November 21 2024 | Last Update on 16/03/2024 20:18:13
Sitemap | Support succoacido.net | Feed Rss |
Sei stato registrato come ospite. ( Accedi | registrati )
Ci sono 3 altri utenti online (-1 registrati, 4 ospiti). 
SuccoAcido.net
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Latest | Musicians | Music Labels | Focus | Music Festivals | CD Reviews | Live Reports | Charts | Biblio | News | Links
Music - CD Reviews - Review | by SuccoAcido in Music - CD Reviews on 01/11/2001 - Comments (0)
 
 
 
Tara Jane ONeil, Motorpsycho, The Panoply Academy, Olivia Block, Cane 141, Alpha Motherfuckers, Bad Indians, Belle & Sebastian, Ted Leo/Pharmacists, Eels, Hell On Wheels, Art Of Fighting, Moldy Peaches, Taraf De Haidouks, Hilmar Orn Hilmarsson & Sigur Ros

Tara Jane ONeil, Motorpsycho, The Panoply Academy, Olivia Block, Cane 141, Alpha Motherfuckers, Bad Indians, Belle & Sebastian, Ted Leo/Pharmacists, Eels, Hell On Wheels, Art Of Fighting, Moldy Peaches, Taraf De Haidouks, Hilmar Orn Hilmarsson & Sigur Ros.

 
 

TARA JANE ONEIL / In the sun lines / Quarterstick

Tara Jane ONeil, da Luisville, Kentucky. Ineludibili coordinate territoriali. Militanze felici in icone come Rodan, Sonora Pine, Retsin con Cynthia Nelson…Già decise avvisaglie di un Folk Minore, minimalista e fragile. Ora più che mai, alla convergenza tra un sud rurale e periferico e una sensibilità violata dalla megalopoli. In the sun lines marca un evidente superamento della dimensione cantautoriale. Una voce esile che si apre ad altri segni linguistici. Chicago. Rimandi intimistici e scatti di visceralità nervosa. Poca voce, e Sotto le Righe. Nient’altro che uno strumento tra gli altri. E suona quasi tutto lei. Robert Wyatt compare qua e là, come un ologramma indeciso sul da farsi (High wire, In this rough). In altri brani non esiste dipanazione lineare, piuttosto Sottrazione e Sfaldamento progressivo, con Rhodes in riverbero e convulsioni percussive. Un paio di strumentali, al centro del disco, preludono a picchi significativi. Un loop Dislessico di chitarra folk, in This morning, sembra fare il paio con certe Patologie Cardiache, difficili alla diagnosi.Vaga e improbabile cadenza bossanova in Sweet Bargaining, e folk-jazzy dimesso nella già citata High wire. Siamo al centro di divagazioni rumoristiche che profilano possibili segni di avanguardia in divenire. Tara deve molto a gente come Van Morrison (Astral Weeks), Amy Denio, Jim O’Rourke…Qualcuno in futuro, dovrà a lei.

Joele Valenti

MOTORPSYCHO / Phanerothyme / Stickman

Folletti vestiti con camicie a fiori e pantaloni a zampa d’elefante vanno a vendemmiare canticchiando in coro “Go to California”; bionde sirene si tuffano nel miele di “The slow phaseout”; il dio Pan suona il suo flauto in “B.S.”; migliaia di lucciole danzano nel crepuscolo di “When you’re dead”… Abuso di sostanze stupefacenti? Pesante stato di ebbrezza? No, niente di tutto questo, sto solo assaporando per l’ennesima volta l’ultimo disco dei Motorpshyco… Benvenuti nel mondo di Phanerothyme, dove tutto è possibile! Un juke-box di trent’anni fa esplode all’improvviso facendo ricadere dappertutto petali profumati… “Landslide”… Incredidibile il lavoro delle chitarre in “For free”… Ma quello che dorme sull’amaca, là in mezzo al giardino, non è Nick Drake? I Motorpshyco hanno composto uno splendido disco di musica pop, fatto di melodie impareggiabili e di arrangiamenti raffinatissimi… un suono datato, eppure freschissimo… Ehi, guarda là, ci sono gli Yes che giocano a pallavolo coi King Crimson! “Painting the night unreal”, emozioni intense… Gli arpeggi folk di “Bedroom eyes”… Farfalle colorate svolazzano nel mio salotto; un pinguino si sta facendo la doccia in bagno; due scoiattoli in cima all’armadio si abbracciano sulle note di “Blindfolded”; in cucina i Pink Floyd mangiano gelato al pistacchio…

