Beulah, Ex, US Maple, Radiohead, Tricky, Ruby, Agony Bag, AA.VV. Beyond Beyond, Pressure Drop, Sophia, Fleshtones, Bright Eyes, The Moore Brothers, AA.VV. All tomorrow's parties 1.0, Unwound, Sparklehorse, Mogwai, Ed Harcourt.
Beulah, Ex, US Maple, Radiohead, Tricky, Ruby, Agony Bag, AA.VV. Beyond Beyond, Pressure Drop, Sophia, Fleshtones, Bright Eyes, The Moore Brothers, AA.VV. All tomorrow's parties 1.0, Unwound, Sparklehorse, Mogwai, Ed Harcourt.
BEULAH / The coast is never clear / Shifty disco
Miles Kurosky (voce e chitarra) e Bill Swan (idem) sono i leaders di questa band da S.Francisco a quanto pare molto amata in Galles. E si odiano. Davvero, hanno cercato più volte di uccidersi, ma per nostra fortuna con poco successo. Evidentemente l'amore per la musica supera il loro astio reciproco, infatti, sono proprio l'amore e la spensieratezza le emozioni sprigionate da questo disco, che in tre minuti sarebbe capace di ridare l'allegria a chiunque. Si tratta di uno dei più buoni cocktail di musica pop che vi potrà mai capitare di assaggiare, Beatles, Beach Boys, Bacharach, Stereolab, etc. Tutto shacherato con un'invidiabile genuinità, insomma un po' di tutto e di tutto un po'. Consigliatissimo a tutti coloro che vorrebbero l'estate durasse fino a Natale. E poi...non si può non amare un gruppo che intitola un pezzo "a good man is easy to kill"!
Salvo Senia
EX / Dizzy spells / Ex
C'è ancora Mr. Steve Albini dietro i bottoni per il secondo album degli olandesi anarcopunk Ex, uscito quasi in contemporanea con un disco dal vivo accreditato alla Ex Orkest (quando smetterà Roy Paci di infilarsi dentro ogni disko ke kompro???? NdLYS). Non lasciatevelo scappare, sarà uno dei pochi dischi imperdibili di questo 2001 malgrado la stampa ufficiale vi dirotterà sui Radiohead o addirittura i Gorillaz. Il furore anarchico del quintetto viene incanalato su dodici brani nervosi, schizzati, scoppiettanti come di rado capita di ascoltare ora che il mondo è diviso tra le chitarrone acustiche dei Kings of Convenience e il rumore di cartapesta dei Korn. Il suono di "Dizzy Spells" è invece una vertigine di ritmi epilettici che farebbero invidia ai Feelies di "Crazy Rhythms", chitarre vorticose (ascoltate il riff di "Walt's Dizzyland" e ditemi poi se non è il più bel riff dell' anno!) e parole che, una volta tanto, non paiono buttate lì per caso. Gli Ex hanno fantasia illimitata e quindi il rischio di ascoltare la stessa canzone per dieci volte di fila sullo stesso disco viene evitata. Se avete amato dischi ricchi di estro bizzarro e creativo come gli esordi di Public Image e Fall, "Steady diet" dei Fugazi o "Modern dance" dei Pere Ubu, non potrete esimervi dall'acquisto. E schizzerete dalle poltrone. Oh se lo farete !!!
