Set Fire To Flames, Pan American/Komet/Fisherofgold, Smog, Starmarket, Future Sounds Of Jazz, Jbk, The European Pop Punk Virus, The Dismemberment Plan, Stroke, Per Mission, Calliope, Gwenmars, 22 Pistepirkko, Willy Schwarz, To/Die/For, Safety Scissors.
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SET FIRE TO FLAMES/Sings reign rebuilder/130701
Set Fire To Flames è un collettivo di tredici musicisti del giro Constellation (Godspeedyou black emperor! A silver Mount zion, Fly pan am, etc.), che vive ed opera a Montreal, in Canada. Chiusosi per qualche giorno in una fatiscente casa alla periferia della città, l’ensemble ha cercato di far emergere la vena più sperimentale e free della propria indole musicale, tant’è che più della metà del disco è il risultato di lunghe improvvisazioni. Accanto a momenti più organizzati, praticamente musica da camera che rispecchia in varia misura quella dei “gruppi d’origine” non aggiungendo nulla a quanto già detto in passato, si sentono lunghe disquisizioni di quella che azzarderei a chiamare musica concreta: rumorismi, traffico, sirene, saracinesche et similia che personalmente ho trovato, per quanto curiose, troppo autoindulgenti. Altrove, per la precisione in “Ther’s no dance in frequency and balance”, uno dei momenti migliori dell’intero album, il referente principale diventa l’industrial. Le malinconiche atmosfere evocate da “sings reign rebuilder” coinvolgono appieno se ascoltate con la giusta predisposizione d’animo, a dispetto di alcuni momenti la cui fruizione può risultare leggermente ostica. E’ consigliabile, quindi, a chi ama il genere.
Salvo Senia
PAN AMERICAN-KOMET-FISHEROFGOLD/Personal Settings/Quatermass
La proposta é semplice: offrire quindici minuti di tempo, da sfruttare come meglio possibile, a tre differenti nomi del panorama elettronico post-globale. Ad inaugurare, quello che si prospetta come il primo episodio di una serie, ritroviamo Mark Nelson (Labradford) con Pan American, progetto parallelo già ampiamente collaudato. Ed ampiamente collaudata é anche la formula che propone: elettronica astratta, minimale, malinconica, sognante, intramezzata da sprazzi dub e micromelodici. In definitiva la cifra stilistica che caratterizza l’intera raccolta. Non dissimili, infatti, anche i tre brani proposti da Komet, che però sposta l’accento sull’elemento ritmico, confezionando un’algida sequenza di glitch sintetici e frequenze disturbate. Techno minimalista in salsa lo-fi: una piccola conferma. Esordio, invece, quello di Fisherofgold che gioca la carta del mantra ambientale. Un unico brano in cui, tra fruscii vinilici e lontane voci scannerizzate, si fa strada lentamente un’eterea melodia ritmata dagli accenni folk di una chitarra acustica. Spiazzante ma apprezzabile.Quantomeno curioso (ma non più di tanto, visto l’uso di programmi e sequencers, sostanzialmente, identici) che la totale libertà espressiva porti a risultati stilistici così compatti ed unitari. Nonostante ciò, il risultato finale é di buon livello, sebbene inevitabilmente minore. Da ascoltare in dormiveglia.
Alessio Bosco
SMOG/Rain on Lens/Domino
Quanto è bello il nuovo disco di Bill Callahan? Quanto? Ho sempre pensato che il nostro Smog fosse uno dei più grandi songwriter venuti fuori negli anni 90 ma questo "Rain on Lens" rischia davvero di essere il suo miglior disco. Ecco un caso nel quale l'uniformità degli arrangiamenti e degli umori esistenziali non significa affatto noia o mancanza di fantasia ma coerenza con le proprie ossessioni. Il signor Bill "sigaretta in bocca" Callahan realizza un'opera di una semplicità sconcertante, cantato senza biascicare, con piena convinzione, davvero come un Johnny Cash in rassegnata, persino dolce crisi esistenziale. Un disco per veri cowboy del nuovo millennio, queste ballate potrebbero essere state composte davanti al fuoco di un camino accesso, solo che affacciandosi alla finestra non si vedono distese infinite e bufali ma grattacieli accesi nella notte. Tutte le canzoni hanno un andamento da ballata antica, da vecchio frequentatore di locali con ballerine e pianisti pronti a raccontare aneddoti di vita vissuta. Assolutamente sublimi gli archi dissonanti che spuntano in quasi tutte le composizioni e quelle chitarre da riposo dopo un'abbuffata di fagioli e persino l'incedere ticchettante di una forchetta che percuote un pentolino (dirty pants). Keep Some Steady Friends Around è un capolavoro deviante, con quel violino che ricorda Xenakis. C'è proprio bisogno di sapere altro per comprare immediatamente il CD? Ok, allora vi dirò che Revanchism è perfino allegrotta, con quel suo arrangiamento sbarazzino e scanzonato, quasi un magnifico scherzo, come Harry Irine del capitano.
