Mosquitos, Cardosanto, Maisie, The Lord Weird Slough Feg, Madrigali Magri, Andreas Porcu, Bugo, Leila, Thy Majestie, R.U.N.I., 71j.P.M, Alessandro Raina, Beppe Bruco Band, Latex, Mothercare.
Mosquitos, Cardosanto, Maisie, The Lord Weird Slough Feg, Madrigali Magri, Andreas Porcu, Bugo, Leila, Thy Majestie, R.U.N.I., 71j.P.M, Alessandro Raina, Beppe Bruco Band, Latex, Mothercare.
MOSQUITOS
The Sophomore
Viceversa
In attesa del loro secondo album, I Mosquitos ci propongono questo EP di 4 pezzi, contenente “A rainy day tale” che avvicina la band di Frosinone al pop elettroacustico più evoluto ed umorale made in u.s.a. (Pedro The Lion), “One face down” ed “Upside down” registrate acustiche a Radio Città Futura ed una rilettura scanzonatamente punk di “Then he kissed me” di Phil Spector. Un pizzico di Seattle (Spoon e Nirvana), una strizzata d’occhio al low-fi melodico: la vera scommessa è in quale direzione decideranno di muoversi, ma le premesse sono buone.
Andreapintus
andreapintus@yahoo.com
CARDOSANTO
Pneuma
Freeland
Meriterebbero di essere ascoltati dal vivo i bravissimi Cardosanto, sembra quasi che tutta l’energia e la complessità della loro musica ci stiano a fatica, nelle casse dello stereo di casa… Da ascoltare senza fare nient’altro, ad alto volume per non perdere nemmeno uno dei fili di note che intessono complicati arabeschi di suoni, e divertirsi a seguire e riconoscere generi diversi (rock, jazz, hardcore) che vengono raggiunti, attraversati, de-costruiti, reinterpretati; quando sembra che ci facciano ricordare qualcosa dei King Crimson, o di certo Frank Zappa, sono solo pochi secondi, si tratta in realtà delle capacità originali dei Cardosanto.
Strani stati d’animo, l’ossessività di alcune melodie (Pneuma, Cardotrance) fa pensare a un moto circolare che avvolge l’ascoltatore lasciandogli solo di tanto in tanto un momento di pausa, per non fargli girare la testa. Malinconie che sembra ci facciano dissolvere in note cristalline, si impennano in un ruvido suono di chitarra (L’acida ritorsione del malumore). Punte di tecnicismo raffreddano e contengono certi energici scuotimenti (Sospesa sul ventre, L’assurda storia di Phineas Gage), la musica forse non è libera in tutti i momenti del disco, il continuo autocontrollo dei musicisti soddisfa comunque chi non ha paura delle cose difficili. Belli anche i titoli, i dodici brani strumentali compongono il più maturo discorso dei Cardosanto, scandito dai quattro pneuma, estrema elaborazione sperimentale di suoni di chitarra.
Trude Macrì
MAISIE
Do You Still Remember When You Forgot Your IUD In My Nostril?
Snowdonia
Attenzione attenzione: i due giovini eroi di Sicilia, Alberto Scotti e Cinzia La Fauci, per la seconda volta a distanza di due anni solcano i campi di battaglia dell’evanescente "scena underground italica" per vincere ed umiliare ogni fantasma e superstizione. Vediamo di che si tratta…"V’è un tempo nell’arte in cui le cose sono viste e percepite, ed appaiono reali: Il nuovo disco dei Maisie è reale. Il nuovo disco dei Maisie ha varie forme, scolpite nel Moderno: ne ho scorte due. La prima, un monolite sconfinato. E’ il monolite della noia, del vuoto, essenza stessa del Moderno. La seconda, una trama fittissima e intricata. In essa v'è essenzialmente amore, calore, e vita…" Il nuovo disco dei Maisie coglie benissimo lo spirito dei tempi, trattando essenzialmente di scazzo e di sesso. Scazzo perché quasi ogni canzone procede nella sua circolarità senza tante variazioni ritmiche o cromatiche, lamenti blues rumorosi post-poppettoni jazzati (Pere Ubu? Royal Trux? No Wave?) che si trascinano nella loro immobilità come cervelli di bambozzetti di fronte ad MTV… Sesso perché - tralasciando la pornofilia dichiarata dei Maisie - quasi ogni canzone è macchiata di soffice e sensuale caramello Pop, che trascende i canoni del genere per dilatarsi dalla marcetta fanfarona alla sigla da videogame, quasi un tentativo di scovare nelle musiche moderne un mielosissimo ma mai-nauseante "Amore Universale", spruzzato qua e là di follia e suoni stonati...E vi sono momenti realmente memorabili: Jimmy Robot, pop-residentsiano bambinesco stupendamente recitato, supportato da una grande parte di basso. Lo-Fi Beauty, rimandi di mille musiche pop in stato confusionale (dalla musica leggera italiana ai Supreme Dicks per intenderci…). Love is a Television, macabra e circense, sporcata di rumori cibernetici degni dei Chrome...Insomma, un disco notevole. Dopo gli Starfuckers un’altra band di cui l’italietta underground può davvero andare fiera.