Franco "Lys" Dimauro
US MAPLE / Acre thrills / Drag City
Miiiii! Ma ditelo prima! Forse colpa di quel darkettone di Gira se i Maple erano tanto scazzati... !? la grande prugna in culo di Talker ci ha fatto pensare al peggio - due ascolti ed è un disco da buttar via, così che pure la band di Johnson sembrava un fuoco spento dopo la fine del sodalizio con O'Rourke... e invece rieccoli! sporchissimi e imbrattati come non mai, macchiati di demenza come la copertina del nuovo fantastico CD... Acre Thrills, un'altra perla dei 4 di Chicago. Si ritorna alla grinta schizoide dei primi due dischi, con qualche variazione di rotta: un suono più accessibile, una materia sonora meno obliqua e più diretta, ma pur sempre "arty" e mutante come solo loro sanno fare. Insomma, spalancate le vostre finestre estive, osservate la strada in fiamme e pisciate sull'asfalto fumante, poi prendetevi il pisello e scuotetevelo in un cocktail tropicale con Acre Thrills in sottofondo... sono note che parlano la lingua dell'adolescenza più pura, dell'espressività più creativa e demente... i bozzetti chitarristici di Mark Shippy, che dà spessore e atmosfera a ogni secondo di canzone, mentre l'ululato di Johnson si leva contro la luna in "Ma Digital" e "Troop and Trouble", due tra i loro pezzi più memorabili di sempre. Le novità rispetto alla tradizione Maple si trovano quando i quattro vanno a pescare nell'immaginario obliquo dell'indie più deviato e visionario: il fantasma di Polvo e Pixies aleggia sui riff sghembi e sulle rigide strutture di basso, sovrastate da una chitarra quasi epica, del primo untitled e di "Open A Rose". Se non fosse per alcuni pezzi meno riusciti il disco a cui ci troviamo di fronte sarebbe un capolavoro, e di quelli tosti. Gli Us Maple si sono trasformati da culto sotterraneo ad autentico classico del rock, cosa rarissima nel panorama indie attuale... diciamocelo, Acre Thrills non dice nulla di nuovo, è il disco che tutti potevamo tranquillamente aspettarci. Ma per il semplice fatto che è "il nuovo disco degli US Maple", che sfodera al suo interno il loro unico ed inconfondibile suono, è un altro disco enorme, imprescindibile. Che altro dire? Finché ci saranno band del genere il caro vecchio rock avrà vita lunga...
BaKunim
RADIOHEAD / Amnesiac / Emi
Rock arte moderna ... Arte. (?)
Volti trasfigurati:
Rock elettronici ... Pop, mutanti.
Eterni.
Sussurri e grida ...Piramidi (?)
Il vento (...).
IBM-Apple-Intel J L suoni.
C'è New Orleans nelle nostre teste, ma non ditelo in giro. A metà strada tra quell'Ep dei June of 44, e il pezzo finale di Amnesiac. New Orleans, all'orizzonte. Qui.
C'è il vento nelle nostre teste. Un vento che soffia arido su paesaggi urbani, desolati, vuoti ... enormi scheletri di deserti elettrici. Ma soffia pure su campagne, su pianure, e campi rigogliosi Anch'essi, desolati e vuoti... - Ambient, anno di grazia 2001. Il vento...
Ci sono troppe cose nelle nostre teste. E forse più ancora in quella di Yorke. Poche invece in Amnesiac: vento, piramidi, città lontane. Poche davvero.
- Sul primo numero immaginavo un nuovo capolavoro dei RadioHead... Assurdo. Un anno da Kid A. E il capolavoro è qui......
_Amnesiac_
- "Che vuoi dimenticare Yorke? forse i mille incubi di Thomas, quelli dei Trux? forse il punto in cui Stipe ha cercato di spiccare il volo - quello altissimo di Reveal? O soltanto sei la meteora che ha disegnato il mondo, colui che finalmente 'ci ha dato forma' ...la stessa che Williams ha solo vagamente immaginato?"
-...-
Amnesiac è un sogno ove tutto è creazione, ove ogni secondo è diverso dai precedenti 30 anni di pop, eppure uguale. Ove la voce è sussurro, ove la chitarra è un grido. Straziante, elettrificato. Ove la musica composta per il pianeta terra è una creatura multiforme, sgusciante da trombe e microchips, pennellando tocchi di classicità sfocata, chiudendo il cerchio perfetto del capolavoro.
Robert Wyatt, solo lui volò così in alto.
Sea Song, Pyramid Song.
Il mare e la terra: il mondo è disegnato.