Fanfarello
STARMARKET/Song of Songs/Background Beat/MNW
E’ l’Era del Nord. Non v’è dubbio alcuno - segni rivelatori nel cielo, Comete Fiammeggianti (copertina!) – il Raknarok ancora lontano…E’ affascinante notare come un manipolo di nordici guardi con tanta drammatica intensità nostalgica agli squarci torridi dei panorami messicani… e con quale credibilità interpretativa! Giusto contrappeso Tex-Mex alla lunga Notte Boreale. Il Mondo è Tondo. Sembra essere un lavoro sincero, poco o niente aplomb diplomatico, e ancora meno appelli furbetti alle orecchie imberbi di ascoltatori impuberi. Quinto atto di una band talentuosa e tenace, registrato in presa diretta, grezzo e sanguigno, e mixato dallo sciamano degli International Noise Conspiracy – invischiato pure negli ottimi The Hives – Pelle Gunnerfeldt. Si parte con Forgotten Trail, tanto per mettere le cose in chiaro, indie rock pirotecnico ma senza specchietti per le allodole. Fredrik Brandstrom è baciato dal dono di un songwriting formidabile, carnale e altero. In Get Down le chitarre acustiche si comportano da tali, una volta tanto, con suoni gonfi e mediosi, com’è d’uopo. 22 è pop sixties vagheggiante grandi spazi nell’estate messicana e decapottabili in rotta verso Visioni Incaiche. Things Will Be Better è smaccatamente il Tom Petty di Wildflowers…Ma a pensarci anche Costello, Calexico, Dire Straits, Billy Joel (nessuno si senta offeso!), John Lennon. Elvis?Un Urlo contro le superproduzioni – si fottano i perfezionisti! Classicisti e puristi a loro modo, ma non ci troverete un’oncia di retorica manco a pagarla oro. Garantito.
Joele Valenti
AA.VV./Future sounds of jazz vol.8/Compost
Se c’è una compilation manifesto nel campo dei jazzy beats e della dancefloor music questa è proprio Future Sounds of Jazz edita dalla tedesca Compost. Giunta qui all’ottavo volume, questa release assemblata da Michael Reinboth è perfettamente equilibrata tra contributi esclusivi di artisti già affermati nella dancefloor music e superbi inediti di talenti esordienti permettendo anche ai neofiti di avere una visione globale delle evoluzioni in atto all’interno del genere. Sono della prima schiera Soul Patrol aka la coppia Rutten-Schneider, Kaos, i ritmi caraibici frullati con la dance floor di Soul FC e la raffinatissima jazzy music costruita da AtJazz, mentre appartengono alla seconda la prova di un istituzione dell’hip hop come Attica Blues ( il cui “ The Quest” già uscito nell’ultimo album “ test, don’t test” è qui egregiamente remissato da un’artista di casa Compost come Benfield che all’originale ha aggiunto le voci originali di Roger Robinson ), il remix in chiave bossa nova effettuato da Ashley Beedle sul summer feeling di “happiness” di Shawn Lee, e ancora Butti 49 il cui “Spiritual Rotations” si preannuncia come una delle uscite più bollenti della nuova stagione. Infine, doveroso citare la presenza di Moonstarr che col bellissimo esempio di ibridazione tra break beat e jazz che è “Dust” è la perfetta ciliegina di una ricchissima compilation che non può mancare nelle playlist degli amanti di jazz, dancefloor e hot grooves.