Alessio BakuniM
THE LORD WEIRD SLOUGH FEG
Down Among the Deadmen
Dragonheart / Audioglobe
Terzo lavoro per questa band americana giunta all’esordio nel 1996 con un mini-cd omonimo, seguito due anni dopo dal Cd/Lp "Twilight of the Idols", che ne ha visto anche l’accasamento presso l’italiana Dragonheart Records. I Lord Weird Slough Feg, nel panorama hard 'n' heavy odierno, in cui tanti (troppi) si professano "difensori della fede", con largo dispiego di borchie e spadoni, sono fra i pochi veri sostenitori dell’autentico verbo metallico, quello fatto di evocative cavalcate, ma anche di riff taglienti e minacciosi e di vocals ruvide ed imperiose. Qui siamo lontani dalle melodie pop con distorsione e doppia cassa di certo symphonic metal (di derivazione Stratovarius/Hammerfall/Rhapsody), qui si riesce a far respirare l’aria dei gloriosi anni '80 senza tuttavia mai cadere in uno sterile riciclaggio di temi già sfruttati. La proposta della band mescola infatti con grande personalità l’approccio alle armonizzazioni chitarristiche di gruppi come Iron Maiden o anche Thin Lizzy, la rocciosa epicità del power americano (stile primi Manowar/Manilla Road) e occasionali passaggi doom sabbathiani, con uno spiccato gusto per melodie di stampo folk celtico. Potrei azzardare a definire i Lord Weird Slough Feg come una versione epic metal degli Horslips, ma ciò non renderebbe giustizia all’estrema originalità di questa band che, con "Down among the Deadmen", ci offre a mio avviso la sua prova più riuscita e che merita, oltre che una doverosa atten zione da parte dei metallari di più stretta osservanza, spero anche la curiosità di chi ascolta rock a 360 gradi. Per la cronaca l’album, per adesso disponibile solo in Cd, dovrebbe essere pubblicato (come il precedente), fra qualche tempo, anche in vinile dalla Doomed Planet Records.
Salvatore Fallucca
deluge@hotmail.com
MADRIGALI MAGRI
Negarville
Wallace
Non devono amare troppo l’arcobaleno, i Madrigali Magri. Il bianco e il nero, il grigio, il seppiato con i quali avvolgono i loro dischi spurgano fuori dagli stessi tubetti adoperati per dipingere le loro nenie.E' un disco sghembo, "obliquo" per sua stessa ammissione, permeato da una oniricità pigra e introversa, canzoni che sembrano sprofondare e confondersi nelle ombre, sedimentate nel silenzio. "Negarville" esaspera le intuizioni di "Lische" e risulta ancora più estremo di quell’immenso albo di esordio. L'urlo disperato di canzoni come "Sognidoro" ha lasciato il passo al sussurrare annaspante di "Un posto come un altro", al placido affogare di "Parti non mie", al minaccioso narrare della title-track, a tratti vicino al drammatico lessicare di un Fausto Rossi. Proprio "Negarville", il brano, dovrebbe essere la traccia rappresentativa del disco. Lo e' invece solo in parte. Se da un lato il lungo testo di Giambeppe ci introduce al climax del disco (Negarville come luogo-non luogo dimora del nostro subconscio, sala degli specchi delle nostre angosce, l' idea di viaggio come percorso interiore, ecc. NdLYS), musicalmente fa un po' storia a se stante. E' un blues "magro", spettrale, allucinato e sepolcrale, una western-song per cowboys che pendono dai rami spogli di un autunno come tanti. Al "cuore" del disco si arriva invece piano, attraversando i corridoi di "E' un giorno normale", "Porto dentro", "Non hai mai pace", finché non ti si para dinanzi la stanza senza finestre di "Un posto come un altro" che rappresenta quello che Madrigali sono nell' anno duemila, con le parole ad assumere un ruolo discreto, nascoste dietro il dipanarsi delle chitarre, dietro i pochi sussulti ritmici. Se ti riesce di afferrarle ti accorgi tuttavia che pesano come macigni e hanno lo steso odore della legna bruciata nei pomeriggi d' inverno o di certi panetti di kif, di muffe e di acque stagnanti. Il suono e' scarno, ancora più di quanto lo fosse su "Lische", quasi privo di ogni forma di arrangiamento, suggestivo, mantrico. Emana un senso di drammatica incompiutezza, come se qualcosa di tragico avesse costretto alla fuga, lasciando ad altri il compito di rifinire, di smussare, di tornire e piallare, di nutrirsi degli stessi sogni e di affogare negli stessi incubi.