BaKunim
TRICKY / Blowback / Anti
So che qualche intellettuale della stampa musicale non sarà d'accordo con me, giudicando Blowback eccessivamente commerciale, ma personalmente trovo che questo disco sia l'ennesimo coraggioso esperimento di un artista geniale ed eclettico. Dopo il trip-hop dei primi due fortunati albums (Maxinquaye e Pre-millennium tension), dopo il blues futuribile e decadente di Angels with dirty faces e dopo i lavori maggiormente influenzati dal rap (Tricky presents grassroots, Juxtapose, l'ep Mission accomplished dello scorso anno), Blowback rappresenta il disco "rock" di Tricky, se proprio si volesse definirne il suono con una sola parola. Per l'occasione il Kid di Bristol assolda al suo seguito una schiera di musicisti da prima pagina (Anthony Kiedis, Flea e John Frusciante dei Red Hot Chili Peppers, Alanis Morrisette, Cyndi Lauper, Ed Kowalczyk dei Live), più alcuni altri musicisti di assoluto valore anche se meno conosciuti (il reggae-man Hawkman e la vocalist Ambersunshower). Gli intellettuali di cui sopra sottolineeranno giustamente che tanti campioni non fanno una squadra vincente, come del resto dimostra da un po' di anni a questa parte l'Inter di Moratti... E' innegabile però che Blowback, pur non essendo un capolavoro, sprigiona un'energia e un calore davvero notevoli, ed in ogni caso l'ascolto di Excess, di Evolution revolution love o di Girls, così per citare tre tracce a caso, risulta molto più divertente del gioco fatto vedere dall'Inter durante l'ultimo campionato... Selezionate poi la traccia numero nove, Bury the evidence, ed alzate il volume: l'incedere epico della base ritmica che esplode nelle deflagrazioni della chitarra e la voce impazzita di Tricky accompagnata in sottofondo dal rappeggiamento di Hawkman vi costringeranno a pogare da soli contro l'armadio della vostra camera! C'è anche una cover dei Nirvana, per la verità non del tutto convincente, ma citatemi un altro artista in grado di riproporre "Something in the way" come se fosse suonata dai Japan e cantata da Jim Morrison! Se questo è un disco commerciale, Moratti è un presidente che capisce di calcio e che sa spendere bene i suoi soldi...
Guido Gambacorta
RUBY / Short-staffed at the gene pool / Wichita
In sei anni io mi sono fidanzato, sposato, ho comprato casa e ho avuto una bambina. I Ruby, candidamente, hanno pensato e pubblicato il loro nuovo disco. Ironia a parte, sei anni sono tempi biblici per il vorticoso mondo del disco, ben più di quelli occorrenti per scordarsi facce e nomi che per un baleno hanno transitato per i canali dei nostri fori auricolari. Quindi vi diciamo che Ruby sono il progetto varato a metà dei '90 da Lesley Rankine, allora trasfuga dall' effimero successo dei Silverfish, accanto a Mark Walk e autori di un paio di tormentoni come "Paraffin" e "Tiny Meat", erano gli anni del dopo-Portishead e i Ruby si trovarono nel posto giusto al momento giusto, con "quella" voce tormentata dai loops e un bell'armamentario di chincaglieria soft-elettronica, a far capolino nelle classifiche popolate da Moloko, Olive, Lamb e EBTG. Davvero preistoria. Naufragati dopo il crollo della Creation, Ruby hanno faticato non poco a trovare chi volesse investire su un disco che nel frattempo rischiava forse di venire in uggia anche a loro. E' la rampante ma minuscola Wichita a mettere infine la griffe su questo loro disco del rientro dai contorni gradevoli malgrado spesso rischi di perdersi in una incompiutezza nociva (il d'n'b di "Cargo" che non va da nessuna parte, l'eccesso di zuccheri che appesantisce "Sweet is", lo spettro di "Paraffin" che sembra affacciarsi dalle finestre a spirale di "Waterside", NdLYS). Non mi sento tuttavia di dirne male visto che il disco non mancherà di dispensare buone vibrazioni a chi ama il genere anche se è probabile che fra sei anni, ascoltando la leggerezza pop di "Lamplight" o "Grace" ci si guarderà negli occhi chiedendosi l'un l' altro..."...e chi cazzo erano questi?".