Francesco Imperato
JBK/Playing in a room with people/Materiali sonori
"Walkabout" (trad. "passeggiata") è il brano che apre questo cd live dei JBK (Steve Jansen, Richard Barbieri e Mick Karn), e rappresenta una perfetta chiave di lettura per tutto il disco. L'impressione è, infatti, che i tre navigati musicisti vogliano in qualche modo ripercorrere le loro esperienze musicali, non con frenesia o con un preciso rigore cronologico, ma casualmente, spinti dalla passione e dagli umori del momento, come in una passeggiata. Il titolo dell'album dà proprio quest’idea di casualità, come non si trattasse di un vero e proprio concerto, ma di una sbirciata dal buco della serratura di una stanza dove i tre suonano e si divertono. Si ricrea così la magia delle trascorse avventure sonore sotto la sigla Japan (probabilmente il momento più alto della loro carriera) e delle lunghe fughe prog all'inseguimento del Re Cremisi. E poi la ambient music, quella teorizzata dal profeta Eno e da loro realizzata lungo una carriera ormai ventennale. C'è spazio perfino per la psichedelia, con la chitarra dell'ospite Steven Wilson a pennellare acquarelli bluastri. E pensare alla loro esperienza con i Porcupine Tree aiuta a capire il vero segreto di questi tre musicisti: la personalità. Così grande, così pura, dall'avere contagiato addirittura la band-clone per eccellenza, la pecora Dolly dei Pink Floyd, e dall'essere riuscita ad utilizzare in maniera creativa la chitarra più plagiara dello space rock.
Isidoro Meli
AA.VV./The European Pop Punk Virus/Stardumb
Ammirevole progetto della olandese Stardumb (che, tra l’altro, annovera in scuderia i palermitani POPSTERS), che fa il punto della situazione sul circuito POP PUNK europeo con un sampler di 28 gruppi per altrettante tracce, tutte inedite. Beh…almeno dal punto di vista strettamente “geografico” non sembra che l’etichetta si proponesse particolari velleità di completezza (i luoghi di provenienza dei 28 convocati sono, gira e rigira, tre, Olanda, Italia e Germania, eccezion fatta per i soli inglesi Norma Jeans e gli svedesi Portables), come se in Spagna, ad esempio, o in Francia, per non parlare della Scandinavia tutta, fermenti analoghi si muovessero in sordina, cosa che e’ lontana mille miglia dalla realtà. Ma al di là di questa (trascurabile?) discrepanza tra l’intento sotteso al titolo (quello appunto di “suntare” una scena di portata continentale) e la sua riuscita, questo CD si lascia ascoltare piacevomente. Oltre ai nomi già pressoché noti, PEAWEES, BACKWOOD CREATURES, MANGES, SONIC DOLLS, RETARDED, e i già citati POPSTERS, i quali, per inciso, snocciolano uno degli episodi più interessanti di tutta la raccolta (un po’ di campanilismo non guasta mai, penseranno i maligni…) non ci sono troppe sorprese (le LULLABELLES e i RAGIN’ HORMONES su tutti), ma una grafica accattivante e un libretto interno traboccante di foto e info sui gruppi, sostengono nell’ascolto anche della seconda fase del CD, quella in cui, colpevole una scaletta in cui i meglio sono tutti in pole position, ci si comincia a chiedere tra sé e sé, con enorme riguardo e genuina curiosità, quanti cazzo di “Ramones-wannabees” possono addensarsi in 250 kilometri quadrati…
Marco Sannino
THE DISMEMBERMENT PLAN/Change/DeSoto
I quattro vengono da Washington D.C. ed hanno registrato Change, loro quarta fatica, ai celeberrimi Inner Ear Studios. So già cosa state pensando, ma se vi dicessi che i Pearl Jam li hanno voluti esplicitamente per aprire i loro concerti durante il tour europeo le cose comincerebbero a complicarsi. In verità i Dismemberment Plan con la scena hardcore Washingtoniana hanno poco a che fare così come col gruppo di Vedder & co., anzi direi che questi avrebbero tanto da imparare ascoltando il disco in questione. L’album suona come quello di una band che ha assimilato parecchia musica degli ultimi anni, influenzata da certa new wave e dal krautrock (sì esatto, quella cosa lì, il post…), riuscendo a darne un’interpretazione sorprendentemente easy (nel senso di popular). Dub, elettronica, tempi dispari e schitarrate soniche concorrono alla realizzazione di pezzi diretti e dal sicuro appeal, grazie anche alla voce di Travis Morrison che a momenti ricorda imbarazzantemente quella di D. Matthews. I Dismemberment Plan sono una band che col giusto appoggio promozionale potrebbe vendere dischi a palate, senza per questo ridicolizzare la qualità della musica prodotta, e rappresentano una valida alternativa al letargo musicale in cui le major sono cadute da ormai troppo tempo.
