Tomahawk, Nmperign, Preston School Of Industry, Arab On Radar, Notwist, Nobodys, Les Savy Fav, Pacer, Angelic Upstarts, Universal Funk, Maximilian Hecker, Mogwai, Asian Dub Foundation, Portal, Ting, Queers, Akineton Retard, Vincent Gallo, Scout Niblett.
Tomahawk, Nmperign, Preston School Of Industry, Arab On Radar, Notwist, Nobodys, Les Savy Fav, Pacer, Angelic Upstarts, Universal Funk, Maximilian Hecker, Mogwai, Asian Dub Foundation, Portal, Ting, Queers, Akineton Retard, Vincent Gallo, Scout Niblett.
TOMAHAWK/Tomahawk/Ipecac
Dopo le ultime avventure “cinematografiche” con i Fantomas riecco quel simpatico mattacchione di Mike Patton, questa volta in compagnia di Duane Denison, Kevin Rutmanis e John Steiner; Faith No More-Jesus Lizard-Melvins-Helmet ad indicare non solo il passato dei quattro ma anche a tracciare le coordinate sonore del nuovo progetto comune: sezione ritmica fantasiosa e potente, pruriti noise, chitarra pazzarella ed urla, grugniti, vocalizzi assortiti di un Mike Patton in forma smagliante. Il risultato finale non è pari alla somma degli addendi, ma comunque il dischetto in questione scorre via che è un piacere e tra assalti furiosi e momenti epici stile “King for a day, fool for a lifetime” (“Point and click”, “Sweet smell of success”) i Tomahawk riescono pure ad inventarsi un jingle country (Cul de sac), un pezzo rock’n’roll ballabile in qualche clinica psichiatrica (“Jockstrap”) e una traccia, “Laredo”, che sembra fatta apposta per raccontare le avventure di Jack lo Squartatore! E’ notte, Jack si aggira solitario per i vicoli bui…….. una figura femminile sta camminando lungo il marciapiede, Jack la segue, accelera il passo, l’ha quasi raggiunta, ecco gli è addosso, affonda il coltello più e più volte osservando il vomito rosso uscire dalla bocca… Jack ora cammina sospinto da un delirio irrefrenabile e colpisce di nuovo, questa volta con ancora più violenza, accanendosi furiosamente sulla sua seconda vittima….. all’improvviso le sirene della polizia… il corpo ridotto a brandelli di carne viene abbandonato in mezzo alla strada; Jack scappa attraverso il buio della notte fino a quando tutto torna nuovamente silenzioso intorno a lui. Può riprendere la sua caccia spietata: una donna sola lì all’angolo della strada… è un attimo, Jack l’ha spinta a terra e sbava impazzito sopra di lei mentre il sangue sgorga nuovamente copioso…. Adesso Jack ha placato la sua follia; si tira su il bavero del cappotto, si accende una sigaretta, alza il volume del walkman e riprende felice la sua passeggiata notturna con in cuffia il disco dei Tomahawk.
