver manca - manco a dirlo - il carattere e l'incisività delle altre due band, soprattutto dei Rachel's. Ho provato a riascoltarmi "Handwriting" dopo "Born Into Trouble"... non datemi del conservatore, ma la band di Noble in tale ambito resta - e forse resterà sempre - qualche spanna sopra a tutti gli altri. Ad ogni modo, I Silver Mt. Zion seguono a ruota.

BakuniM

MOTORHEAD/Live at Brixton Accademy/SPV

Maneggiare il dvd live dei Motorhead, realizzato per il venticinquesimo anniversario della fondazione del gruppo, è un po’ come tornare indietro di una dozzina di anni, quando la tua testa di quindicenne era imbottita di sonorità hard rock e trash metal, prodotte in quantità industriale durante gli anni ottanta. Poche band e protagonisti di quell’epoca sono sopravvissuti a se stessi ed al mondo senza doversi vergognare dei compromessi raggiunti per farlo (non è vero, Urlich & co?), e sicuramente Lemmy ed i Motorhead possono fare parte di questo esiguo numero di ‘duri e puri’. Allora perché? Perché abbandonarsi alla tentazione di realizzare un cofanetto che nulla aggiunge alla storia della band e puzza di operazione commerciale lontano un miglio? Se la parte video è apprezzabile dal punto di vista ‘documentaristico’ (ma a quanto ce la vendiamo questa ipertecnologizzata serie di pose, interviste e special guests?), credo si potesse rinunciare a cuor leggero al gadget/supporto sonoro (ma sarà poi tutto in omaggio?). Non vale forse neanche la pena di soffermarsi a giudicare le non eccellenti scelte grafiche del mini cofanetto, od il fatto che alcune tracce audio sembrano registrate durante l’Octoberfest, con i tecnici del suono sbronzi che regolano i volumi a cappella. Il succo del discorso è che personalmente mi sono rotto le palle di tributi, reunion, ecc… che oltre ad essere spesso oltraggiose nella loro versione ‘on tour’, diventano ridicole ed irritanti quando vengono riprodotte con la pretesa di essere vendute: se le varie band hanno tutta questa smania di autocelebrarsi, abbiano almeno il coraggio di distribuire gratis le loro perle!

Roberto Baldi

JUNE PANIC/Silver Sound Sessions/Super Asbestos

The Silver Sound Sessions inizialmente fu registrato in un solo pomeriggio, nel 1998, con pochi mezzi e tanta caparbietà: l’idea del visionario J.P. era che il disco dovesse suonare come “l’argento”. Ma perché fosse veramente soddisfatto dovevano passare ancora un paio di anni, in cui nel frattempo June ha prodotto “Horror Vacui”, e ripassare in filtri, mixer ed alambicchi il vecchio materiale. Ed eccocelo tra le mani: mistico (proprio nella title track, si fanno spazio dei cori da chiesa, durante una processione - in Italiano ovviamente) cristallino, rock and roll scintillante. 8 tracce per 25 minuti un e.p. ben congeniato, se proprio una pecca dobbiamo trovarcela, troppo immediato rischia alla lunga di stufare, dal sapore velatamente di frontiera, frutto della commistione tra bassa fedeltà e simbolismo notturno…folk esoterico?!! Made in U.S.A. come Neil Young e Sebadoh.

Andrea Pintus

MORE ROCKERS/Select cuts from More Rockers/Select cuts-Echobeach

“Trust, belief, love, respect” è il motto che campeggia nel sito internet della Echobeach, (label di Amburgo fondata nel 1996 e specializzata in musica dub. Una sottoetichetta della Echobeach, la Select cuts, ci propone una valida raccolta dei singoli dei More Rockers, sigla dietro la quale si celano Peter D. Rose e Rob Smith, ovvero due terzi dell’ultima formazione degli Smith & Mighty, ovvero due tra i pionieri del Bristol Sound. Coadiuvati dall’mc Navigator e dalla cantante Marylin MC Farlane, Rose e Smith vanno con i More Rockers ad esplorare i territori della jungle e trattano la primigenia materia dub ora amplificandola in profondissime vibrazioni di basso ora frantumandola in migliaia di schegge sonore proiettate tra le accelerazioni drum’n’bass. “1,2,3, break”, “Show love” ed i due remix curati dai More Rockers per gli amici Virginia e On erano già apparsi nel volume Dj Kicks curato qualche anno fa proprio dagli Smith & Mighty, ma in questo “Select cuts from More Rockers” possiamo trovare autentiche perle come “Sweetest hangover”, “Your gonna” e “I need some lovin”; in fondo alla compilation ci sono poi un paio di ottime tracce dub accreditate a Henry & Louis, due djs che, manco a dirlo, fanno parte del giro degli Smith & Mighty.