Salvo Senia
STROKE/Is This It/Rca
Va tutto bene, va proprio tutto bene. Il fatto che il trend del momento siano gli Strokes è segno che sta andando tutto benone. Non posso negarlo... questi Strokes mi piacciono un casino! Quei suoni grezzi, i giri di basso messi lì in bilico sul rumore allegro, i vecchi cari 4/4 new wave, lo stile che ci delizia in boccate di 60's, e poi pennellate neo-psych, punk-garage. W gli Strokes, al di là dei risultati di questo disco, al di là della celebrazione multi-mediale, al di là di qualche piccola ingenuità mainstream...Gli Strokes spaccano - e non c'è niente da dire. Canzoni come Last Nite, Barely Legal, New York City Cops (sfortunatamente non inserita nell'album) trasudano l'essenza stessa del rock'n'roll: finalmente una band che sceglie Chuck Berry come vero principale referente, e non come influenza di seconda mano, filtrata attraverso altre mille. Poco importa che gli Strokes non abbiano la statura dei classici, che verranno dimenticati in fretta, che siano l'ennesima next big thing mancata... Non fateci caso, perché questa è la band GIUSTA, al momento giusto. Beh, tanto che ci siamo...un consiglio ai musicanti: basta fare i frocetti intellettuali, tirate fuori le palle! Il rock è elettricità, ogni scossa è adrenalina, gioia, è il caramello che c'appiccica la vita! Insomma, alziamo il metronomo, ORA O MAI PIU’! Benedetti siano gli Stroke. Benedetto il Rock'n'Roll, vecchietto, ma col pisellino duro. P.S: ci dicono che gli Strokes non siano altro che mezzi cloni di Velvet Underground, Television, Feelies e tanti altri...oh beh, meglio che cloni dei Mogwai...e poi sticazzi: kill yr idols, l'antiquariato annoia.
BakuniM
PER MISSION/A Ritual Loop/Monitor
Nebuloso ed enigmatico. Sembra la dolente e meditativa esperienza di un Bramino – un loop rituale – attraverso il filtro di una cronaca Gotica dei nostri giorni. E’ un lavoro oscuro, lento alla metabolizzazione, questo di Jason Noble, uno dei musicisti più indaffarati dei Dintorni… Era uno dei Rodan, gruppo-icona, ha collaborato con Rachel’s, e suona con gli Shipping News…Credete che possa bastare? Viene da Lousville, Kentucky. Pare si tratti di un Posto Magico, particolarmente favorito da Mirabolanti congiunture astrali che presiedono alla Produzione di talenti (Tara J. O’Neil, Cynthia Nelson…) e alla Fissazione dei loro destini karmici. La Mente viaggia chiusa in se stessa, struggente e malinconica, su samples elettronici – certi echi teutonici, In Full View, The Destroyed World Is Not Destroyed -, loop notturni di batteria, deprivata di qualsiasi machismo ritmico, tanto per ricordare, qualora servisse, che i Veri Vinti sono i Vincitori. A volte staziona vagamente certa Ambient, come pure è presente qualche neoclassicismo da camera, momenti isolati e privi di debolezze romantiche, comunque. E’ un disco forte e incredibilmente lucido, anche grazie all’apporto di luminari dell’indie come Christian Frederickson e Rachel Grimes. Qui e la, reminiscenze ectoplasmatiche di Rachel’s e 4AD. Stomaco Pieno, Mente a Fuoco…mi ha dato conforto perché è capace di operare un certo collegamento con parti Sepolte. E nondimeno Vive.
