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Music - CD Reviews - Review | by SuccoAcido in Music - CD Reviews on 01/05/2001 - Comments (0)
 
 
 
Elf Power, Ex Girl, Libraness, Calla, King Diamond & Black Rose, Youth Brigade, NNY, Manilla Road, Brychan, Uncle Brian, Herbert, Wagon Christ, 35007, Soeza, David Thomas, Arab Strap, Duft Punk, Mouse On Mars, Old Time Relijun, Hector Zazou & Sandy Dillon

Elf Power, Ex Girl, Libraness, Calla, King Diamond & Black Rose, Youth Brigade, NNY, Manilla Road, Brychan, Uncle Brian, Herbert, Wagon Christ, 35007, Soeza, David Thomas, Arab Strap, Duft Punk, Mouse On Mars, Old Time Relijun, Hector Zazou & Sandy Dillon.

 

 
 

ELF POWER

A Dream In Sound

Shifty/Wide

Il titolo parla già chiaro: per gli americani Elf Power il sogno, ad occhi chiusi o aperti (ma aperti è meglio) è il tema centrale della loro musica; è un continuo invito a rimanere con la testa fra le nuvole, ad immaginare di volare sulla campagna a bordo di un palloncino – come fa la protagonista del brano “Jane” – colorati cortei carnevaleschi (la strumentale “Carnival”), o il momento della creazione delle piante e degli animali (“Willowy Man”). Non mancano puntate nel mondo dell’infanzia, con melodie da girotondo (in “noble experiment” però hanno esagerato, sembra di ascoltare “That’s Amore” suonata con la pianola). Frizzante pop psichedelico, l’album sintetizza alla perfezione sonorità della west coast, ritmi anni ’80, luccicante di spruzzate glam (in alcuni momenti sembra di ascoltare il Bowie di trent’anni fa). Le canzoni sono leggere e colorate come bolle di sapone ma, come queste, hanno la caratteristica di non lasciare tracce una volta esplose. Non sperimentali/sperimentatori, né innovativi, gli Elf Power hanno realizzato un disco gradevole, ma sembra proprio di averli già ascoltati e di essersene anche un pò stancati.

Trude Macrì

EX GIRL

Revenge of Kero Kero

Guided MissileRecordings

No fratello, tu non hai capito niente dei giapponesi, stai qui impaurito come fratel coniglietto e loro mettono su due cervelli, tanto quando sarà finita sarà finita, a che serve rallentare la corsa per capire se la strada è interrotta? Sarà per questo chHoppy Kamiyama è la figura più affascinante nella quale mi sono imbattuto negli ultimi cinque anni? Credo di si. Proiettile di fuoco,fiamma di megalopoli che rimbalza instancabile tra New York e Tokyo, produttore geniale, pianista e chitarrista con 300 anni di musica nel DNA e li usa come se niente fosse, dragqueen, sublime compositore di quartetti d'archi, devastatore sonico, professorino al conservatorio. "Metti benzina nel mio motore" dicevo io nel sogno, "yeah, benzina nel motore, bambino" rispondeva Chimiro, saltando sul sedile. La macchina era Hoppy naturalmente e il risultato è questo sublime esempio di rock dolce e violento (si, proprio come Tariconan), quello che ti fa saltare sul tetto della macchina mentre il vento ti scompiglia i capelli, e subito pensi a Michael J.Fox che fa il surf in "voglia di vincere". "Disco 3000" è un bluff, siamo solo nel 2001, grazie al cielo, e per giunta i sintetizzatori sono i razzi propulsori di quella vecchia carretta del Discovery, qualche secondo di gorgogliante attesa e parte un riffettone come neanche Karl Blake il giorno che ha incontrato il suo idolo di gioventù: satana. "Puyo" sarebbe un hit interplanetario se non vivessimo sul pianeta che fa di Biagio Antonacci un musicista e di Raul Bova un sex symbol. Le Ex girl fanno le Bananarama e si scambiano le parti, se questa melodia non ti spacca il cervello sei già morto da un pezzo. "Zozoi" ricorda un momento triste: quel cattivone pompato di Tarzan ha rapito la band e le ragazze armate di tamburi si inventano un gioco nippo/africano per invocarne il ritorno. Prima del commiato c'è anche "Sex Machine" a ricordarci una volta per tutte che i giapponesi scopano eccome e ci danno anche dentro di brutto. Poi, come sempre il silenzio e ti risvegli sudato, le ex girl scompaiono su uno strano carro, Hoppy è il carro e il monito è sempre lo stesso: "La vita non è tutta rosa e fiori, ragazzi".