Guido Gambacorta

THE PANOPLY ACADEMY / No dead time / Secretly Canadian

Adoro i musicisti capaci di metterla nel culo a noi recensori. Noi giornalisti musicali siamo dei veri mostri, abbiamo sempre in testa quei due o tre nomi e aspettiamo una nota, un passaggio, un inflessione della voce per poterli tirare in ballo e confezionare la nostra stronzata quotidiana, con grande professionalità. Ebbene questo disco è splendido ed è talmente profondo, sentito e personale che riesce difficile paragonarlo ad altri musicisti. C'è dentro il jazz, l'arte arcana dei migliori Felt (quelli di The Jackson Picturial Review), la psicopatia di Captain Beefheart ma non c'è il blues, c'è solo la psicopatia vocale su musiche delicate, frammentate, perfino gelide (nel migliore dei sensi possibili). Ecco un cantante che non ha paura di tirare fuori le palle/tonsille, uno che si contorce e soffre e a modo suo si diverte. E poi quella tromba jazz su "Hush Life", suona due note e sembrano 100 e quell'organo notturno che rimanda ai Talk Talk di Spirit of Eden e i gorgeggi impazziti della voce e quelle chitarre che arpeggiano, si fermano, ripartono, tagliano e ricuciono e quasi un intro house su "Do you (want to) Grind?" ma poi non entra nessuna batteria e cambia tutto. Ecco un capolavoro.

Fanfarello

OLIVIA BLOCK / Mobius Fuse / Sedimental

Ci si trova impantanati tra Musicologia e Grafia. Un altro dualismo ozioso e sclerotico. Semplicemente e salvificamente, il Regno di Musica si è definitivamente concusso con un’attitudine al documentario. A buon diritto, un’Altra Estetica. Il nuovo lavoro della Block arriva enunciando maggiore compiutezza sonora, non più solo Work in Progress elettroacustico, ma una superiore sincronia con suoni “veri”: oboe, corno inglese, tromba e sax. Trattasi di episodi circoscritte a piccole porzioni di tempo, comunque. Pure Gaze (Bu#11) era attestazione di una sperimentazione canonica. Mobius Fuse è l’idea di un Suono Primordiale, emotivo, un noise ambientale, che potremmo definire Field-Recording, se la parola non suonasse così spaventosamente trendy e feticizzante. La Block interviene sul Campo, modifica lo spazio, volendolo deprivare di tutte le attribuzioni del Potere. Anche se il potere è già in quel suono, in quell’intenzione! Meravigliosa Utopia Pirata. Scarni panorami strumentali e sfigurati soggetti noise, che esitano in un impatto Pop, in Mobius Fuse 1. Mobius Fuse 2 è tre minuti e mezzo in cui Olivia deturna una limpida fanfara di fiati, disturbandola e rendendola documento etnografico (una Festa Paesana!). Una Grammatica Aperta, lontana da glaciazioni emotive e da maschili razionalità fallocratiche. Verginità-sotto-Acido.

Joele Valenti

CANE 141 / Garden tiger moth / Decor/Secret

Come impeccabili stewards inglesi, gli irlandesi Cane 141 ci fanno accomodare su un aeroplano di latta per un giretto nell'esosfera. Un oscillatore annuncia la partenza e subito una base bossanova mette tutti a proprio agio. Tra coretti papàpapa, sinth gentili, una tromba ritrovata nella pattumiera di Bacharach, un sorriso ebete si stampiglia sulle labbra dei turisti fighetti convenuti che iniziano a succhiare il loro cocktail. Dagli oblò si vedono le coste sfocare, il mare al rallenty. L'euforia cresce con l'organo che introduce the grand lunar, le cui tastiere picchiettate dolcemente, i fiati composti, danno la sensazione di sentire un Momus accompagnato da degli Stereolab. Con in the sky, the lucky stars, pervasa da nostalgici cori sintetizzati new wave, la gravità diminuisce sensibilmente per svanire del tutto con real spacemen never walk anywhere, puntinata da un arpeggio di chitarra semplice semplice su un tappetone di sinth evanescenti e un theremin struggente. Ancora ritmi exotici, preset di bossa dal grazioso suono scrauso e addirittura un pezzo mariachi ( the party ) che potrebbe stare su pulpfiction 2, uno stacchetto-reprise di un minuto, come nella migliore tradizione pop, una ballata languidamente stucchevole e giù di nuovo per tornare alle dilatazioni enoane dei pezzi finali, che chiudono malinconicamente un album di dream pop postmoderno fatto con gusto, curato nei dettagli, sobrio e misurato, senza troppe sovrastrutture che inclinino il piano di lettura. Chi apprezza Sea & the Cake e/o Sparklehorse avrà pane per le proprie orecchie dentate.