Guido Gambacorta

LAMB/What sound/Mercury

“What is that sound? Ringing in my ears…”. Quale suono? Forse gli archi celestiali di “What sound” o forse l’atmosfera subacquea di “One”… Suono incorporeo, lontano da qualsiasi fisicità terrestre… ARIA e ACQUA gli elementi del nuovo disco dei Lamb. Andy Barlow costruisce alle macchine stratificazioni complesse e loop circolari. Energia implosa. La melodia sembra rimanere intrappolata, compressa fra i beats, poi si libera impalpabile. La voce di Louise Rhodes svolazza leggiadra in “Sweet”, ma già “I cry” riesce ad evocare misteriose profondità oceaniche… . I ritmi fratturati e gli scratches increspano la superficie di “Scratch bass”, rendendo minacciosa la distesa marina. E tutto intorno il buio della notte: “Heaven” è una ninna nanna stellata che si dipana lungo una linea di basso… Immersione, trattenendo il fiato nel liquido amniotico di “Small”. Emersione: “Gabriel”… distanze siderali percorse solo da un lieve schiudersi delle labbra; la luna toccata con un dito, sfiorata. “Sweetheart”: dolce cuore pulsante trascinato dalle onde. E infine “Just is”, con lo sguardo che si perde lungo la linea dell’orizzonte. Arto Lindsay, Michael Franti e Me’Shell NdegéOcello volano (e nuotano) anche loro fra le tracce di “What sound”…

Guido Gambacorta

DIVISION OF LAURA LEE/Black City/Burning Heart

Si arricchisce di un nuovo nome la scuderia Burning Heart lanciando sul mercato questi svedesi dal moniker singolare. Diciamo subito che siamo lontani dal più classico clima popcore tipico della label scandinava fino ad un paio di anni fa e se proprio dobbiamo fare delle analogie con la memoria storica dell' etichetta, allora è al nome degli (International) Noise Conspiracy che dobbiamo avvicinarci. In almeno un paio di episodi (We' ve been planning this for years, Access Identity, Second rule is) l'impressione è infatti quella di ascoltare la band di Lars Stromberg e Dennis Lyxzen spurgata dal livore sixties tipico delle loro strutture soul-punk e catapultata invece dentro un clima torbido e scuro di chiara impronta wave, dominato dal basso e da chitarre emule del noisy calibrato e glamour di bands come Girls Vs. Boys o Placebo. Peccato la band si lasci un po' prendere la mano venendo talvolta (I walk on broken glass, Trapped In, in misura minore I guess I' m healed) totalmente risucchiata dai propri flashbacks anni 80 e un temibile sintetizzatore prenda in mano le redini della scena per naufragare il tiro della band in isole fin troppo popolate da romantici dandies con ciuffetti cotonati e illuminate da una sulfurea luce proiettata da lugubri, violacei fari al neon.

Franco "Lys" Dimauro

TRACKER/Ames/FILMguerrero

Strade aperte oltre la città, la colonna sonora del viaggio in cui si è soli con se stessi oltre la solitudine.Un taccuino pieno di ricordi dove la malinconia non ha il sapore della fuga, ma dell'immensità dello spazio rispetto la finitezza della stanzialità. Racconti dalla frontiera Americana, autostrade deserte scagliate verso l'orizzonte, la weast coast, filmini in super 8. Drumming LO-fi, chitarre "loose", folk e rock melodicamente distorti in maniera omogenea: Ames è una bella sorpresa autunnale composta da 13 tracce non ripetitive tra loro che senza apportare nessun tipo di evoluzione al Sistema Solare, fanno sentire semplicemente bene. Frutto della mano di un cantautore da tenere d'occhio, John Askrew, e, come dice lui, della fortuna di aver potuto suonare molto in giro e registrato le sue canzoni con un gruppo di veri amici in piena autonomia. Che di fronte alla complessità delle emozioni il modo più semplice per affrontarle sia ad occhi aperti con un po' di "scanzonatura"? Tanto per riconfermare il mio essere una puttana: se vi piace il pop alla Grandaddy e Bryght Eyes, senza disdegnare i Pearl Jam di Vitalogy e No Code, e non conoscete ancora i Tracker...

Andrea Pintus

HOOD/Cold House/Domino

GLI Hood si sono ritagliati una riguardevole fetta nell’underground musicale europeo grazie ad album come The Cycle Of Days And Season e Rustic Houses Forlon Valleys episodi nei quali riusciva perfettamente il matrimonio tra sonorità indie ed elettronica, ma è con il nuovo Cold House che sfornano il loro miglior album ove alle gia collaudate doti personali hanno aggiunto una massiccia dose di hip-hop grazie alla collaborazione con i rappers inglesi Clouddead che mettono un imponente tassello all’album dando ampio sfogo alle molteplici influenze degli Hood, passando dal piano alla Rachel’s (in The Cycle Of Days And Season gli Hood campionarono un brano dei Rachel’s) di “Enemy Of Time, all’intro simil ultimi Radiohead (i primi frutti della svolta di Yorke and co.?) di “You Show No Emotion At All” che poi sfocia in una dolce melodia grazie anche all’indovinata linea vocale, alla perfetta fusione tra indie/trip-hip-hop di “Branches Bare” (con i Clouddead a colorirne il finale), al dub di “The Winter Hit Hard” sino ai rumori di “This Is What We Do To Sell Out (S)” tutti episodi che mostrano gli Hood muoversi in qualsiasi campo musicale senza alcun timore. Se prima gli Hood erano una scheggia impazzita nel panorama musicale con questa nuova raccolta di canzoni sono diventati una stella, tra le più luminose emerse in questo fine anno musicale.