Franco "Lys" Dimauro
AGONY BAG / Feelmazumba / Black Widow
Chi di voi si ricorda dei Black Widow (o della loro primissima incarnazione Pesky Gee), oscura band della scena progressive inglese anni '70 ed iniziatrice del cosiddetto "dark sound"? Bene, negli Agony Bag ritroviamo Clive Jones e Clive Box, rispettivamente flautista/sassofonista (qui anche cantante) e batterista di quella vecchia formazione, affiancati per l’occasione da Bruce Cluley alla chitarra e da Geoff Beavan al basso. Attivi nei primissimi anni '80 i nostri pubblicarono solo un 45 giri, "Rabies is a Killer / Never Neverland" (Monza -1980), prima di far perdere le proprie tracce e, quello che mi appresto a commentare, è l'unico album del gruppo, inciso all'epoca, e riesumato soltanto adesso dalla attiva label genovese. Caratterizzati da un look oltraggioso in stile Roky Horror Picture Show e da testi altrettanto dissacranti, gli A.Bag rappresentavano un'inedita quanto efficace commistione di glam, progressive ed heavy rock, su cui aleggiava incombente la tenebrosa eredità dei succitati B. Widow. "Feelmazumba" si apre con i due pezzi del singolo prima menzionato, vero manifesto del gruppo in cui la viziosità del glam si fonde con armonizzazioni chitarristiche degne della new wave of british heavy metal e con un impeto iconoclasta di netta derivazione punk. Si prosegue poi con quello che è, a mio avviso, il pezzo forte dell'album: "Venus Fly Trap", brano cadenzato e doomeggiante accarezzato da uno sax spettrale che non può non ricordare il dark progressivo della Vedova Nera. Altri ottimi episodi sono poi l'allucinata "White Stick" o ancora le trascinanti "I Can" e "I Want to Touch You", a completamento di un lavoro, edito sia in Cd che Lp, costantemente fra il beffardo ed il minaccioso, fra il lascivo e l'orrorifico, ma sempre invariabilmente unico ed affascinante.
Salvatore Fallucca
AA.VV. / Beyond beyond / Alice in word/Noise museum
La compilation edita dalla neonata sussidiaria della Noise Museum, altrimenti dedita all'elettronica industriale, si offre di scandagliare i fondali del post-rock europeo. I dieci nomi coinvolti, infatti, incarnano, in un certo qual modo, alcune delle derive possibili del (non) genere. Si va dal techno-pop dei Tin Foil Star, agli astrusi esperimenti elettronici dei Tank; dal folk futurista degli Hood, agli accordi sospesi dei già noti Piano Magic; dalle derive noir-jazz dei Crescent, al David Pajo canterburiano riecheggiante dai Micro:mega. Non manca qualche stucchevolezza di troppo (Playdoh ed Electroscope) e una certa uniformità stilistica dell'opera, appare alquanto preoccupante; ma in definitiva la raccolta risulta interessante e godibile. A posteriori, comunque, rimane l'amarezza per un suono ormai codificato e standardizzato oltre misura. Meglio, allora, riscoprire chi, scardinando regole e convenzioni, aveva già superato il rock'n'roll oltre vent'anni fa: P.I.L., Cabaret Voltaire, ThrobbingGristle, This Heat, Tuxedomoom, Liquid, 23 Skidoo, Talk Talk, Killing Joke...