Aldo Smeraldo

ALPHA MOTHERFUCKERS / A tribute to Turbonegro / Bitzcore

BAD INDIANS / A tribute to Gun Club / Shove

Accoppiamento d’obbligo nel recensire due titoli che oltre all’elemento comune più evidente, di essere appunto due dischi tributo, hanno anche quello, più unico che raro, di essere due godibilissimi dischi tributo, cosa che in genere non è tipica di manovre del genere. La parabola breve ma intensa dei norvegesi turbonegro e del loro death punk sadomasochista grottesco transessuale e chissa che altro, dal ruolo di pionieri dell’hard punk scandinavo fino all’approdo addirittura su Virgin, avvenuto di fatto alla vigilia della loro fine, li ha resi gruppo di culto al punto che, sebbene sia passato solo poco più di un anno dal loro definitivo scioglimento, questo “Alpha Motherfuckers – a tribute to turbonegro” ci sta tutto. Caratteristica che salta subito all’occhio (e all’orecchio) è che l’altisonanza dei nomi scomodati per l’impresa è tanta e tale (sentite qua: hot water music, dwarves, supersuckers, ratos de porao, zeke…!!!) che, diciamocela tutta, il 70% dei pezzi qui proposti è, a mio modestissimo parere, meglio dell’originale. Alla faccia del tributo…

Bad INDIANS, a tribute to Gun club è un singoletto su vinile da segnalarsi in primis per la genuinità, la passione e la necessità reale di celebrazione del mai troppo rimpianto Jeffrey Lee Pierce che l’oggetto stesso trasuda da ogni singolo solco. L’artefice di questa operazione in cui gli italiani killer klown, morbid TC e shotdown, insieme agli argentini El fuego del amor, ripropongono quattro storici classici dal repertorio Gun Club è, del resto, un fan sfegatato da tempi assolutamente non sospetti. Da avere, ma siccome ne esistono 300 copie e non una in più, fossi in voi mi darei una mossa.

Marco Sannino

BELLE & SEBASTIAN / Sing Jonathan David / Jeepster

Sarà che ho ascoltato il loro nuovo Ep subito dopo un'ora di Sonna (capito di calambour?) ma queste 3 canzoni mi sembrano una torre di gloria, una corsa sulla spiaggia, uno sparo nel cielo: fede e ottimismo, felicità e dolcezza. Il miglior regalo che possa farti il buon dio è dotarti di un grande songwriting e questi due ragazzi ne sono dotati eccome. Scrivono da anni autentiche perle pop, senza stancarsi, senza mai venir meno alla chiamata degli angeli del paradiso (ospiti agli archi su "Take your Carriage Clock and Shove it). Di diritto tra le stelle luccicanti dell'olimpo del pop.

Fanfarello

TED LEO/PHARMACISTS / The tyranny of distance / Lookout

Ted Leo è uno dei migliori songwriter attualmente in circolazione, questa sua nuova uscita discografica mi ha fatto venire voglia di saltare e ballare davanti allo stereo come non mi succedeva da tempo. In “The tyranny of distance” dimostra di aver fatto suoi parecchi linguaggi del rock, e non solo, dandone un’interpretazione che definirei assoluta! Esemplare da questo punto di vista è “Timorous me” dove riesce a fondere new wave, pop, indie dalle chitarre sghembe e folk, ottenendo un sound semplicemente strepitoso, e a suo modo unico. Eppure la caratteristica più bella di tutto l’album è l’uso che il nostro fa della voce, emozionante e complessa, spontanea e mai eccessivamente ricercata. La voce, lo strumento spesso più bistrattato dell’indierock, qui diventa il perno su cui ruota l’intera musica. I quasi cinquanta minuti di durata filano via che è un piacere, non c’è un pezzo che prevalga sugli altri, sono tutti diretti ed efficaci, unica eccezione la bluesy “Stove by a whale”, troppo ripetitiva. Tra gli ospiti coinvolti alla realizzazione di quello che secondo il sottoscritto è il miglior album del 2001: i fratelli James e Brendan Canty, quest’ultimo anche alla produzione, dinamica e pulita, e Sebastian Thomson dei Trans Am. Credetemi, un quasi-capolavoro che piacerà a voi e a quelli che vi girano intorno.