Gianni Avella

SHANNON WRIGHT/Dyed in the wool/Quarterstick

Ad un anno circa di distanza dal superbo “Maps of the tacit”, Shannon Wright consegna alle stampe un altro straordinario tassello del suo sofferto diario sonoro. Nessun cambiamento di rotta, semmai una cura ancor più certosina negli arrangiamenti ed un definitivo approdo ad una forma estremamente personale e colta di musica da camera.Circondata dalla solita congrega di amici (tra cui spiccano Jeff Mueller e Jason Noble), la Wright lascia sempre meno spazio a vezzi cantautorali e compone una serie di miniature in cui classica, schegge post e stranianti sapori mitteleuropei si fondono inscindibilmente, raggiugendo spesso risultati spettacolari: basti pensare al valzer zoppicante di "The hem around us", in cui una chitarra acustica crea un suggestivo contrappunto al canto; o ancora alla complessa partitura di "Surly demise", dove la litania di turno, troncata ad arte dalle scudisciate flamenco della chitarra, cede il passo ad un concerto per archi dissonanti, onde e gabbiani marini.Lo strumentale"Colossal hours" è una delle vette del disco, con le sue ardite figure di piano e il rintocco casuale ed a tratti jazzato della batteria. La Wright crea tensione e meraviglia nei modi e nei momenti più impensati: ne sono esempio la splendida fuga d’archi campionata di Method of sleeping o il trillo impazzito di chitarra della title-track.Lo spettro di Kurt Weill aleggia nel finale ubriaco di "You hurry wonder", mentre quello di Nico sorveglia l’intensissimo frammento di “The sable”. “Vessel for a minor malady” è, poi, una forbita sonata per voce, pianoforte e viola. Tutto ciò in poco più di mezz’ora, nemmeno un secondo sprecato. “Dyed in the wool” conferma, dunque, la Wright come regista efficacissima di agghiaccianti atmosfere da thriller, in cui il suo canto espressionista, equamente diviso tra sussurri e grida, diventa specchio di un’umanità lacerata dalla solitudine e dall’orrore del quotidiano.

Davide Romeo

SEVEN STOREY/Dividing by zero/Deep Elm

Ecco il disco che può tentare di risollevare le quotazioni della Deep Elm, ultimamente in calo a causa di un eccesso di autoindulgenza che si respira in molte produzioni col suo marchio rotondo. I Seven Storey hanno carattere e stile propri e poco a che spartire con tanta paccottiglia emo: diverso il loro background e diversi i risultati, Dio li abbia in gloria. Sono forti ad esempio i legami con certa new wave (a me è parso di sentire affiorare in più di un caso il ghigno di Andy Patridge e dei suoi XTC...) ma quello che colpisce è la fantasia ritmico-melodica in cui i tre ragazzi americani incuneano queste loro ascendenze, degna di gruppi come Fugazi e All e cresciuta in maniera esponenziale dai tempi di Leper Ethics, il tutto "trattenuto" dai timbri evocativi della voce di Lance Lemmers, a tratti vicino allo spleen epico dei vocalists di Alice in Chains o Days of the New (ascoltate pezzi come Paper and Quill oppure Enough Already per sincerarvene, NdLYS). Notevoli, sul vero senso della parola.

Franco "Lys" Dimauro

CHRIS LIBERATOR/Walking the dog/Routemaster

Di discreta fattura per la serie zitto e balla, è“Walking the Dog”, uscito negli ultimi mesi del 2001.Sono 15 le tracce mixate da Chris Liberator, che ha già lavorato con la Routemaster Records la label pseudo underground inglese che ha presentato questo Cd come hard acid mixato nel più maniacale stile acid trance possibile… Chris Liberator è dj e produttore, votato tra i cinquanta migliori Dj del mondo in “Dj’s Magazine”, per ben tre anni consecutivi. Le sue etichette più recenti sono “maximum Minimum” per la techno e “Yolk” per la tech-house; mentre le etichette “Stay up Forever” e “Cluster”, le gestisce insieme agli altri Liberetors: Julian & Aeron. Chris ha vissuto (e vive) la sua vita zona nord di Londra, ma è nato in un sobborgo nell’est londinese. Come tanti, ha cominciato armandosi di un mini sound system e organizzando con Julian e Aeron grandi eventi techno in enormi “sqotted house”: dai rave ai più eccessivi punk squat party. Da li, pian piano, fino al successo! Adesso, suona regolarmente in tutto il territorio U.K e in giro per l’Europa.Ha suonato in posti esotici come l’Australia, Israele, Giappone, Brasile, in Venezuela, in U.S.A ed in Canada.

Etta 74

 


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