Il cd non è distribuito in Italia, contattatele scrivendo a: EXG@aol.com http://0505.net/ex-girl

Fanfarello

LIBRANESS

Yestarday’s and Tomorrow’s Shells

Tiger Style/Wide

E’ con sorpresa e incredulità che verso la fine dell’anno scorso ho letto del ritorno di Ash Bowie. Abbandonati i Polvo, se ne esce con un disco solista pubblicato a nome Libraness, che raccoglie il materiale inedito degli ultimi dieci anni. Quattordici canzoni tra le più strambe mai partorite dalla sua chitarra, 40 minuti di musica ove sparsi qua e là possiamo ritrovare tutti i cocci del suo background musicale ‘esploso’: memorie indie-noise dei tempi d'oro dei Polvo (Face on Backwards, Totempole) si alternano a saghe psichedeliche a metà tra l'oscuro e il lisergico (Toy Planetarium - episodio migliore del disco - e Paper Raft), altrove il disco si macchia dell'hippismo pakistan-rock più strambo (Hit the Horizon), o ricompare il vecchio Verlaine in veste bucolica - quello già sentito nella splendida My Kimono - che si mischia alla sua personale concezione della ballata rock (24 Hours, No Separation). Nient’altro che un’ennesima conferma, ennesimo gran disco di un altrettanto grande musicista. Ma forse la conferma più importante, quella che più ci da fiducia, prova certa dell’abilità del nostro anche al di fuori della sua vecchia, enorme band. Un’ispirazione inarrestabile, un chitarrismo creativo oltre ogni limite: quei pochi che ancora sperano in un capolavoro nel mondo del rock si rivolgano a lui.

BaKunim

CALLA

Scavengers

Quatermass/Audioglobe

Con l’ultimo filo di voce rimasto in gola: questa è la costante dell’intenso e a tratti struggente album di questo trio texano, alla sua seconda opera, composto da Aurelio Valle (voce e chitarra), Sean Donovan (basso, tastiere, programming) e Wayne B. Magruder (batteria, programming, percussioni). Pur affacciandosi nel panorama post-rock, le loro ritmiche hanno il sapore delle ballate incalzanti del Nick Cave più in stato di grazia (Fear of fireflies) con una novità: la perforante introspezione, l’insistente tenacia che come nella musica degli Swans aleggia prepotentemente nei brani dei Calla. Non a caso M. Gira è il guru co-produttore e backng vocal di quest’ottima band. Il peso dell’esistenza e, allo stesso tempo, la sua leggerezza sono minimali, essenziali, “spazzini dell’eccesso”, suoni quasi in sordina, delicati, accenni industrial (Traffic sound, Slum Creeper, Mayzelle) riescono a catturare i sensi catapultandoli nei loro angoli più intimi e nascosti. Ho sempre avuto fiducia nell’ispirazione di M. Gira e questo disco ne è la prova tangibile.