Salvo Senia

EELS / Souljacker / Dreamworks

Si aggiunge un nuovo capitolo nella saga di Mr. E. In realtà non sarebbe neppure necessario recensirlo, un suo album. Sono ormai diversi anni, dall’uscita di “Beatiful Freak” e dell’indimenticata “Novocaine for the soul”, che il signor Everett e la sua band, gli Eels, sfornano lavori meravigliosi. Eppure “Souljacker” merita un discorso a parte, se non altro per quello che dovrebbe rappresentare nelle intenzioni dell’autore: un rinnovato ottimismo dopo le tragedie personali che lo hanno colpito e avevano segnato le atmosfere dei suoi precedenti lavori, “Electro-shock blues” e “Daisies of the galaxy”. L’artista aveva persino intenzione di intestare l’album solamente a suo nome, come se si trattasse di qualcosa di totalmente nuovo, idea stroncata sul nascere dalla Dreamworks, etichetta del fabbrica-incubi-a-stelle-e-strisce Steven Spielberg. Comunque, il disco è arrivato, e mostra effettivamente un umore nuovo: quello di uno schizofrenico. L’alternanza di momenti abrasivi e melodie ariose, riffs isterici e pagine dolci è impressionante, e Mr. E lo sa bene, tanto da esplicitarlo nelle due title-tracks: “Souljacker part I” è un pugno nel mento, “Souljacker part II” la cura. Le canzoni, inutile dirlo, sono fantastiche, in ogni caso. “Fresh Feeling” è la perfezione pop, la invidierebbe qualsiasi musicista, “Woman driving, Man sleeping” è bella da morire, “Friendly ghost” terribilmente accattivante, con un organo garage che pare uscito da un quartiere di Frisco. Al disco ha collaborato John Parish, e il suo contributo si sente negli arrangiamenti, efficaci e sempre imprevedibili (ascoltare “That’s not really funny” per credere). Ho letto da qualche parte che gli Eels si avvicinano alla genialità (???) di Beck. Non ricordo chi l’ha scritto, e non me ne frega niente. E’ falso. Gli Eels sono su un altro pianeta, e Mr. Everett, dalla cabina di pilotaggio, non ha alcuna intenzione di fermarsi…

Isidoro Meli

HELL ON WHEELS / There is a generation of handicapped people to carry on / Nons

Adoro i dischi minuscoli. Quelli che nessun hype giornalistico ti obbliga a farti piacere ad ogni costo. Piccoli. Così piccoli da non poter celare nessuna cocente delusione. Infinitesimali, tanto da poterli mettere in tasca e sgranocchiare mentre naufraghi tra le vie del centro o ti dirotti sugli scaffali di un ipermercato qualsiasi. Talmente minuti e piccolini che riesci a mantenerne il segreto. Che ti chiedono che gruppi ti piacciono e stai lì a fare i soliti nomi (i presenzialisti che stanno sulle pagine delle riviste e sono più dannosi delle scritte Coca Cola mentre guardi la partita di calcio) e ti sfugge sempre quello lì, nonostante quel disco ti giri in testa da settimane. Con decisione ma senza la prepotenza di quegli altri, dei dischi grandi. La tenacia composta e con vuoto a perdere che è propria dei minuscoli. Appunto. Piccoli, teneri e burloni, così te li immagini gli Hell on Wheels, spiritelli allegri come i lillipuziani che scalavano la montagna di carne di Gulliver, come i sette nani che spiavano il sonno di Biancaneve o come i piccoli gnomi che popolano le fantasie e le notti degli elfi. Sia come sia, questo minuscolo disco è un gioiellino pop come non ascoltavo dai tempi (migliori) dei Violent Femmes. Come il trio di Milwaukee gli Hell On Wheels si divertono a suonare bizzarri e ciondolanti, con un analogo approccio slabbrato ad una tradizione musicale che è certo distante e che tuttavia sembrano maneggiare con una naturalezza celestiale. La voce di Rickard è simile a quella di Gordon Gano come pure a quella del giovane Jonathan Richman e certe andature sono accostabili proprio a quelle un po' sbilenche delle Donne Violente o dei Pixies meno pirotecnici. Un esordio fulminante e geniale già dal titolo che non si fa bandiera di nessuna rivoluzione se non quella di regalare tre quarti d' ora di canzoni intelligenti e accattivanti come poche. Trovatemi qualcuno che negli ultimi 5 anni sia riuscito a fare altrettanto e vi regalo 1/5 della mia discoteca. Trovatemi un altro disco che abbia dentro canzoni come "The Soda", "People to carry", "What is the influence?", "Power bubbles" o "If I could hear your heart" e vi lascio il mio posto su queste pagine. Attenti ai dischi minuscoli. Te li scordi in qualche cassetto e quando li ritrovi dopo anni sono ancora lì a folleggiare dentro il perimetro della tua stanza, e non riesci ad acciuffarli manco a morire.