Guido Gambacorta
NMPERIGN/Bhob Rainey/Greg Kelley/Selektion/Demos
‘Questa non è una religione, non è un culto, non è un artificio commerciale. E’ semplicemente (ma credetemi, non è davvero così semplice) un modo di essere pienamente COINVOLTI NEL VIVERE. E’ il modo in cui gli Nmperign esprimono il più alto potenziale dell’essere umano” (M.Y. Klein).La sigla Nmperign, abbreviazione di "Ignotum-per-Ignotum", sta a significare l’attività di due esseri umani (Bhob Rainey e Greg Kelley) intenti a produrre particolari "suoni" col solo ausilio del fiato e di alcuni strumenti di metallo (una tromba e un sassofono). Registrando il tutto su supporto fonografico, gli Nmperign riescono a produrre - mediante il procedimento simbolico dell’arte - una finzione (anti)estetica che si pone concettualmente come rappresentazione e metafora del vivere. All’interno di questo disco troviamo: il grugnito dei porci, il pianto dei neonati, alcuni suoni prodotti dalle viscere del corpo, sfarfallii prodotti dal vento, tensione nervosa, ansie della psiche, fragorosi applausi, il concetto della timidezza, la pioggia, un cinguettio di uccelli, la morte, un raffreddore, acqua di ruscello e di lavandino, il bisogno innato di tenerezza e di certezze, un rutto, alcuni linguaggi orientali, il circo, la neve, il cristallo, l’essenza del grottesco, un’emicrania, un bacio, la danza, l’invecchiamento del corpo. E un’altra infinita quantità di cose. Non di ri-produzione della realtà si tratta (ma alla fine nessuna realtà "ri-prodotta" è mai tale, perché sempre filtrata e fantasticata dalla lente deformante delle idee dell’artista), in questo caso ci troviamo di fronte ad un autentico tentativo di creare dal nulla (dal silenzio) una nuova realtà: questi suoni non sono altro che il più autentico, il più genuino REALISMO. Questa degli Nmperign non è musica, è piuttosto una specie di documentario, una sorta di museo che ha come corridoio e come stanze il tempo, e in cui alle pareti non sono esposti quadri, ma suoni, ognuno significante un determinato aspetto del vivere - piccolo o grande che sia, poco importa.Questo museo si chiama "vita". E come nella vita, qui tutto rimane ignoto, indecifrabile. Tutto rimane necessariamente ignoto.
BakuniM
PRESTON SCHOOL OF INDUSTRY/All This Sounds Gas/Domino
Scott Kannberg rappresentante di musica, novello lavoratore che si aggira con la valigetta di cuoio a vendere le sue passioni musicali ai giovani d'oggi, nel deserto del nuovo millennio. Povero Scott, ha già il cuore tenero di un nonnetto dell'indie rock psichedelico anni 80 e lo spettro della nostalgia si aggira minaccioso. Immaginate Kannberg ospite di un ideale "ci vediamo in studio di registrazione" condotto su rai1 da Kim Gordon in minigonna (come Sandra Milo nella rai2 ultra-craxiana). Confesso candidamente che con questo disco noi giovani adulti possiamo tranquillamente piangere. Falling Away è Cure/New Order, A Treasure of Silver bank è un plagio dei Felt (con tanto di inconfondibile organetto dietro alla voce nel ritornello), Encyclopedic knowledge of (e mai titolo fu tanto rivelatore!) è presa di peso dal repertorio dei Fall fine anni 80, Doping for Gold è rock psichedelico come quello suonato da un giovane Jonathan Richman, poi che c'è? Qualche violoncello, un'altra ballata che sa di Cure, un synth bizarro alla fine di Monkey Heart and the Horses'Lag...Insomma un disco consigliato solo ai nostalgici dei bei tempi che furono, ai giovani consiglio l'acquisto di "The Frenz Experiment" dei Fall.
Fanfarello
ARAB ON RADAR/Yahweh or the Highway/Skin Graft
Se il dio greco Vulcano - il più sporco e indemoniato - lavorasse alle officine Ford della vecchia Detroit industriale (quelle narrateci dall'apocalittico Celine), se venisse poi magistralmente ripreso dall'occhio di un Kitano in preda a una sua tipica crisi di furia distruttiva e surreale, e dato poi a commentare a un Huxley e un Leary vaganti oltre le porte della percezione, si otterrebbe in parole e immagini qualcosa di molto simile agli Arab on Radar in suono. Se volessimo poi trovare altri referenti musicali... allora sì, qui la faccenda si complica.Provate magari ad accostarli ai P.I.L. claustrofobici di "Flowers of Romance", oppure ai loro gemelli Flying