Alice Ignone

KING DIAMOND & Black Rose

20 Years Ago – A Night of Rehearsal”

Metal Blade / Audioglobe

La maggior parte di chi fra voi ascolta hard ‘n’ heavy conoscerà King Diamond quale cantante e grande cerimoniere alla guida dei Mercyful Fate e del suo stesso gruppo omonimo, due formazioni con le quali il nostro, da ormai quasi venti anni, porta avanti il suo manifesto di metallo occulto/orrorifico con produzioni quasi sempre pregevoli. Pochi invece sanno che Mr. Diamond, fra il 1979 ed il 1980, militava (oltre che nella prima divisione di calcio danese) in una band chiamata Black Rose già piuttosto nota nell’area di Copenaghen. Autori di concerti molto teatrali e grandguignoleschi, anticipatori di quanto il Re Diamante avrebbe proposto in futuro, i Black Rose erano però musicalmente più soft ed old-fashioned rispetto ai Mercyful Fate ed alla loro esasperazione dei Judas Priest più oscuri. I nostri si muovevano infatti vicini ad un hard rock di stampo purpleiano con grandi partiture di hammond e sonorità spiccatamente seventies, forti di una freschezza compositiva straordinaria ed una notevole preparazione tecnica in cui, paradossalmente, l’elemento più debole era proprio la voce di King, lontana dal diabolico falsetto che lo avrebbe successivamente caratterizzato, ed ancora un po’ acerba, benché già padrona di una certa minacciosa personalità. Non esistendo delle registrazioni ufficiali, il contenuto di questo Cd ripropone pressoché integralmente una session che il gruppo incise in presa diretta in sala prove e, credetemi, malgrado la resa audio mediocre (simile ad un ottimo bootleg), la riuscita degli 11 brani (più una cover dei Golden Earring) è stupefacente. Pirotecnici duelli di chitarra/tastiere e fughe strumentali dal sapore prog., vengono sapientemente asservite all’urgenza ritmica della nascente n.w.o.b.h.m. risultandone un perfetto connubio fra l’impatto del metal ottantiano e l’estro e la fantasia del decennio precedente. Consigliatissimo

Salvatore Fallucca

YOUTH BRIGADE

Sink with Kalifornia

Byo

Gli Youth Brigade nacquero nel 1981 quando il punk era finito da un pezzo, ma nonostante il calo d'interesse del pubblico verso un genere che aveva già dato il meglio nel biennio 76-79 divennero una band di culto, anche se dal limitatissimo successo discografico. Provenienti dagli "Swing skins brigade" i tre fratelli Stern, Shawn, Mark e Adam non tardarono a raggiungere alti livelli artistici confezionando nel 1983 l'LP "Sound & Fury" e nel 1984 l'EP "What Price" racchiusi insieme in quest'album.Contraddistinti da un suono duro e veloce, da slogan di facile presa urlati, ma anche da una notevole propensione all'ironia e alla melodia (non si può però parlare di vero e proprio punk melodico) gli Youth Brigade registrarono un esordio da antologia, molto apprezzato da parecchi cultori del genere.Canzoni come "Sink with Kalifornia", "fight to unite", "Did you wanna die" e "What will the revolution change" sono dei piccoli capolavori del genere, ma non sfigurano neanche gli altri pezzi dell’album, per una qualità compositiva sempre alta. Scioltisi alla fine degli '80 gli YB si sono riformati da due anni sull'onda del McDonald's Punk ma con l’eccezione di una interessante produzione (l'ottimo album Byo split series vol.2 insieme con gli Swingin Utters) non sono più tornati ai fasti iniziali.

Simone Cappello.

NNY

Don’t happy be woory

Manufracture

Punk apocalittico svelto, eccentrico, suonato con istinto che però, in modo felicemente insopportabile regala momenti brevissimi di cullanti melodie che vengono uccise dopo pochi istanti. Basso corposo, batteria trascinante, chitarre che stridono riffando in modo scarno ed a tratti ipnotico. Inutile citare brani distintivi, tutto il disco è una gabbia unica dove ogni brano è un animale che scalpita guidato da una voce rabbiosa e strozzata che con feroce istinto s’insinua nei brani concedendosi solo sprazzi più morbidi. Incessanti e risoluti, gli NNY, niente velleità di genere, niente orpelli nudi e crudi come se li ascoltassi da dietro la porta della loro sala prove scoprendoli nella loro essenza più selvaggia. Sequenza dei brani incalzante, iniziano e finiscono senza concedersi pause, vanno dritti a testa, si sbattono dentro la gabbia con feroce ardore, “ti piaccia o no siamo questi e non possiamo fermarci”. L’ultima traccia dell’A-side sembra un brano degli Smith che suonano grezzi e acidi. Non esagero se dico che in alcuni momenti mi ricordano gli Wire più punk e istintivi. Buon disco questo dei cazzuti NNY!!