Franco "Lys" Dimauro
ANDREAS PORCU
Sfaceli Umanistici
Transponsonic
Musica concreta, scaglie di attrezzi e dischi violentati sotto cui si agitano senza difesa Beethoven e Joy Division…l’azione si apre con un’overture “preindustriale”, il setting è lo spazio sonoro e figurativo di una falegnameria, un senso di quiete interrotta dallo sfregamento artistico di corde di chitarra ed un feedback che ci ricorda forse che il nostro è il tempo d’elettricità: 53 minuti suddivisi in tre traccie veramente coraggiose ed in un certo senso ambientali…Una sintesi del patrimonio espressivo del ventesimo secolo o l’ennesimo falso modernariato colto e riscaldato? Contattate la Transponsonic, stimola la mente ed aumenta l’autostima.
info: E.Campostorto, Via Don Dilani 34 08015 Macomer (NU)
andreapintus
BUGO
La prima gratta
Bar La Muerte/Snowdonia
Ascolto il disco per la prima volta come sottofondo ad una cena; tutti commentano: bello questo disco, chi è? Sembra Beck! (eppure Bugo canta in italiano..). Riascolto con calma, a volume più alto, in effetti la sua musica evoca i voli pindarico-musicali beckiani che, mai schizofrenici, si ricompongono nell’unitarietà di un disco da ascoltare tutto di seguito. Così anche “la prima gratta”: stessi meriti e grande abilità nel tenere teso il filo dell’intrattenimento – nel senso più alto – per 21 canzoni che propongono altalene di musica fra malinconiche fisarmoniche ed energiche chitarre - .
Bugo si diverte a suonare e cantare, e ci divertiamo anche noi ad ascoltarlo: l’album è vario, le canzoni melodico- pensierose (Solitario – Nei momenti così) non perdono mai la misura – oggetti, situazioni, stati d’animo che capita a tutti di provare fermandosi un attimo – cantati con l’ìronia intelligente del non – sense che attraversa e accompagna tutti i testi dell’album e che trasforma piccole quotidianità in episodi degni di essere notati (la prima marcia gratta; “le stringhe stringono forte, e tu ti senti un solitario”; “il cellulare è scarico” – piccolo tragico evento contemporaneo – a Bugo non sfugge nulla, non la moderna tecnologia, né “i baci di mia (sua) nonna”!). Non c’è alcun dubbio: neanche un minuto ci troveremo ad ascoltare luoghi comuni sulla vita e l’amore che certe canzoni vorrebbero rendere “epici” (“ieri alle tre mi hai lasciato, ma perché?”, la risposta al track 11, dal titolo “spermatozoi”). Difficile stancarsi ascoltando Bugo, difficile ora non sorridere quando “la prima gratta”..
Trude Macrì
LEILA
Courtesy Of Choice
XLRecordings Ltf.