Luttenbachers, o ancora al primo industrial inglese - ma più per quanto concerne le 'idee' piuttosto che la 'forma'. Ma in fondo potremmo semplicemente dire che si tratta di puro e purissimo 'Rock'n'Roll', o meglio il suo cadavere, ciò che rimane di quest'arte da tempo lasciata a marcire in qualche angolo del sottosuolo: un intenso, acceso dialogo tra zombie. Gli Arab on Radar sono i fantasmi dell'America contemporanea, tutt'oggi puritana sino alla trasgressione, e osservata dagli occhi del popolo di Seattle, libera e democratica ma globalmente terrificante, schifata.Da questo attacco all'attualità nascono i momenti più eccitanti ed iconoclasti del loro ultimo lavoro: "My mind is a muffler", industrial punk ed orgasmi in serie per qualche X Generation post-umana; "Cocaine Mummy" una mitraglia psichica alla Royal Trux per l'International Lobotomy Syndicate; "God is Dad" marcetta satanica per il Papa e le vergini di Dio, ovvero i Doors coverizzati dai Chrome; e per finire l'anticoncezionale "Birth Control Blues", un sabba rovente per famigliole nucleari con tanto di figlioletto hacker, una centrifuga meccanica alla sonic-youth colorata da cori bianchi metallizzati. Era con grande curiosità che si aspettava il ritorno degli Arab - che per chi non lo sapesse sono l'ultima riuscita scoperta di casa Skin Graft, nonché i 'salvatori' della più rinomata etichetta cult del pianeta.Dopo qualche ritardo, Yahweh or the Highway è uscito ad ottobre: come trattato di sociologia e dichiarazione di guerra non c'è male... come musiche invece, davvero non saprei, in questi 25 minuti scarsi di rumore organizzato non si capisce se ci troviamo di fronte a passaggi e riff 'memorabili' o a qualche lampo di luce destinato ad estinguersi nel giro di poco... ma ai posteri... C'è di sicuro qualche incertezza in più rispetto a "Soak the Saddle", ma allo stesso tempo il suono si arricchisce di nuove e frastornanti sfumature. Per certo vi posso dire che se amate scuotere i vostri sensi e maltrattare le vostre anime, questo disco sarà per voi un'autentica manna.
BakuniM
NOTWIST/Neon Golden/City Slang
La tradizione musicale tedesca è talmente imponente che questa nuova ondata di band non può che far ritornare la mente alle pagine KrautRock-iane, paragoni notevoli ma di certo non fuori luogo se si pensa a Lali Puna, Village Of Savoona e Notwist, ove questi ultimi capitanati dai fratelli Micha e Markus Acher (membro anche delle band sopraccitate) con Neon Golden non solo confermano tutto il buono dimostrato con il precedente Shrink ma riescono a superarsi, sfornando un album che definire Pop non è riduttivo se per Pop si intende la presenza di melodie mai banali, tutte costruite sulla possente presenza di campionamenti e beat elettronici ma senza dimenticare la classicità degli archi che sono una forte presenza sin dall’iniziale “One Step Inside Doesn’t Mean You Understand”. Difficile soffermarsi su qualche traccia in particolare anche se è un piacere ascoltare i Notwist cimentarsi nel Country della TitleTrack, e mentre “Pilot” fa muovere qualsiasi parte del corpo “Trashing Days” e “Consequence” ci mostra il lato più melanconico di questi quattro tedeschi che suonano quello che vogliono come vogliono. Non ho aggettivi per descrivere la genialità di questo Neon Golden, trovatene uno voi, basta solo che qualunque esso sia, sia sinonimo di grande musica.
Gianni Avella
NOBODYS/Less hits more tits/Hopeless
La formuletta invincibile dei NOBODYS non tradisce e non invecchia: come da copione: ventuno pezzi, strutture tipicamente “Ramonesiane” sparate a velocità supersonica, con piglio tipicamente 80’s Hardcore, testi che definire politicamente scorretti è un complimento, tette giganti e foto zozze a iosa. E qui anche un po’ più tamarri del solito, con una imprevista abbondanza di assoli iper-power-metal e strani rallentamenti che, se al primo ascolto lasciano un po’ interdetti, dopo un po’ ti ci abitui. E del resto, della loro anima un po’ “cinghiala”, i NOBODYS non hanno mai fatto mistero. “She can’t say no”, “Drunk at the BSL”, “55 Miles to Denver”, “54 dollars”, nel mio mondo ideale sarebbero veri e propri inni generazionali. Da scegliere ad occhi chiusi, magari in blocco con i precedenti quattro LP. Rock ‘n’ Roll.