Francesco de Marco

MANILLA ROAD

Open The Gates

Dragonheart / Audioglobe

Per la serie meglio tardi che mai, sembra che pubblico e addetti ai lavori stiano finalmente accorgendosi dei Manilla Road. Il trio di Wichita infatti, pur essendo fra i padri del metal americano (il loro debutto è del 1980!) ed avendo pubblicato ben 10 dischi la maggior parte dei quali ottimi, non è mai riuscito a raggiungere la popolarità di bands come (rimanendo su territori affin)i, Manowar, Savatage o Virgin Steele. Adesso invece il ritorno in voga del power metal, insieme a tanti aspetti deleteri (doppie casse continue e melodie da cartone animato per es.) che ne hanno travisato lo spirito, ha fortunatamente riportato alla luce coloro che del genere furono iniziatori e maestri. Ecco quindi che dei M. Road si comincia a parlare e che, in attesa della loro nuova produzione, varie etichette ne ristampano su Cd i lavori passati, ormai sempre più difficili da reperire. “Open the Gates”, uscito originariamente nel 1985, è il quarto album nella discografia del gruppo e, insieme al precedente “Crystal Logic” ed al successivo “The Deluge” (ristampati da Iron Glory ed Underground Symphony), ne costituisce anche l’apice qualitativo. La musica che troverete fra questi solchi è quanto io considero la più pura essenza dell’epic metal: un sound cupo, maestoso ed evocativo pregno sia di atmosfere arcane che di furore bellico, il tutto sovrastato dalla voce nasale, ma anche straordinariamente solenne del leader/chitarrista Mark Shelton, moderno cantore di oscure leggende e reami dimenticati. Dall’impeto di “Metalstrom” e della title-track, attraverso l’imperiosa “The Fires of Mars”, la doomeggiante “The Ninth Wave” fino alla suadenti “Witches’ Brew” e “Astronomica” è un susseguirsi di gemme senza cedimenti, una perfetta trasposizione in musica dei racconti di R.E. Howard, un disco impedibile che la Dragonheart ha arricchito con due bonus-tracks dal vivo (tratte dal live ufficiale “Live Roadkill”).

Salvatore Fallucca

BRYCHAN

Vexed Fanatica

Iridea/Self

Brychan in Galles è considerato un’autentica istituzione. All’estero invece, non riesce a raccogliere i meritati consensi, probabilmente a causa di un amore per le atmosfere intimiste che non risponde agli indirizzi delle emittenti radiofoniche. Questo “Vexed Fanatica”, registrato in parte in Italia e con la collaborazione di artisti della penisola (nei credits dell’abum figurano i nomi dei Bluvertigo e de Il Parto delle Nuvole Pesanti, oltre a quello del folk singer americano Eric Wood) mostra un musicista elegante e appassionato, che passa abilmente dalle melodie vagamente irlandesi di “My Good Ship” (che sembra un outtake dal bellissimo “Bring ‘em all” di Mike Scott) a momenti di folk psichedelico come “Shiglidi Bot”, affreschi jazzati (la splendida “Self Destruction”) e arpeggi malinconici (“Aims”). Su tutto spicca la potente voce dell’autore, in grado di raggiungere note altissime per poi scendere verso le ottave più basse con interpretazioni sempre personali e intense: nei momenti più “aperti” mi ha ricordato certe atmosfere di Tim Buckley. Segnalare qualche canzone sarebbe un’operazione velleitaria: tutto l’album è impregnato della stessa passione e intensità, e merita di essere ascoltato dall’inizio alla fine.