Un carillon impercettibilmente riverberato fluttua nello spazio vuoto che ci circonda. Elettronica astratta, liquida e sottile, fredda ed improvvisamente melliflua, catatonicamente incedente. Soul evoluto, l’anima che brucia blues, tanto Aphex Twin quanto Tricky. Credevi di essere lontano anni luce e ti ritrovi improvvisamente proiettato al centro della grande metropoli globale: Leila ama il Jazz, le sue strutture anarchiche, ma non semplicemente improvvisate. Leila è suono, la sua voce figura come comparsa. Coadiuvata questa volta da Luca Santini e la sorella Roya, Tim Giles alla batteria e Benet Walsh al clarinetto, la signorina Arab ha confermato,
due anni dopo “Like Weather”, la strada intrapresa: cool!
Andreapintus
THY MAJESTIE
The Lasting Power
Scarlet
Finalmente, dopo svariati anni di latitanza, Palermo fa la sua ricomparsa sulla sempre più fiorente scena metal nazionale, e la fa in grande stile con i Thy Majestie, gruppo di power/epic metal simfonico giunto di recente al debutto ufficiale (dopo un paio di demo) per la milanese Scarlet Records. In grande stile dicevo, perché "The Lasting Power" ha le carte in regola per competere anche con le produzioni estere, forte, oltre che
di solide basi in quanto a preparazione tecnica e qualità d’incisione, di almeno un paio di caratteristiche vincenti. La prima, e più importante, è l’efficacia del songwriting: sofisticato nelle sue partiture orchestrali e liriche (col rilevante apporto del coro del Teatro Massimo!), ma sempre attento anche all’impatto ritmico ed all’incisività delle melodie; in secondo luogo si può parlare pure di discreti margini d’originalità. Benché i Rhapsody rimangano un riferimento difficilmente ignorabile per chi affronta questo tipo di metal in stile "colonna sonora di Excalibur", ai Thy Majestie va tuttavia reso il merito di avere almeno evitato gli scontatissimi inni di stampo teutonico in favore di un cantato che rimanda maggiormente all’hard melodico americano. Non si scoraggi chi di voi non è avvezzo a sonorità metalliche, quest’album è un concept fantasy che può piacere a chiunque ami le saghe medievali, con il loro afflato eroico e le loro atmosfere fiabesche, trasposte in musica.
Salvatore Fallucca
Alessandro Raina
Colonia Paradi’es
CaneAndaluso
Il disco di Raina ha il sapore di una "scoperta" in cantina proprio quando stavi per chiamare Mimì dei M. volume per sgomberare tutto e invece ecco che trovi in mezzo a casse di vino svampito alcu
ne foto quasi illeggibili e lettere con poche parole rimaste, rimani lì seduto su un comodino scassato a guardare le foto a cercare di capire a chi erano rivolte quelle lettere, chi le aveva scritte, di cosa parlavano…guardi le foto e potrebbero essere tuoi parenti e potrebbero essere sconosciuti amici del nonno dei tempi della guerra e potrebbero…le canzoni di Raina, frammenti bellissimi che improvvisamente terminano, senza neanche un preavviso, del resto tutto funziona così la fuori, nessuno ti dice che quella sarà proprio l’ultima volta e forse preferiresti non saperlo comunque alla fine…racconti brevi non romanzi…foto da un treno alla stazione dove non scenderai, acciuffi qualche volto un bacio un panino fra i denti un pezzo del nome del paese CASTELL…e niente più…si forse vorresti che alcuni di questi frammenti fossero più lunghi…o ti sembra di capire come potrebbero andare avanti…e forse no…guardi i titoli guardi le foto ascolti la musica cerchi di afferrare almeno una delle voci nel fruscio del nastro affogato nella polvere…ma non riesci …del resto è giusto così o forse è inevitabile… anche i tuoi ricordi si sporcano quando li metti via. Un disco "difficilmente" bello (per alcuni), un disco bello difficilmente (per altri), del resto è sempre così io adoro i peperoni, mia sorella li mangia se ci sono ma non li digerisce, a Marco fanno schifo e non c’è niente da fare.
Michele Dotto
lunenuove@libero.it
R.U.N.I.