Marco Sannino
LES SAVY FAV/Go Forth/Southern
Formatisi nel 1996, i Les Savy Fav arrivano con Go Forth al loro terzo CD. Prodotti da Phil Ek (Modest Mouse, Built To Spill) e famosi per i loro devastanti concerti, i cinque di Brooklyn si presentano come esploratori di territori new wave, post-core e art-punk, partendo da D.E.V.O. e Talking Heads (poco) per arrivare sino a Fugazi (molto) e Brainiac (ma dove?). Devo dire che l’ibrido sembrava davvero interessante… ma il risultato non lascia troppo spazio agli elogi: se pure il trittico iniziale presenta riff (molto fugaziani) e passaggi notevolmente azzeccati - mentre in seguito Daily Dares stupisce per come la sua delicatezza si trasformi in foga hardcore - sul resto si dovrà chiudere un occhio, e - per il vostro bene - tapparsi le orecchie… a volte i cinque provano pure a riprendere qualche idea dagli indimenticati Minutemen e Gang of Four… ma il risultato è a dir poco imbarazzante. La voglia di creare c’è, il carattere manca ma le idee possono supplire, il lavoro di produzione è invece molto buono… per ora non ci siamo, ma diamo loro il tempo di rifarsi.
BakuniM
PACER/Big buildings, small stars/Eskimo Kiss
Stato fertile per l'indie rock la North Carolina; è passato, tuttavia, molto tempo da quando i Sonic Youth celebravano i fasti della scena di Chapel Hill sull'album "Dirty", i Polvo non esistono più, i Superchunk continuano a pubblicare ottimi album, anche se non sono mai diventati la "next big thing". A tenere alto l'onore dello stato, che per primo ha avuto modo di godere delle performances atletiche di Michael Jordan, ci pensano ora i Pacer, provenienti da Wilmington. Trio composto da Jeremy Mathews (chitarra, canto), Kim Ware-Mathews (batteria, canto) - che si occupano anche della gestione dell'etichetta Eskimo Kiss Records - e Bill Patterson (basso) i Pacer rinverdiscono i fasti dell'ormai vituperato indie pop e, giunti al loro secondo album, si avvicinano alle vette raggiunte dagli Yo La Tengo dell'ultimo periodo, regalandoci deliziose perle country/folk ("Trouble", "Good in it all"), tenere ballate accarezzate da dolci armonie vocali, impalpabili rintocchi di chitarra ("Find the time") e di glockenspiel ("Sad Girl") e impennate indie rock nella migliore tradizione americana ("Aquarium", "Telemarket"). Non è il periodo migliore per i grandi edifici questo che stiamo vivendo, ma le piccole stelle potranno brillare nel firmamento se vorrete concedere un ascolto a questo delizioso gioiello di album.
Giuseppe Marmina
ANGELIC UPSTARTS/Live from the Justice League/TKO
Non staremo certo parlando di un disco indispensabile, considerato peraltro che la discografia degli UPSTARTS, nome di culto, per Skin, Punk, Herbert & Mod di mezzo mondo per quasi tre decadi, abbondi di materiale dal vivo, e questo live LP esca a pochissima distanza dal precedente (live anch'esso). Però, e che cacchio, anthems del calibro, di “Teenage Warning”, “Police Oppression”, o la ballata working class per eccellenza “Solidarity”, suonati da pure leggende viventi che tra l’altro, quanto a carica e solida rabbia hooligan, non sembrano lasciarsi facilmente scalfire dal peso degli anni, fanno sempre un certo effetto.