Joele Valenti
CALLIOPE/In(organic)/Thickrecords
Maiuscole Reverenziali per lo space rock targato Michigan, seppur non siano aliene - a queste latitudini – ambiguità e contraddizioni. In(organic) è un disco raffinato, maturato negli otto mesi trascorsi nel loro studio domestico; neanche tanti, se consideriamo la quantità di elementi posti in essere e la conseguente miscellanea stilistica che ne deriva. Gli attributi Pop – reminiscenza del primo lavoro – seppure ancora presenti, qui, segnano comunque un superamento, rarefazione intelligente più che ridondante autocelebrazione. Questo lavoro è indubbiamente connesso con la loro attitudine più introspettiva – uno sfaldamento progressivo di sovrastrutture in I Can See You With My Eyes Closed – meglio dire Retrospettiva! Opera ben orchestrata e ipnotica, apre Did You Get What You Cause For?, satura indubbiamente di Chicago, indubbio omaggio ai Soul Coughing, e queste tangenze ideali non si limitano solo alle linee vocali – stessa rauca profondità, identica espressività nei registri più alti! – ma sono rilevabili anche per un certo andamento ritmico, basso e percussioni in ampollosa evidenza. Andy Dryer è dotato di una suadenza vocale notevole e dimessa nel contempo. Bellissima Oh My God’s, acoustic-space-jazz intimista ed evasivo, con fiati Bacharachiani a sottolinearne il gusto retrò, senza scadere, però…7/30 è una bossanova narcotizzata da standards tipicamente space 70’, moog , Rhodes, trombe e tutto il resto…Costruendo sfracellano attraverso un unico fluido processo.
Joele Valenti
GWENMARS/Driving a Million/Pias
Ancora nostalgia degli anni 80! Questo disco di regola non dovrebbe piacermi perché non rischia assolutamente nulla e soprattutto perché la voce del cantante ricorda quella terribilmente irritante del sopravvalutatissimo Kurt Cobain. Non si può comunque negare che Radio Gun e Venus siano pezzi a loro modo piacevoli, immaginate gli Inspiral Carpets inselvaggiti e molto più rumorosi del solito. Non c'è che dire, queste chitarrazze scatenate fanno il loro effetto...poi però mi viene subito in mente che She Hung The Moon è una ballata insipida e che Come Here somiglia troppo ad una canzone dei La's passata sotto le mani disgraziate degli Oasis e con il solito fantasma del biondino dei Nirvana a fare capolino. Tirando le somme direi che siamo di fronte al solito dischetto di power pop virato su una psichedelia effettistica, se ne può tranquillamente fare a meno.
Fanfarello
22 PISTEPIRKKO/Rally Of Love/Clearspot
WILLY SCHWARZ/Homesongs of immigrants, refugees and exiles/Clearspot
Due uscite della Clearspot questo mese e due percorsi musicali differenti. Iniziamo dalla Finlandia, con brio, terra natale del trio a nome 22 Pistepirkko che arriva alla nona pubblicazione dal 1981 (!!). Quasi delle cariatidi del pop. “Eleven” ci aveva lasciato in bocca un dolce sapore folk rock mutato con sensibilità trip-hop mentre con “Rally of Love” i nostri finnici virano per un pop elettronico di derivazione inglese ( la butto lì, i Pet Shop Boys come padri putativi e i The Ark come cugini più famosi .. e se il buongiorno si vede dal mattino, me ne guarderei bene ), carino, facile, digeribilissimo, tanto commerciale ( e non mi sorprenderei nel vederli in heavy rotation su MTV), tutto quello che si vuole, ma si rischia il diabete tanto è lo zucchero di queste canzoni. Funzionano eccome queste canzoni, pure troppo, eppure non lasciano traccia in memoria, scivolano via che è un piacere senza dare guizzi o far scattare il ditino che riporta il rewind. “Rally of Love” lo ascolti con piacere una, due, tre volte ma poi basta, lo metti sullo scaffale e te lo dimentichi, salvo poi riprenderlo per intrattenere degli amici promiscui in salotto. Un pop usa e getta insomma, ma certa musica con relativi dischi “rappresentativi” non vengono forse concepiti con questo esplicito intento?