Alessio Bosco
PRESSURE DROP / Tread / Columbia
Un paio di anni fa in un negozio di cd usati acquistai per sole cinquemila lire Elusive, disco dei Pressure Drop uscito alla fine del 1997, e dopo otto-nove mesi, sempre nello stesso negozio e sempre allo stesso prezzo, ne trovai un’altra copia che presi per regalarla a mia sorella. Questo può farvi capire con chiarezza quali fossero le quotazioni di mercato della musica dei Pressure Drop prima di Tread… Un vero peccato (o un bene, visto l’affare da me concluso…), perché le raffinate atmosfere trip-hop di Elusive, ben lontane dai tanti cliché del genere, avrebbero meritato migliore fortuna. Il nuovo album, il quarto nella discografia del collettivo londinese, appare nel complesso più solare del suo predecessore, sensazione questa dovuta soprattutto all’assenza della cantante Anita Jarrett, la cui voce penetrante conferiva un colore particolarmente scuro a molte canzoni di Elusive. In Tread i Pressure Drop rielaborano con disinvoltura tutte le loro molteplici influenze, frullando insieme ritmi dub (Warrior sound), percussioni afro (Raise up), accenni soul (Senorita), funk del nuovo millennio (Funkee joint), hip hop (Hip hop fanatic), musica buona per la colonna sonora di thrillers fantascientifici (The spiral stare), arrangiamenti orchestrali (Promises, Spirit shine). Pur risultando un disco piacevole e ricco d’idee (qualcuna scippata ai Leftfield…), sinceramente non credo che Tread riuscirà ad accrescere di molto la notorietà dei Pressure Drop, ed è anzi probabile che già tra qualche mese lo possiate trovare usato spendendo non più di quattro Euro.
Guido Gambacorta
SOPHIA / De nachten / Flowershop
Tò chi si risente, Robin Proper-Sheppard, deus ex machina degli indimenticabili God Machine. Che gruppo ragazzi, se non li conoscete ancora procuratevi i loro due unici dischi, vi si aggiungeranno diversi anelli nella ricostruzione dell’evoluzione di un certo noise apocalittico che era un must all’inizio degli anni ’90. Qui ritroviamo il nostro con un live registrato in Olanda nella situazione psicologica a lui più congeniale, quella acustica. Che poesia!! Accompagnato da una band e da un quartetto d’archi, Robin da grande manipolatore di emozioni quale è sempre stato, le allenta, le allunga, le scuote, raggiungendo inaudite vette di epicità e romanticismo. Brividi e strette al cuore continue, peli irti costantemente e occhi chiusi per catturare intensamente ogni istante. Superficiale oltre che inutile segnalare qualche brano in particolare ma necessario per dovere di cronaca. Nella track list trovano spazio solo due classici dei Sophia, “so slow” e “the river song”, il resto è tutto inedito con l’esecuzione di un classico di John Lennon “jealous guy” dal cantato molto biascicato, in perfetto stile pavementiano, “ De Nachten” si snoda tra incubi nerissimi e sprazzi di luce ( “bad man” ), giù giù nel maelstrom emozionale ( “i left you” ) per riemergere con ballate suggestive ( “if only” e “the sea” ), richiami al folk irlandese ( “ship in the sand” ) fino alla conclusiva “the river song”, brano in perfetto stile God Machine riarrangiato in chiave acustica. Aahh..ancora, ancora..
Francesco Imperato
FLESHTONES / Solid gold sound! / Fantastik
Vera e propria istituzione del rock 'n roll americano, in giro ormai da un quarto di secolo, i Fleshtones non hanno più molto da dire che non abbiano già detto. Sanno scrivere canzoni discrete (più Keith Streng che Peter Zeremba a dire il vero...) imbottite di una estetica 50's/60's volutamente festaiola, talvolta ai limiti col trash (ascoltate qui il disco-beat di "Good Good Crack", ad es.). Un gruppo da party. Forse il migliore sulla piazza. O perlomeno quello con le radici al posto giusto. Ma non molto di più. I loro dischi, ad eccezione del grande "Roman Gods", non sono di quelli imperdibili. Divertono, ti fanno passare una mezz'oretta in allegria (o poco di più, questo viaggia sui 36 min), magari ti aiutano a "svoltare" una festa (purché non abbia invitato i soliti rompicoglioni che si affollano davanti allo stereo alla ricerca dell' ultimo afrorubbadubjungleeasypostnoizremix firmato da DJ Pisello d' Acciaio, NdLYS) ma non molto altro. Che poi sarebbe anche ingiusto pretenderlo. E che vorreste, che Peter si togliesse il parrucchino e, dopo essersi fatto un tatuaggio tribale sul cranio, si tramutasse nel figlio di Sun Ra? Ma per favore…Così anche questo nuovo disco fila via veloce, ti mette addosso un po' d' allegria e si toglie dalle palle. Sempre meglio di 75 noiosissimi minuti di teorie post-rock sul ruolodellasezioneritmicaallinternodelle strutturemusicalidiimprontafreejazzmaconpossibili evoluzioniinambitorockediricerca sulladissonanzaarmonica e bla bla bla...