Franco "Lys" Dimauro

ART OF FIGHTING / Wires / Trifekta

La delusione vissuta dopo aver ascoltato l'ultimo album dei Red House Painters può essere superata ascoltando l'esordio di questo quartetto di Carlton, Australia. Dopo due ottimi ep's "The very strange years" - pubblicato dall'etichetta Half a Cow, gestita dall'ex Lemonhead Tom Morgan - e "Empty Nigths", pubblicato in Europa dall'inglese Words and Works Rejected, gli Art Of Fighting dimostrano di essere maturati, presentandoci 11 canzoni ispirate, lente, tristi e immortali. I punti di riferimento musicali degli Art Of Fighting vanno ricercati nelle bands che sono state incasellate nel (non) genere "slowcore" (Codeine, Red House Painters, Radar Bros, Bedhead....), ma nessuno dei gruppi citati è stato mai capace di essere così intenso ("Find you lost"), tragico e disperato ("Something new"), introspettivo ("Reasons are all I have left") e oscuro ("Just say I'm right") come gli Art of Fighting. Non riuscirete facilmente a liberarvi degli Art Of Fighting una volta che li avrete ascoltati, l'istinto di far ripartire il cd, per riassaporare quegli attimi di pace e tranquillità appena trascorsi, persi alla ricerca delle ragioni della propria sofferenza, s'impadronirà di voi.

Giuseppe Marmina

MOLDY PEACHES / Moldy peaches / Rough Trade

Altra strange story nel magico mondo della musica: Lei, Kimya Dawson,ormai quasi trentenne ha conosciuto il suo socio musicale Adam Green facendogli da……Baby Sitter!? I due si conoscono ad un meeting di poesia a New York ed iniziano ad uscire insieme dopo che i genitori di Adam (ancora tredicenne) danno a Kimya l’incarico di portare loro figlio in giro, assistono a vari concerti, tra cui Make Up e Unwound, poi crescendo hanno unito le loro menti musicali a nome Moldy Peaches. I M. P. vengono da New York come gli acclamati Strokes, e come i medesimi hanno i Velvet Underground nel cuore, ma mentre gli Strokes hanno “rubato” dai Velvet il lato più nervoso, i Moldy ne prendono le sfumature delicate, continuando in un certo senso il discorso interrotto dai Pavement degli esordi, anche per quanto riguarda le tecniche di registrazione volutamente lo-fi, credenziali quindi affascinanti, come affascinanti sono i 19 episodi di questo debutto, la cui partenza conferma il tutto: infatti in “Lucky Number Nine” cosi come in “Jorge Regula” sembra di ascoltare dei Pavement (quindi Velvet) colti nei loro momenti migliori, ancora sapori Velvet in “Nothing Come Out” condita da un grazioso flauto, c’è anche spazio per il rock & roll di “Downloading Porn With Dave”, l’esperimento hip-hop di “On Top” e l’annoiato country di “Anyone Else But You”. Potrei (vorrei) andare aventi per il resto delle canzoni, ma un disco è come un film, io ho dato le anticipazioni, ma il finale non lo racconto, odio rovinare le sorprese.