Isidoro Meli

UNCLE BRIAN

Barbecue Music

Moon Ska

Che in fatto di ska la Moon detti legge è un fatto assodato.Per la prestigiosa etichetta lavorano, infatti, i nomi più importanti nel gotha della scena internazionale: Skatalites, Bad Manners, Mighty Mighty Bosstones, Selecter e molti altri, e anche questa nuova proposta inglese, gli Uncle Brian, non è inferiore alla media. Considerati dagli addetti ai lavori d'oltremanica un misto tra Less than Jake e Blink 182 (giudizio a mio parere riduttivo e umiliante) gli UB sono artefici di uno ska-core allegro e ironico, disimpegnato ma frizzante.Godibilissime tra tutte "Kelly", "Brothel Creepers", "Super powered" ed è esilarante la cover dell'hit da discoteca "We're going to Ibiza". Nonostante ciò, i loro 19 anni gli UB li dimostrano tutti e il lavoro può risultare non proprio maturo, soprattutto nei testi; tuttavia dal punto di vista musicale gli UB hanno poco da imparare nel genere ska-core.Un buon esordio di un talentuoso gruppo di cui sentiremo parlare ancora.

Simone Cappello

HERBERT

Bodily functions

Soundslike/K7/Audioglobe

Bello e affascinante, coinvolgente, nei suoi 70 minuti circa di ascolto. Sonorità piacevoli, lavoro ben curato e ricco di riferimenti più o meno celati all’area trip-hop che si animò a Bristol quasi un decennio fa. Citazione, nella meravigliosa traccia “I miss you”, di uno splendido manifesto musicale che fu i Portishead. Disco che non stanca, anzi, sorprende nella continua fluidità di suoni e atmosfere jazz che s’insinuano efficacemente nei campionamenti ritmici sempre piacevoli e mai eccessivi. Splendida voce femminile, calda e sensuale da jazz-club (“It’s only” su tutti) che carezza ogni brano e stimola la libido, dimostrando straordinarie capacità, espresse con sottile ironia. Eccentrici alcuni campionamenti, piccole chicche alcune tracce; disco che vibra sempre ad alti livelli senza flessioni o presunzioni. Lo si potrebbe liquidare affibbiandogli un’etichetta di genere ma preferisco rinunciare e consigliare vivamente questo disco perché ottimo, con brani acustici e vagamente jazz che si intrecciano bene con tante altre piccole sorprese sofisticatamente elettroniche e farcite di ottimi beat.

Francesco de Marco

WAGON CHRIST

Musipal

Ninja Tunen

Un album di cui parlare essendo Musipal uno di quei dischi che a prim'acchito magari ti sembrano un buon esercizio di stile, ma con l 'aumentare degli ascolti cresce. Cosa salta subito all'orecchio? Beh, Luke è un virtuoso dei patterns ritmici, innamorato dell'hip hop, dell'exotica, del soul, del funky. Sono canzoni bene riuscite che possono sembrare di costituzione semplice, ma che a scomporle c'è da perdersi in un universo di colori, popolato da strambi personaggi: rappers ubriachi, cani dallo aspetto burbero ma dal cuore tenero, monelli dispettosi, tipi caraibici in canotta, camicia floreale e capricapo di paglia, variopinti volatili con cui intavolare strampalate conversazioni, topi ballerini …Ho come l'impressione che questo disco sia stato registrato su una calda isola della fantasia di Luke Vibert, un disco che porta dritto nel cuore dell'estate. Come se Mike Paradinas e Squarepusher avessero suonato insieme togliendo l'uno all'altro le proprie fisime, andando in direzione Coldcut:il risultato nonpuò che essere Wagon Christ.