Di tutt’altra sostanza è il sequel di “live for a moment” di Willy Schwarz, già pianista di Tom Waits, nonché fine musicista e cultore della musica popolare. L’attenzione stavolta è focalizzata sul tema dell’immigrazione forzata da motivi politici. Comprensibile, come questo argomento stia molto caro a Schwarz non solo musicalmente se si guardano le sue origini. Nato da padre italiano e madre tedesca, entrambi ebrei, che per necessità di sopravvivenza nel ’40 abbandonarono Genova e si rifugiarono a New York, questo folk-singer ha fatto dell’ibridazione musicale la sua ragione di vita, arricchendola nel tempo con un intenso studio sulle forme della musica tradizionale di tutto il mondo. Partendo dal rock ‘n’ roll e dal gospel ( era un giovanotto negli anni ’50 e ’60 ), Schwarz è stato fulminato ‘sulla via di Damasco’ dal sitar a 17 anni, lì gli si sono spalancate le porte della musica orientale, e indiana in particolare. Ha avuto un maestro come Ravi Shankar durante il suo primo, lungo soggiorno in India e da allora quel paese asiatico è la sua seconda casa. L’immigrazione, dicevamo, è il filo conduttore di questo disco, quasi un concept-album, che musica tanti piccoli sketches di vita quotidiana vissuta da chi è costretto in una terra che non è la sua : la nostalgia di un anziano per il villaggio natale, le speranze di un lavapiatti messicano, le riflessioni di un tassista emigrato, le belle speranze di tanti italiani sbarcati negli States. In definitiva, è un caleidoscopio di emozioni “ Home..”che è tanto riduttivo ingabbiare nella world music quanto, al contrario, il suo ascolto può arricchire il personale percorso musicale di ciascuno.
Francesco Imperato
TO/DIE/FOR/Epilogue/Spinefarm-Nuclear Blast
Ottima seconda prova per il quintetto finlandese nato qualche anno fa sulla scia dell’enorme successo commerciale dei connazionali HIM. Rispetto all’eccezionale debutto, “Epilogue” sfoggia uno stile più omogeneo e decisamente più avaro di sorprese, ancora legato alle influenze della band di Ville Valo ma abbastanza personale da risultare riconoscibile fra mille. Il tentativo di unire sotto lo stesso tetto gothic metal e melodie new romantic (quelle dei Duran Duran, per intenderci…) è perfettamente riuscito anche questa volta, sulla scorta di un sound fresco ed accattivante e di un susseguirsi di potenziali hits quali il singolo “Hollow Heart” e la trascinante “Chains”, entrambe impreziosite dalle backing vocals curate dalla vocalist della rivelazione Lullacry, o la bella e variegata “Immortal Love”. L’album non presenta comunque cali di tensione, né particolari pecche qualitative, risultando gradevole e coinvolgente per tutta la sua durata. Ciliegina sulla torta, un’anonima ghost-track in puro stile new romantic anni ’80, nella quale aleggia il fantasma di Simon LeBon, improvvisamente squarciata da un break chitarristico che ci riporta bruscamente alla “dura” realtà dei nostri tempi. Per i meno intransigenti, un disco da avere!
Paolo Lo Iacono
SAFETY SCISSORS/Parts Water/Plug Research
To Rococo Rot, Bernard Gunter, Ryoji Ikeda…Fragorose illustri referenze per una crescente Febbre Tecnicistica – mego sound, new electronic, avanguardia – una nuova sfera semantica, neologismi le cui propaggini più estreme e misconosciute diventano sempre più boriosa autoreferenza, incarnata nella prassi da ensemble che esplodono come funghi. Tortura, insomma. Fenomeni sempre più lontani dal Desiderio - e di fare e di ascoltare – e dall’assunzione di punti di vista critici, che si moltiplicano ignorando volutamente i propri limiti. Noia che dilaga sotto l’egida delle microwaves. Avanguardia-Spacca-Coglioni-con-Pretese-d’Eleganza-Intellettualistica. Più penso alle Vacanze Intelligenti di Alberto Sordi, più mi piscio sotto…Questo lavoro, però, è lontano da tutto questo Perfezionismo vacuo e manieristico. E’ “elettronica da campo” con intuizioni electro-fun di notevole freschezza. C’è, in questo disco, un elemento discriminante, uno scarto che gli permette consistenza e identità( che qui, e solo qui non è una parolaccia!), rispetto all’informe-omogeneo-resto. MPC(è il nome del musicista)combina microeventi e loop ipnotici, contaminazioni elettroacustiche e momenti dub ampollosi, che ricordano gli Underworld di Beaucoup Fish, stessa ossessione per il mezzo-acqua, neanche a farlo a posta! Parentesi alienate alla Aphex Twin, irriverenza alla Mouse On Mars. Infatti il computer pur essendo strutturale, non diventa mai ossessione paranoica, mantenendosi quasi sempre su di un piano miracolosamente periferico, quasi a sottolineare il tutto con sarcasmo acutissimo. Lontano dall’intellettualismo della Techno Minimal e astratta, usa la voce burlescamente, in modo refrattario e timido. Tanghi argentini, electrofun, Stockhausen And Walkman. Nel suo ambito, qualcosa di nuovo.
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