Franco "Lys" Dimauro
BRIGHT EYES / Letting off the happiness / Wichita
Conor Oberst ha solo 20 anni, ma da 7 anni è al centro di dozzine di progetti e bands, Park Ave, Commander Venus e naturalmente Bright Eyes, qui al secondo appuntamento full lenght, che vede Conor one man band, come Robin P.Sheppard ed i Sophia o David Bazan/Pedro The Lion, attorniato da amici e fidi collaboratori. Dieci tracce indie-folk, a volte sporcate da chitarre distorte, tastiere e rumori elettronici, ma niente a che vedere con freddi scenari futuribili o paranoiche escursioni noise (è come se Will Oldham avesse suonato nei Fleming Lips di Soft Bulletin) dove si alternano registrazioni fatte sul buon vecchio 4 piste (che il suo dovere continua eccellentemente a farlo!), altre in hi fi, momenti solo chitarra acustica, altri più “epici”, voce filtrata, radiofonica, batteria effettata. Maledettamente, nel senso che l’anima dei Bright Eyes non quieta, bello, perché si fà fatica a toglierlo dal lettore, pezzi azzeccati, intimi, ma senza rassegnazione, arrangiamenti fatta con la passione ed il gusto di chi non ha nessun discografo che gli corre dietro, e tanto, ma veramente tanto da dire…
Andrea Pintus
THE MOORE BROTHERS / Colossal small / Amazing Grease/Multiball
I fratelli Greg e Thom Moore, californiani, iniziano a suonare nel 1986 e si innamorano delle melodie e delle armonie vocali. Passati negli ultimi 15 anni attraverso un sacco di bands misconosciute, unitisi infine ad Andrew Borger (batteria) e Jon Erikson (basso, organo), sfornano questo brillante CD di caldo pop-rock dalle strutture insolite e dall'accento inglese.Già per questa peculiarità il termine di paragone è piuttosto ovvio: la voce dei Moore rimanda direttamente a quella di Robert Pollard, altro americano che è solito cantare con l'accento tipico dei Fab Four, precursore del lo-fi e autore con I Guided By Voices di almeno un disco imprescindibile quale “Bee Thousand” del '92. Rispetto ai GbV le canzoni dei Moore sono più pulite e presentano una struttura più libera ed 'aerea'. La qualità della proposta musicale sarebbe davvero notevole, se non che parte del CD non fosse riempito da melodie tirate troppo per le lunghe, e background strumentali troppo poveri e troppo poco efficaci per la scarsa strumentazione. Le gemme si chiamano Harry Lion, inebriante ed oscuro pop dalle atmosfere indimenticabili, con cori d'antologia (peccato per il minutaggio, solo 1:43); poi Nicholas Pulse, la cui performance vocale resta inarrivabile per Pollard come per chiunque altro in ambito pop per intensità d'interpretazione e qualità del suono. E' poi la volta della title track, ovvero la prima doccia fredda: folk un pò spento dal sapore lontanamente brit pop (i Travis più languidi?) che si protrae ridondante senza variazioni sino alla fine. Peccato. Il resto del CD presenta alti e bassi. Tra le cose migliori citiamo 'The Ghost of San Rafael', pop cantautorale molto intimista, e Calligraphy Mouth, buon beat e organetto molto lounge. In fin dei conti un buon CD, consigliatissimo a chi proprio non riesce a dimenticare I GbV dei primi 90s. Dimenticavo: l'ex Pavement Scott Kannberg dice che dopo innumerevoli ascolti è riuscito ad apprezzare appieno la bellezza di questo disco, e che ora lo considera uno dei più grandi di tutti i tempi. Io personalmente ho desistito. Avrò davvero ragione Kannberg?