Gianni Avella

TARAF DE HAIDOUKS / Band of Gypsies / Crammed

I Taraf de Haidouks, appartengono più alla musica classica che a quella che oggi viene denominata con un termine alla moda, "etnica". Sono più classici di Beethoven, più rivoluzionari di Stravinskij, e più alticci dei Pogues. Questo disco è la registrazione di un concerto tenuto in Lussemburgo in compagnia di una, per una volta, discreta Kocani Orchestra. Attorno a loro sono nate delle leggende. C'è chi giura di averli visti correre suonando in un parcheggio di Bruxelles, chi giura di essere da loro stato derubato dopo una notte di bevute e di suonate selvagge in qualche villaggio della Romania…Del resto Haidouk è il nome di un eroe mitico dei balcani, una specie di Robin Hood locale che rubava ai ricchi per dare ai poveri. Il disco contiene selvagge e dionisiache fughe e ballate lente e struggenti che toccano i temi cari agli zingari, il viaggio, e la voglia forse non del tutto sincera di una fissa dimora. Tra i loro meriti si può anche annoverare il fatto di non essere stati scoperti da un qualche Peter Gabriel di turno…Per questa registrazione si avvalgono della collaborazione di alcuni elementi esterni alla formazione, che del resto ha un numero di elementi variabile a seconda delle occasioni. Il disco risplende di virtuosismi di fisarmoniche, violini, cembalon e percussioni che rendono questa musica dionisiaca, una qualità che sembra ormai persa nella musica forse troppo ragionata di oggi. Divertentissimo il quasi rap balcanico "Carolina". Segno che è anche una musica che pur mantenendo le sue peculiarità non ha remore ad aggiungere nuovi stili. Ma all'interno del gruppo è nota una vecchia insoluta diatriba tra l'uso del violino, strumento antico e la fisarmonica innovazione tecnologica che come tale non è proprio ben vista dai componenti più anziani del gruppo...

Nino Vetri

HILMAR ORN HILMARSSON AND SIGUR ROS / Angels of the universe / FatCat

Angels of the Universe è un film. E’ anche un’opera musicale, quindi fruibili esclusivamente in modo sincronico. Il regista Fridriksson sembra essere seguitissimo in Islanda. Credo tratti della tragica storia di due fratelli alle prese con dannazione e morte. Sarà pure un bel film, ma se la colonna sonora di tal Hilmar Orn… (Cristo, quanto amo i nomi islandesi!), eseguita dagli gnomi Sigur Ros, cuginetti bistrattati dei Mogwai, risulta anche se lontanamente fedele al climax del film c’è da evirarsi con un cucchiaio pur di non vederlo. Si tratta nient’altro che di musica classica, anzi straclassica! Una suite Albinoniana suddivisa in 17 momenti i cui titoli sono già una promessa funesta (Degradation, Helpless, Te morituri, Coma…). Sorta di requiem in piena acquisizione Doom, neoclassicismi ampollosi e drammatici si susseguono abbastanza omogeneamente. Sennonché, grazie a dio onnipotente, intorno alla quinta traccia si insinua un briciolo di sussulto elettronico, unica testimonianza dei tempi moderni, esitante comunque in una banale new age. Amanti della classica e fruitori di iconografie Doom, magari ci troveranno spunti succulenti. L’opera, come gia detto, si subordina a quella del film altrimenti perde qualunque valenza semantica, specialmente in ambito di puro ascolto musicale. Se Angels of the Universe non servirà neanche a giovare alla mia inveterata insonnia, giuro che questa recensione, Marc me la pagherà cara.

Joele Valenti

 


© 2001, 2014 SuccoAcido - All Rights Reserved
Reg. Court of Palermo (Italy) n°21, 19.10.2001
All images, photographs and illustrations are copyright of respective authors.
Copyright in Italy and abroad is held by the publisher Edizioni De Dieux or by freelance contributors. Edizioni De Dieux does not necessarily share the views expressed from respective contributors.

Bibliography, links, notes:
 
 
  Register to post comments 
  Other articles in archive from SuccoAcido 
  Send it to a friend
  Printable version


To subscribe and receive 4 SuccoAcido issues
onpaper >>>

To distribute in your city SuccoAcido onpaper >>>

To submit articles in SuccoAcido magazine >>>

 
FRIENDS

Your control panel.
 
Old Admin control not available
waiting new website
in the next days...
Please be patience.
It will be available as soon as possibile, thanks.
De Dieux /\ SuccoAcido

SuccoAcido #3 .:. Summer 2013
 
SA onpaper .:. back issues
 

Today's SuccoAcido Users.
 
Today's News.
 
Succoacido Manifesto.
 
SuccoAcido Home Pages.
 

Art >>>

Cinema >>>

Comics >>>

Music >>>

Theatre >>>

Writing >>>

Editorials >>>

Editorials.
 
EDIZIONI DE DIEUX
Today's Links.
 
FRIENDS
SuccoAcido Back Issues.
 
Projects.
 
SuccoAcido Newsletter.
 
SUCCOACIDO COMMUNITY
Contributors.
 
Contacts.
 
Latest SuccoAcido Users.
 
De Dieux/\SuccoAcido records.
 
Stats.
 
today's users
today's page view
view complete stats
BECOME A DISTRIBUTOR
SuccoAcido Social.