Nino martello

35007

35007

Stickman

L’astronave 35007 riprende il suo viaggio dopo aver fatto approdo su Marte e lasciato lì un membro dell’equipaggio. Da quando la navicella Monster Magnet è rientrata sulla Terra, è rimasta solo lei a circumnavigare le orbite stellari, piroettando follemente dove nessuno osa più fare. Nei negozi lo troverete di certo sugli scaffali "stoner". Fa comodo a tutti ma non rende giustizia alla più GRANDE space band ancora in piena espansione. Il nuovo EP interamente strumentale è un’orgia di rock stellare, enorme buco nero colmo di magma cosmico. "Van Braun" è una cavalcata vorticosa e superelettrica percorsa da algidi sintetizzatori molto Hawkwind e chitarre dilatate, un superstooge maestoso, pachidermico. "Artificial intelligence" tracima dalle parti di "Tab", il capolavoro space rock dei Monster Magnet, mantrica e avvolgente, con una bass line satura a fare da propellente per un effluvio di rivoli elettronici ed elettrici. "Sea of tranquillity" è l’approdo su Giove, nove minuti di estatiche, espanse, dilatate radiazioni soniche, la superficie planetaria che si deforma sulle pareti vitree della cabina di pilotaggio, le luci di bordo accese di un rosso fuoco lampeggiante, il vuoto d’aria che ci inghiotte come palle da biliardo. Mai nessuno vedrà mai tutto questo...mai nessuno ve...bzz....tto.....zzzz...sto.....mai______bzzzzzzzzzz_______rà_______tu______bzzzz___ma__

Franco "Lys" Dimauro

SOEZA

Founded by sportsmen and Outlaws

Prohibited Records/Wide

Se i Make up facevano loro il lato più selvaggio del rhythm'n'blues (quello di James "At the Apollo" Brown) i Soeza attingono da quello più morbido e soave di Jimmy Smith e Timmy Thomas, sporcandolo, come da copione, con chitarre nervose e voce psicotica (the Fall). Come rivestire un pittbull di velluto blu, facendolo rieducare da Maria De Filippi. Però non è sempre così, ci sono anche parecchi momenti da accoccolo puro (i miei preferiti) dove il cantante si allinea con la dolcezza fancazzista del tappeto di fiati. Belle ragazze disinibite, bibite poco alcoliche, pantaloni a zampa, John Holmes cagnolone con la faccia nel sole. Grooves da dopo cena a casa di amici, mi tolgo le scarpe e me lo godo per benino.

Fanfarello

DAVID THOMAS

Surf’s Up

Glitterhouse Records/Harpen

Puntualmente David Thomas da alle stampe il suo genio, quasi ci si stanca a ripeterlo. Stavolta Surf’s Up, disco del mese dell’anno degli ultimi-anni-tutti, disco: visionario, profondo, lucidamente delirante, poetico come non mai, formalmente tanto elegante quanto naif. Se non lo si fosse capito, un capolavoro. Non c’è da aggiungere altro credo, ok? Ok, lascio a lui la parola: “C'è una diceria:

/Che sia freddo, poi caldo; / Troppo amore, troppo distante da qui; / Troppa speranza, troppo lontana; / La mattina è un miraggio scintillante. / Si leva dall'asfalto. / Come in ognuna delle altre città fantasma ch'io abbia mai conosciuto…” Driving at Night “Hanno buttato giù il ponte Wilson-Shute l'anno scorso / ne hanno costruito uno nuovo al posto. / Ma non attraverserò quel ponte. / Io so Perchè. / E non so perchè. / So. / E non so. / Doveva finire così. / Arriva un tempo in cui la gente non capisce. / Quando le rocce parleranno uno strano linguaggio, / E tutti quei sogni, / Tutti quelle paure, quelle speranze, / Non andranno da nessuna parte, / Mai più.” River “Ognuno di noi vive in una città fantasma. / Lasciano le luci accese / in questa città / tutta la notte / per paura dell'oscurità… / e c'è una radio - in onda tutta la notte, / per paura del silenzio... / il silenzio dei PENSIERI di qualcuno...” Ghosts. Nell’arco degli ultimi 25 anni il suo testone le ha cantate tutte, dalla paura nucleare, alla bestialità della macchina della modernità, ora la ‘placeness’ (spaziale e psicologicia) e la mancanza di radici in cui giorno dopo giorno ci tocca vivere. E tutto questo raccontato senza critiche populiste, luoghi comuni o false ideologie: solo materia d’ispirazione per la sua arte inarrivabile, purissima… Coerenza, Saggezza, Sentimento. Voterò David Thomas alle prossime politiche.