BakuniM
AA.VV. / All tomorrow's parties 1.0 / ATP/Family Affair
Oocch..ma in che cazzo di festa sono capitato? Eppure la dritta era giusta.. "Tre giorni di party infinito, il 6, 7 e 8 aprile a Camber Sands in Inghilterra..amunì?" mi aveva urlato il mio fedele amico Rogart. "E amunì" era stata la mia risposta non tanto convinta. "Ma perché mi devo arroccare fin là per una festa" ho subito pensato, "e vabbè che gran cerimonieri di casa sono i Tortoise, e vabbè che c'è tutto il gotha post-sta gran funcia, però.." E invece è stata proprio una gran figata!! C'erano tutti, ma proprio tutti gli amici della grande Tartaruga ammassati in un ristretto concentrato di elettro pop: individui psico(stereo)labili come Broadcast, gli strumentali quadretti noir dei Calexico e i grandi Black Heart Procession, lentamente evocativi e struggenti, a tratti pinkfloydiani, con quella slide saturrissima in perenne sottofondo. Non potevano mancare i tropicalismi jazz di The Sea And The Cake e gli esercizi di chill out pop dei Board Of Canada che ti servono a riprendere il controllo dopo più di quindici minuti di suite-sonora-infinita-sconvolgente-bellaperò- dei padroni di casa Tortoise, ma si sa: "cu sparti avi a megghiu parti"...Però quello che ti sconvolge perché non te l"aspetti sono i contributi di Atmosphere e Cannnibal Ox, puro e duro hip-hop da strada. A chiusura, una interminabile sequenza di droni, interferenze, scorregge sonore, interminabili deflagrazioni elettroniche elaborati da Russel Haswell, roba che se fatta ascoltare a orecchie qualunque, ci si farebbe più di un impianto stereo nuovo raccattato tra l'immondizia perché "rotto". Siamo pronti per la nuova edizione.
Francesco Imperato
UNWOUND / Leaves turn inside you / Matador
La sensazione di avere tra le mani un disco importante è immediata: CD doppio con sezione interattiva chiuso in una confezione nero-funerale. E così quello che i posteri si affretteranno ad etichettare come il black album degli Unwound ti mette già in uno stato di eccitato imbarazzo incuneato tra curiosità ed inquietudine. Dunque un doppio. Facile andare con la memoria a dischi come "London Calling", "Zen Arcade" o "Metallica". Ovverossia, in campi diversissimi ma assimilabili per "spessore" e risultati, i dischi dello scarto stilistico, del non-ritorno, della rottura. Quelli dopo i quali, per intenderci, se torni indietro hai perso la tua sfida. In contesti simili, invece, un percorso musicale vicino a quello dei Blonde Redhead. Analoghe le radici, affondate nell'humus sonicyouthiano, analoghi i percorsi evolutivi dei rispettivi ultimi lavori. A dieci anni esatti dal suo esordio, il terzetto di Olympia reinventa dunque il proprio suono, operando una scelta che, oltre a quella dei gemelli Pace, è vicina a quella di bands come Flaming Lips o Mercury Rev. "Leaves turn inside you" ha dunque un peso specifico notevole, sicura pietra di paragone per il suono indie degli anni a venire. Dentro, il suono degli Unwound si carica di sensualità new wave, si mette a nudo, scioglie la matassa rumorosa in cui viveva immerso per creare nuove spirali, filamenti madreperlati come sottili schizzi di sperma su un ventre ben modellato. "Look a ghost" riporta con la memoria ai migliori Firehose, mentre un pezzo come "Treachery" rende plausibile l'accostamento ispirativo con la melodia dei limoni dei Redhead, epilessia nervosa e scura. Due brani immensi. Il secondo disco acuisce l' anelito sperimentale che permea il nuovo suono degli Unwound, il nervosismo si stempera in soluzioni eteree ("Below the salt", "One lick less") oppure dilatate e pigre ("Radio Gra", "October all over" con un ghirigori chitarristico davvero eccellente o "Summer freeze" ancora vicina ai Blonde Redhead) e trovando infine una via di fuga nell' estemporaneo dixie posto a suggello, nient' altro che un divertissment, un siparietto posto a sigillo del primo importante disco pop del nuovo millennio.