Marco Sannino
UNIVERSAL FUNK/One/April
Se questo mio lavoretto part-time come scribacchino, non fosse ampiamente ripagato da fama, successo, donne e denaro, avrei liquidato questi danesi Universal Funk con due parole semplici ed efficaci: PURA MERDA. Ma il nostro, magnanimo, magadirettore galattico pretende approfondimenti. Quindi immergiamoci. L’inutilità in musica, praticamente: leccatissimo lounge-house-jazz, fatto apposta per provare gli stereo nei negozi d’elettrodomestici o per insaporire l’ambiente di qualche locale ultrafighetto. Troppo pulitino e senza mordente per i club, moscio da far paura, con dei suoni oggettivamente brutti, senza un solo break da salvare (bà, forse quello di Don’t take all...), adatto giusto come sottofondo per una televendita. Costruito interamente sugli stessi accordi e sulle stesse atmosfere post-new age. Could I, Kuta e Trains and planes fanno molto pubblicità di shampoo. Gli umori latini di Streets of Havanna, invece, sono praticamente la rivisitazione di un classico sempre valido: La colegiala (...dejà vù di un certo caffè solubile...). Impossibile persino una rivalutazione trash a posteriori: non c’è neanche un sano e divertito superamento delle righe (classico appiglio per la plusvalenza, etica/estetica, monnezzara). In altre parole, si prendono fottutamente sul serio, toccando il gradino più basso dell’insulsaggine. Il “cattivo cattivo gusto” di John Waters? Eccolo qui. A ridatece Boney M!!!
Alessio Bosco
MAXIMILIAN HECKER/Infinite Love Songs/Kitty yo
Da un album il cui schietto titolo è “Infinite love Songs” non è difficile immaginare a cosa si va incontro, canzoni d’amore (quindi tristi) suonate con il giusto piglio acustico tanto di moda in questi tempi ma non sfigurando assolutamente al cospetto delle più “celebrate” proposte anglosassoni, anche se il berlinese Maximilian Hecker cresciuto suonando cover dei Nirvana i riferimenti sono sia inglesi (radiohead pre-svolta) che americani (Brian Wilson pre-esaurimento). Nei dodici episodi contenuti nell’ album Max tratta l’amore osservandolo da diverse sfumature, dall’adorazione che si prova per chi si ama sino all’attesa per la persona che si desidera amare, argomenti non nuovi sicuramente ma se il tutto è condito dalla timida voce del singer che si accompagna con chitarra acustica e da qualche sprazzo di elettronica (l’album esce per la Kitty Yo) il tutto suona molto affascinante. Prima di questo debutto Max si era fatto conoscere con il singolo “infinite Love Song” (contenuto nell’album) unico episodio dove la componente elettronica e presente in dosi massicce, infatti nel resto dell’opera sono le atmosfere acustiche a padroneggiare. Il dolce arpeggio dell’iniziale “Polyester” apre degnamente l’album ove Max accompagnato dalla chitarra acustica disegna una deliziosa melodia indolente, in “Green Night” sembra di ascoltare un episodio appartenente all’ultimo repertorio di Moby mentre “The Days Are Long” è una dolce ballata per piano e voce, singolare è l’andamento della lunga “Cold Wind Blowing” che dopo la partenza cadenzata è “bruscamente” inframmezzata da una nervosa parte centrale ma (personalmente parlando) l’apice dell’album è raggiunto da “Sunburnt Days” stupenda ballad dolce/amara dove si erge alla perfezione la sognante timbrica di Max. L’album fornisce ottimi ingredienti per l’attesa e l’arrivo dell’…….inverno, speriamo accompagnato da qualcuna/o che apprezzi le canzoni d’amore di Max come le abbiamo apprezzate noi.
Gianni Avella.
MOGWAI/Kicking a dead pig: mogwai songs remixed/Chemikal underground
A quattro anni di distanza dalla prima edizione, razziata in brevissimo tempo, e fino a qualche settimana fa introvabile, è ristampato per Chemikal Underground il monumentale album di remix “Kicking a dead pig”. Alcuni trai più notori esponenti dell’elettronica sperimentale (e non solo) manipolano con eleganza pezzi tratti da “Young Team”, capolavoro d’esordio della band di Glasgow. A coadiuvare la raccolta un secondo cd contenente i due remix di “Mogwai fear Satan” risalenti al singolo datato 1997. A fare da corollario a queste atmosfere estremamente allucinogene troviamo la classe di Arab Strap, U-ziq, Kid Loco e Third eye foundation. Una sequela di riarrangiamenti bizzarri ed altalenanti tra rivisitazioni ambient (“Like Herod” ricorretta con maestria dagli Hood), sferzate noise (“Helicon 2” nel remix di Max Tundra), reminiscenze eighties scandite da sofismi house (“Gwai on 45” manipolata dagli amici Arab Strap), dilatazioni trip hop di Third Eye Foundation (“A cheery wave…”) e nervose frustate jungle (“Mogwai fear Satan” in edizione Surgeon mix). In contemporanea con la raccolta dei 3 ep usciti per Chemikal quasi a voler suggellare la fine della collaborazione con la materna label indipendente scozzese, i Mogwai pensano bene di risfoderare un cavallo di battaglia che senza dubbio aveva lasciato un’impronta notevole sulla passata carriera musicale. Indubbiamente “Kicking a dead pig” è un complemento essenziale nella discografia della band, che nessun entusiasta ammiratore del combo di Glasgow dovrebbe lasciarsi sfuggire.