Il cucchiaio infernale
Wallace
Che vuol dire che un cucchiaio è infernale? Azzardo un’ipotesi partendo dai testi di alcune canzoni dell’album (poi voi divertitevi a fare le vostre): un oggetto normalmente insignificante (almeno…) sul quale si accumula tutta l’isteria e l’ossessività della vita quotidiana…(!?). In Clinicocchio – le bottiglie di prastica - si ironizza sulle paranoie domestiche (il clinicocchio si accorge se strisci le ciabatte!) trasformandole in non - sense – ma tutto questo è solo una piccola parte di tutto quello che si può ascoltare in questi 46 minuti di musica: non vengono in mente gruppi di riferimento (suonano come Tizio, o Caio..) piuttosto atmosfere da film: bella “mostri gamordi” con i suoi suoni elettronici e sussurri da scena di “Ed Wood” e il sassofono morbido e ripetitivo da circo del cielo sopra Berlino. In un altro pezzo siamo dentro un videogioco, con voci da serial televisivo Pleasantville – “Let no frenk” è ritmato da un suono di chitarra come nei migliori anni ottanta; divertenti mescolanze pop - punk – elettroniche per un godibilissimo album di musica seria.
Trude Macrì
BEPPE BRUCO PUNK BAND/Omonimo/Autoprodotto
La Beppe Bruco Punk Band vi invita all’ascolto del meraviglioso suono del DAX
Colgo con gran felicità l’invito all’ascolto del secondo demo della Beppe Bruco Punk Band, gruppo palermitano già inconsapevolmente di culto nella nostra città che ritorna a solleticarci le orecchie dopo quattro anni di distanza dal primo lavoro. Il genio musicale dei fondamentali Pixies conduce per mano tutto il lavoro, rivelandosi al chiaro del sole in “Domingo Montoya” e in “ Questa Guerra Tu La Perdi” più che in altre. Qui il gruppo raggiunge la perfetta simbiosi tra voce maschile e femminile e un incedere stralunato e irresistibile di bassi schizzati e chitarre ‘confuse’ che era il marchio di fabbrica del gruppo di Boston. Altri brani spiccano invece per i felici innesti di tastierine vintage à la Stereolab, di fiati psicotici, come in “Texalo Nino” in cui spicca il grande sax di Gianni Gebbia, di un dolce violoncello suonato da Isabella Ragonese (“Cristo Sta Arrostendo Una Mucca” e “ Il Concreto Meraviglioso Suono Del Dax”). Fosse una band non siciliana, la BBPB potrebbe essere la “next big thing” di tante etichette indie d’oltreoceano o italiane.
info: beppebrucopunkband@inwind.it
Francesco Imperato
LATEX
Latex/Autoprodotto
Psicoattivi quanto Syd Barret e gli Orbital, i Latex si trovano a loro agio tra sintetizzatori, mixer, sequenser e campionatori, tracciando in 45 minuti, 7 episodi sintetici veramente interessanti. La tentazionedi sperimentare è forte, poliedrica e piacevole (Vulnavia/Wide open slide; Fahr Zum Rimmel…FSOL: Future Sound Of Latex), ma i ragazzi riescono anche a sviluppare dei pezzi meno concettuali e più “di movimento” (The tied running; Lolicon bondage) – se dico dance? Ma solo se non mi prendete alla lettera.
info: latexmusic@hotmail.com
andreapintus
MOTHERCARE
Fusoku No Kigen/Autoprodotto
Questo secondo minicd dei Mothercare arriva tre anni dopo il primo minicd “ In A Hole” e tre demotapes. Tutto è sempre avvenuto sotto l’albero dell’autoproduzione e Fusoku No Kigen non devia dal seminato. Lo psicotico quartetto veronese attivo dal 1994 ha già guadagnato consensi positivi nell’ambiente metal e sulla stampa nazionale e non. Con Fusoku No Kigen i Mothercare indagano sull’origine dell’insoddisfazione (questo la traduzione del titolo dal giapponese) e ne mostrano la parte più allucinata in maniera assolutamente lancinante condensata in sette tracce, cinque registrate in studio e due dal vivo. Nella bio si legge che i testi “parlano semplicemente della vita, e niente più” ma l’argomento è affrontato in maniera tutt’altro che semplice.La micidiale operazione genetico – musicale generata si muove su coordinate Korn, ricordando i Fear Factory meno epici e melodici nelle accelerazioni di “Dog” e “Onslaught” e guadagnando brutalità pura con una batteria "sintetica" e con una voce molto spesso filtrata. Post metal a temperatura zero ma ribollente di caos interiore quello che i Mothercare suonano con estrema lucidità e che anche dal vivo sembra promettere bene.
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De Dieux /\ SuccoAcido