BaKunim

ARAB STRAP

The Red Thread

Chemical Underground/Wide

Pare che a Falkirk ci si annoi parecchio, un mio amico mi fa sapere che gli articoli più venduti sono gli alcolici, le giacche da camera e le mazze per spaccare le cabine telefoniche. Aidan Moffat da piccolo è stato male, ha le braccia incapaci di tenere in mano una mazza da vandalo, così ha optato per l'acquisto di una chitarra e di un bicchiere da cognac. Che musica si può produrre in un posto così? Semplice, la stessa che veniva fuori da quel ragazzino geniale, annoiato e frustrato che risponde al nome di Robert Smith, con la differenza che Robertino sapeva prendersi per il culo, Aidan se ne guarda bene. Ne viene fuori un disco sospeso tra lo stucchevole romanticismo del peggior Nick Cave e il dancefloor decadente del Momus di Timelord. Voce biascicata, drammi esistenzial/domestici, chitarra sufficientemente oscura per avere un discreto appeal dark pop. A me fa un pò ridere, ma non credo fosse questo lo scopo che si prefiggevano i due.

Fanfarello

DUFT PUNK

Discovery

Virgin

Era un'uscita che aspettavo, sognando che il duo parigino avrebbe definitivamente evoluto quell'entusiasmante forma acida di house funkeggiante con tanto di voci non imprigionate nella forma loop. Aspettativa confermata con One More Time. Ma proprio il singolo in questione m'aveva fatto sudare freddo, parendomi una canzone buona per lo spot della omnitel. Al primo ascolto sono rimasto di stucco, una situazione sgradevole: troppo Vocorder per i miei gusti, anche se nella quattro (scusa SIAE ma i titoli non ce li ho) se ne fa uso ottimamente con tanto di assolo e di cappello; troppo Eighty Trash (io non ho alcuna nostalgia per quegli anni 80, tranne la undici che mi ricorda Rondò Veneziano e quelle domeniche da bambino quando ..) La cinque e la otto sono le più vicine ad homework con la loro carica da party. Un disco prima electro che a tratti fa sorridere e che usa un immaginario che noi tutti conosciamo bene [nella tre s'intravede Gerard Depardieu in vacanza con la figlia adolescente mentre felici fanno testacoda con un motoscafo (fanno capolino persino i Supertramp)] Dopo ripetuti ascolti non lo pensi più che è una merda, ma neanche un capolavoro. Un disco per chi ama il sinth pop, meno rock di Les Rhytm Digitales. E poi non gli perdonerò mai di aver dichiarato che gli Eiffel 65 sono bravi. P.S.: comunque c'è da ricordare che se adesso anche Cristina D'Avena usa il Vocorder è per colpa loro “… Around the world-Around the Woorld”