Filippo Boccarossa
ASIAN DUB FOUNDATION/Frontline 1993-97 - rareities and remixes/Nation Records
Uno dei dischi che ho ascoltato di più durante l’ultima estate è stato “Facts and fictions”, il primo degli Asian Dub Foundation risalente al 1995, e quindi sono corso ad acquistare “Frontline 1993-1997 - rareities and remixes”…anche il titolo del resto sembrava promettere bene…E invece, che delusione! Sto ancora rimpiangendo i soldi spesi per questo cd…Una raccolta inutile per non dire commercialmente disonesta: se nella tracklist compare un titolo come “Change a gonna come” era ragionevole pensare che si trattasse di un pezzo mai apparso nei tre dischi di studio e non di una alternative version di “Change”, brano presente in “Rafi’s revenge” del 1998. E, se avete capito il giochetto, cosa si nasconde secondo voi dietro la sigla “C.a.g.c.”, titolo della decima traccia? Vengo inoltre a scoprire che “Rivers of dub” e “Nazrul dub” non sono altro che la destrutturalizzazione sonora di idee che hanno trovato la loro forma definitiva in brani di “Facts and fictions” come “Rebel warrior” e “Strong culture”…. Poche rarities quindi, anzi nessuna rarità (o forse il termine inglese “rarity” è usato come sinonimo dell’espressione “collage di ritagli e avanzi di magazzino”?) e solo tanti remixes…Ehm…appunto, i remixes: quelli di “Witness”, “Strong culture” e “P.k.n.b.” sono inascoltabili (techno, industrial dub o cos’altro?), la dub version di “Jericho” è piuttosto insignificante e alla fine si salvano solo una cupa versione breakbeat di “Tu meri” e la già citata “C.a.g.c”. A questo punto prende decisamente corpo l’idea che “Frontline…” sia stato concepito dagli ADF non per colmare una lacuna nella propria discografia, ma solo per crearsi un minimo di visibilità sul mercato prima dell’uscita del nuovo album, attualmente in fase in preparazione. For the consciouness of the nation, the sound of Asian Dub Foundation…No!! This is only a speculation to have the money of the nation!
Guido Gambacorta
PORTAL/Remixes/Roisin
Dietro Portal si nasconde Scott Sinfield, one man band di questo progetto che nasce nel 1996 con l' aspirazione di rinverdire il concetto di ambient secondo Brian Eno e i primi Durutti Column e porsi accanto al ben più famoso Aphex Twin nel flirtare con la musica più propriamente elettronica. Le sonorizzazioni di Portal sono il risultato di un melting pot di melodia e sperimentazione così come di rumore e disturbi ' dall' altro mondo'. Musica concreta, ambient, paesaggi sonori multi strato e suggestioni mistiche potrebbero essere alcune parole chiave per intenderci subito. In questa sede ci occupiamo di un disco di remix di brani di Portal realizzati da alcuni esponenti più 'in' della scena. E il risultato è multisfaccettato e parecchio interessante e offre una visuale molto ampia delle singole personalità degli artisti coinvolti. Se l'arrangiamento di "second thought" fatto Innerise rende la voce originale di Rachel Hughes ancora più eterea ed evanescente, "falling" remissata da Yellow 6 acquisisce un'aura dark a là Dead Can Dance, simile nelle atmosfere ad un altro remix, quello di "before the storm" di July Skies in cui il vuoto (esistenziale) creato dall'arpeggio iniziale viene riempito con una slide lontanissima e con " gabbiani digitali". Ad un canovaccio più ambient si mantengono i contributi di Toverdroom ("naming stars") e V/Vm ("shifting") che come dei sarti del suono tessono lenzuoli, più che tappeti, tanto sono cangianti e poliedriche le variazioni sonore realizzate su una stesso pattern musicale. Niente paura, Remixes è godibile anche se non si conoscono le versioni originali e scivola via liquido e impalbabile.