Franco "Lys" Dimauro
SPARKLEHORSE / It's a wonderful life / Capitol
Non è facile, per me, parlare di questo disco. L'ho comprato a Luglio, in un giorno che mi ha segnato con una brutta storia, e la musica è rimasta legata a quel ricordo, e alle ore scure che sono seguite. E’ stupendo, questo disco. E' sofferenza e liberazione, dignità pescata a piene mani e stretta nei pugni chiusi. Dall'inizio, da quella melodia zoppicante al piano circondata dal brusio di una radio, fino al grido strozzato di Tom Waits proveniente da chissà quale fumoso locale newyorkese. E il finale, un disco incerto che salta,e il silenzioso duetto con PJ Harvey, e il violoncello di 'Apple Bed'. Solo Neil Young arriva a tanta dolcezza. Solo questo, si può dire: è un disco dolcissimo. Nelle melodie, negli arrangiamenti, e nel cantato, la fragile voce di Linkous, un sussurro che si può spegnere con un soffio. Bisogna ascoltarlo col fiato sospeso, questo disco.
Isidoro Meli
MOGWAI / Rock action / Southpaw/Pias
Ci sono dischi che sembrano concepiti al di fuori di qualsiasi riferimento spazio-temporale, sospesi come sono tra una sofisticata ricerca cerebrale da un lato e l'urgenza di comunicare emozioni dall’altro. Rock action è uno di questi dischi: un'elegante suite orchestrale dalle cui profondità emergono le voci di Stuart Leslie Braithwaite, di David Pajo (ex Slint) e di Gruff Rhys (Super Furry Animals). E' davvero complicato riuscire a descrivere la bellezza degli otto pezzi che compongono Rock action: vibrazioni cosmiche (Sine wave, 2 rights make 1 wrong), melodie struggenti (Take me somewhere nice, Dial: revenge), folk spettrale (Secret pint), flussi onirici (You don’t know Jesus).. Difficile a volte trovare le parole giuste, forse persino inutile... Musica senza confini proiettata fuori dal tempo.
Guido Gambacorta
ED HARCOURT / Here be monsters / Heavenly
Si sono sprecati i paragoni su Ed Harcourt, giovane talento inglese ventitre-enne del Sussex che dopo averci deliziato con il mini "Maplewood" di qualche mese fa, ritorna debuttando sulla lunga distanza. Here Be Monster, licenziato dalla Heavenly Records (ricordiamo label anche dei Doves), ci mostra Ed in grandissima forma, musicista poliedrico che sa come usare le sette note a suo piacimento, in questa sua avventura il nostro è accompagnato in cabina di regia da Tim Holmes dei Death In Vegas, Gil Norton (di fama Pixies) e dall'onnipresente Dave Fridmann fresco producer dell’ultimo Sparklehorse e Mogwai. Harcourt si muove su coordinate che lo rimandano all'ultimo Sparklehorse, intense ballate, molte delle quali con il piano in bell'evidenza, come si può ascoltare nella bellissima "Those Crimson Tears". Come dicevamo Ed ama "giocare" con i suoni, e "Beneath The Heart Of Darkness" con il suo loop di batteria accompagnato da una "timida" tromba ne è la conferma, in "God Protect Your Soul" sembra un novello Tom Waits chiuso in una stanza a jammare con i Folk Implosion, "Apple On My Eye" e "Hanging With The Wrong Crowd" gia presenti sul mini non fanno altro che confermare il talento di questo giovane menestrello, capace di incantare come pochi. Fate vostro "Here Be Monster" e regalatevi 52 minuti di grande musica.
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De Dieux /\ SuccoAcido