Nino martello

MOUSE ON MARS

Idiology

Sonig/Wide

Questi gruppi venuti fuori negli anni '90 sono sorprendenti! I Pink Floyd erano già spompati al quarto album e questi arrivano al sesto freschi come le rose. Cominciamo col dire che questo disco mi ha fatto passare uno splendido inizio di pomeriggio e mi ha fatto venire anche ottime idee per la serata. Allora si possono ancora scrivere canzoni di questo livello, mi sono detto ascoltando "Presence". Ecco, cari lettori, questa canzone è bellissima, perchè sprecare altri aggettivi? Non sono mica Piero Scaruffi io! Ho un vocabolario parecchio limitato, questa canzone è bellissima. Cinque minuti di autentica delizia in compagnia dell'anima candida di Robert Wyatt di "Rock Bottom": lirismo struggente e vagamente sofferto, assolo di sax da fare invidia al miglior Fausto Papetti, credetemi è un gioiello ed il resto del disco non è da meno. “The Illking" è la colonna sonora per un balletto maoista intercettato dalle orecchie paraboliche di Enrico Ghezzi, sono i soldati di Mao che riposano sull'erba, dormendo il sonno dei giusti, così come "Paradical" è la classe operaia che va in paradiso con le fanfare degli angeli rossi. Un disco di classe assoluta, capace di trasformare il vecchio Bob marley in una sorta di tetsuo giamaicano. Sto naturalmente parlando del raggae sintetico di "Subsequence", vi si congelerà la canna tra le labbra e gli occhi pieni di fumo vedranno benissimo ciò che è necessario vedere. "Doit" è una puntata in balera con Raul Casadei post-mortem. Progetto Polkanik, top secret. "Fantastic Analy", facciamo ciao e torniamo a casa, mica casa nostrà però. Ohm sweet Ohm.

Fanfarello

OLD TIME RELIJUN

Witchcraft Rebellion

K Records/Wide

Immaginate il suono garage dei Sonics mischiarsi alle contorsioni allucinate di James Chance e al blues caotico di Beefheart, aggiungeteci le ipotetiche piroette di un Ayler armato non di sax ma di clarinetto, infine collocate tale ibrido in una preistoria violenta e selvaggia in cui le forze della natura incombono minacciose sull’uomo per sconvolgerlo e annientarlo. Un ultimo grido prima dell’apocalisse. E’ la solita e riuscitissima formula degli Old Time Relijun, anche se questa volta la band di De Dyonisio ha apportato al suo modus operandi alcune modifiche sostanziali: Witchcraft Rebellion sfoggia un’opulenza sonora che mai si era vista nei dischi precedenti, una produzione curatissima, un suono così multiforme e deviato come non lo si sentiva dai tempi di Sang Phat Editor degli US Maple. A farne le spese è però la carica adrenalinica ed iconoclasta che aveva contrassegnato le due uscite precedenti, stavolta appiattita dall’incedere quasi ‘free’ dei pezzi. Uniche sopravvisute rimangono l’allucinatissima ‘Vampire Sushi’ o la magistralmente recitata ‘King of Nothing’, mentre altri episodi memorabili sono il basso visionario che sovrasta l’apocalittico free-jazz-garage di ‘Two Crows’, il dub sporcato di caos e suoni ambientali di ‘the Book of Life and Crime’, il riff pop-noise di Mistery Language - che rimanda direttamente ai God-Co più cazzoni e scanzonati. Un plauso particolare a Arrington de Dyonisio, sia per la personalità artistica, sia per la voce unica-isterica-teatrante-indemoniata. Creativo come pochi, ha ormai un posto d’onore nella storia del rock a fianco di vocalist quali Captain Beefheart, Lux Interior e il primo Nick Cave. Un altro gran disco.

BaKunim

HECTOR ZAZOU & SANDY DILLON

Las Vegas is Cursed

Crammed/Materiali Sonori

L'anima di Zazou è gelida e questa è già una notizia per un musicista di origine nord-africana, trapiantato in Francia e innamorato del Pak. La sua è sempre stata pura arte neo-exotica senza cascami particolarmente kitch, neo-exotica senza pepe dunque. Il suo fine ultimo è arrivare ad una forma di canzone colta d'intrattenimento e dio mi è testimone: non ci trovo assolutamente niente di sbagliato. La tradizione è sbriciolata, trattata con disinvoltura ma mai umiliata, Sandy Dillon è una cantante sublime e questo lo sapevamo. Lasciate da parte ogni inutile considerazione etnomusicale, sociologica, etica e godetevi questo grande maestro della canzone da salotto. In alternativa potete sempre considerarlo la versione borghese di Eskimo dei Residents.

 


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