Francesco Imperato
TING/Extreme clubbing 4/Torture Garden
“Extreme clubbing 4” è l’ultima produzione Torture Garden arrivata dall’ Inghilterra. La compilation di tredici tracce è mixata dalle manine sapienti di Ting che nei club londinesi è definita la Regina dell’Underground. “The Queen” (..mmh?) ha cominciato a muovere i primi passi nel 1998 con la musica goth e Industrial per poi passare all’Hard Dance. Generalmente, in materia di Elettronic music, le produzioni inglesi non sono minimamente paragonabili per qualità, a quelle dei nostri amici Olandesi e Belgi.; infatti, “Extreme clubbing 4” più che una compilation techno, sembra una serie di ambulanze incasinate nel nostro traffico metropolitano. Le sonorità sono di stampo commerciale (per esempio, la traccia numero 5 “Round my Brian” dei Pranksterz). Di poca qualità e di troppa tendenza sono i drum-set e i pads che oserei definire demodé. In poche parole, T.G è capace di infiammare i cuori dei teenagers, ma indurire e deludere quello dei cultori di questo genere musicale. Il cd è uscito a luglio!da allora fino ad ottobre, il team T.G ha promosso il suo nuovo prodotto nei più svariati clubs: dal Mass di Brixon all’Heaven di Londra ed ancora da “The Scala” a “The Imperial Garden”. Del resto queste sono le solite “Top venues” utilizzate per i provocatori e disinibiti eventi della Torture Garden che, come avrete già capito, non è soltanto una label ma un gruppo di organizzatori e dj’s formatosi nel 1990. Oltre che la zona club e o spazio riservato alle esibizioni degli artisti, il team T.G. organizza contemporaneamente un area per le installazioni.
Etta 74
QUEERS/Live in west Hollywood/Hopeless
Un disco del genere appartiene a una sua particolarissima tipologia: è il classico live senza tanta ispirazione inventato in piena fase calante di una carriera strapiena di pagine migliori, con l’idea di rimettersi in carreggiata con qualcosa che artisticamente costi pressoché nulla ma che renda parecchio di più. Il che non significa che questo genere di dischi siano necessariamente brutti, sebbene il recensore professionista dovrebbe accanirvisi per partito preso, bocciarli senza tanti fronzoli come “bieca manovra commerciale” e licenziarsi inorridito. Un po’ come fu, circa un decennio fa, per il “Loco Live” dei Ramones, che poi infatti, a distanza di anni, si rivelò un capolavoro. Al di la di tutto ciò, e a riprova purtroppo, questo disco non e’ che sia granché. Non aiuta una registrazione non eccelsa che però basta e avanza per riprodurre con fedeltà un clima, quello degli ultimi live set di Joe King e i suoi del tutto occasionali compagni di tour, in cui davvero i Queers non lesinano nell’apparire una sbiadita parodia di loro stessi. Una ventina di hit del loro classico repertorio (praticamente lo stesso delle, peraltro parecchie, precedenti uscite LIVE di gran lunga più convincenti) sparate si con la foga e l’urgenza che li ha resi uno dei nomi più influenti del Punk di ogni tempo, ma anche con l’approssimazione di chi e’ il primo a non crederci più. Per i completisti (si dice cosi, no?).
Marco Sannino
AKINETON RETARD/S/T/Lizard
Ecco un disco, grazie a dio, senza eccessive pretese. Io vi dirò la verità: considero John Cage un genio assoluto, così come Edgar Varese ma sono solo un povero uomo pieno di sentimenti inguinali, di istinti immediati, se volete "bassi" (ma non nel senso negativo di Ciprì e Maresco) i miei sentimenti provenienti dalla pancia, dalle braccia, dal basso ventre mi tengono piacevolmente in vita, mi fanno sentire bene per almeno un paio di ore al giorno. Ascoltare la musica di questi cileni è come impastare il pane, scopare, bere un buon vino, è musica muscolare, vitale, suonata con autentico amore. Siamo dalle parti del Jazz/Funk/Rock suonato dagli immensi X-Legged Sally (band olandese che vi consiglio caldamente). Aggiungete a questa miscela energica, vitale e umorale un cantante psicopatico che potrebbe sembrare Hitler ma che forse è solo Pinochet dopo un corso accellerato di tedesco e otterrete un CD che vi risolve tranquillamente una serata, un pomeriggio noioso in casa e persino una festa tra amici (ma che siano quelli giusti!).Contatti: lizard@mondomusica.it
Fanfarello
VINCENT GALLO/When/Warp
Quando ho ascoltato per la prima volta il disco di Vincent Gallo, alle due e mezza del mattino, su Mtv (avete letto bene: su Mtv! Perché Mtv è una rete aperta a tutti i gusti e ad ogni forma musicale e rispetta le creatività degli artisti, e manda Vincent Gallo alle due e mezza del mattino perché sarebbe ingiusto metterlo accanto alle varie Britney e co., che vanno in onda lungo tutto il resto del palinsesto. Insomma è un fatto di rispetto, non una presa in giro. Grazie, Mtv), sono rimasto sorpreso-stupito-affascinato. Mr. Gallo, famoso per il suo egocentrismo che lo spinge a fare tutto da solo (perfino il proprio sito internet) e per un carattere facilmente irritabile, ha fatto un album meraviglioso. Notturno, retto dalla voce in falsetto e da una strumentazione in sordina. La musica, molto jazzata, narcolettica come certi momenti dei V.U., va avanti con dolcezza, senza scosse, perfetta compagna per viaggi sognanti e pensieri nell’oscurità. Si avverte in ogni istante il piacere di suonare ed esprimere qualcosa, senza alcuna pretesa di commercialità e facendo a meno di cerebrali e sterili sperimentazioni tipiche di chi ha pretese intellettualistiche. E’ un disco assolutamente libero, perché privo di pretese ed inaspettato. Se ne rimane folgorati, e poi si cerca qualcosa di simile. Ma non c’è niente che gli somigli. Con quell’atmosfera, Jack Kerouac l’avrebbe amato. Non per la follia, ma per la pace che emana. Inaspettatamente, un capolavoro. P.S. Se trovate questo disco, lo amate e cercate qualcos’altro, procuratevi la colonna sonora di “Buffalo 66”, film scritto, diretto, interpretato e credo anche prodotto da Vincent Gallo. Molte canzoni portano la sua firma, e sono altrettanto belle. P.P.S. Già che ci siete, guardate il film.
Isidoro Meli
SCOUT NIBLETT/Sweet Hart Fever/Secretly Canadian
Ennesimo esercizio di cantautorato femminile, diretto discendente di un filone inaugurato più di trent’anni fa dalla stupenda Janis Joplin e mai esauritosi nel corso dei decenni, soprattutto nel Nord America. I contenuti sono forse un po’ cambiati, ma la forma rimane molto fedele all’originale: una chitarra acustica ad accompagnare le dichiarazioni e le rivendicazioni di una voce narrante sempre sospesa fra il pianto irato e l’euforia da sbronza. Quattordici tracce dense di intimismo, sentimenti traditi, amore donato e non ricambiato, tanta tristezza indotta, che forse può essere d’aiuto solo a chi sta in piedi su una sedia con una corda stretta intorno al collo. Se la compianta Janis ha rappresentato una rivoluzione nel mondo della musica al femminile, proponendo un modello talmente autentico da risultarle fatale, forse le sue “figliocce” dovrebbero tentare di incanalare il loro pur indubbio talento verso progetti meno stereotipati.
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De Dieux /\ SuccoAcido