Elisabeth Esselink è olandese. Vende dischi ad Amsterdam. È una donna determinata e ben orientata. A dispetto del tratto infantilistico che marca tutte le sue opere, vocina da bimba dall’aplomb britannico – il segno di un’attitudine ludica che diventa suo malgrado ricerca, tessuto connettivo di un paradossale divertissement iperrealista! –, lei distrugge ogni plausibile vaghezza referenziale per riportare tutto, e sempre, su di se. Carattere si chiama. Nuova logica forma-canzone… vecchi vinili fruscianti (brutti porci feticisti, sapete cosa intendo!), stralci di talk show televisivi, film, rumorismo di strada, grugniti non identificabili. Oggi è matura, e il frenetico cut’n’paste che caratterizza le sue opere (Solex Vs the Hitmeister, Pick Up), che all’alba poteva anche tingersi di naif, ora diventa compiaciuto smacco identificativo. Low Kick and Hard Bop è l’ultimo lavoro. Rock’n’Roll, Be Bop, Soul… Technicolor-Pop-Songs. E poi, è bella.
SA: Negli ultimi anni l'Europa si è rivelata fucina di musica finalmente con tutta la sua tradizione epigenetica alle spalle; per quanto derivativi gruppi come Deus, Motorpsycho etc, mostrano caratteri fortemente intrisi del territorio... Che ne pensi?
S: Dal momento in cui le Majors targate USA -fin dal 1950-, si sono impossessate del mainstream della Pop Music, è ovvio che ne abbiano anche segnato prepotentemente il destino. Divertimento allo stato puro: basso, batteria, chitarre e voce. Tutto qui! Musica popular per grandi masse. Ne consegue che il bisogno di sperimentare per le bands statunitensi era praticamente nullo. In Europa invece quest’esigenza è stata sempre molto sentita, non potendo (e non volendo!) battere l’America nel produrre poprock di vecchio stampo. Il 1980 ha messo in gioco nuove forze. Bands come Kraftwerk e altri diventano cool negli Stati Uniti. Nell’ultima decade l’interesse nella musica europea stile 80’s è cresciuto a dismisura, ed è elettrizzante notare come molti ragazzini americani conoscano gruppi europei di cui io stessa non conosco nulla. Cose come Kleenex, Neu! etc… Inoltre la recente attenzione della grande audience per bands come Echo and The Bunnymen, Joy Division e Human League ci da la misura di cosa si stesse preparando in Europa in quegli anni, mentre loro si trastullavano ascoltando Bon Jovi, Aerosmith e Reo Speedwagon. Suppongo che l’Europa abbia concorso non poco alla tendenza allo svincolamento dagli schemi che guida oggi molti gruppi d’oltreoceano. Ad ogni modo non c’è da biasimare nessuno, se negli ultimi anni hanno perseverato nell’ascoltare Limp Bizkit, quando avrebbero tranquillamente potuto cimentarsi con Solex…
SA: Da più parti ti si assimila a Beck: io penso piuttosto a progenitori comuni. Quali sono le tue radici?
S: Ti spiego, facciamo entrambi cut’n’paste. Fin dall’inizio Beck ha fatto sfoggio della sua passione per il Country, e dopo, più di recente per Hiphop, B-boying ed Heavy Rock di matrice 80’s. In un certo senso la sua musica è ampiamente più convenzionale della mia. Non sono mai stata realmente fan di qualche particolare tipo di musica. Mi piace Chet Baker, ma non significa che il Jazz mi piaccia più di tanto. Infatti non farei mai un disco di Jazz… Ne puoi dedurre che non ho radici particolari, musicalmente parlando. Lui si. Il fatto che si usi le stesse tecniche non prevede necessariamente un’assimilazione automatica.
SA: Ha ancora senso, conservando credibilità, parlare di pop al giorno d'oggi, o non risulta meno anacronistico parlare invece di "antiquariato"?
S: Il Pop non morirà mai.Credo nell’eterno bisogno che hanno le persone di ritornelli da poter cantare, di cliché con cui misurarsi. Il mondo darebbe di matto se fosse costretto ad ascoltare sempre infinite solfe Dance! Penso che il Pop migliore sia al momento l’Hiphop... Ritmo scalmanato e invitante, grandi performance vocali. Riescono perfino a disintegrare le strutture convenzionali di una canzone, pur restando Pop: non più strofa-ritornello-solo-ritornello-ritornello. Una pop song commerciale come Bootielicious delle Destiny’s Child è quasi avanguardia, a mio modesto parere!
SA: Il taglio sardonico e divertito, che pervade i tuoi lavori, è solo ironia? Ritengo che ad un secondo livello di lettura risalti un certo gusto per la critica...
S: Potrebbe sembrare ironia, ma in effetti non lo è. E’ solo un tratto della mia personalità: devo fare tutto a modo mio. Se avessi voluto agire come chiunque altro, avrei di certo fallito. Faccio cose divertenti sui miei dischi, semplicemente perché suonano bene; e questo suona sempre logico per me. Ma ti assicuro che non è roba sulla quale mi scervello più di tanto…
SA: Che tipo di processo creativo presiede ai tuoi dischi: come combini l'immediatismo del R'n'R con l'attitudine ricercativa del Cut'n'Paste?
S: Ho sempre lavorato d’istinto. Procedo grosso modo così: seleziono i campioni che più mi piacciono e li metto nel posto che meglio gli spetta all’interno della song. In realtà è più una questione di gusto che non di tecnica.
SA: Come sei giunta alla Matador?
S: Devi sapere che ad Amsterdam ho un negozio di CD di seconda mano, li compro ad un asta… Un bel giorno i prezzi erano così alti che non riuscii a comprarne neanche uno! Ero abbastanza scazzata, ed alzai la mano quasi automaticamente quando stavano proponendo un registratore ad otto tracce e un vecchio campionatore. Non ti dico la felicità! Tornai a casa eccitatissima e lavorai di getto tutta la notte. Nel giro di un mese avevo pronte già quattro canzoni che misi su un demo. Spedii dieci demo e ricevetti ben cinque offerte da diverse etichette. Scelsi la Matador perché furono così carini da accludere un biglietto aereo… Tra l’altro mi piacevano la maggior parte dei gruppi già in Label.
SA: La tua idiosincrasia per le forme ritmiche tradizionali esita in qualcosa di tondo e di logico: si può sfuggire alle forme? Ti interessa?
S: Come avrai intuito, cerco sempre la soluzione meno ovvia. In questo modo uso temi che mi suonano logici pur risultando magari bizzarri per altri… Ma i miei dischi, ascoltandoli a lungo, finiscono per disvelare la loro logica interna a tutti. Sai, molte persone ritengono che le mie canzoni siano sperimentali. In realtà non è così… Pick Up è il mio disco più orecchiabile, ed era il mio preciso intento.
SA: L'ossessione per la disintegrazione della forma classica di canzone è un'inclinazione naturale o espressione di una qualche corrente culturale che ti ha influenzato?
S: Chiamalo fatalismo, ma quando una canzone è finita, è finita. Se questo significa un solo ritornello, ci sarà un solo ritornello. Se finisce dopo un minuto e mezzo, è giusto che si chiuda lì. Credimi, non esiste cosa peggiore della ridondanza superficiale trasposta in musica.
SA: Puoi dirmi qualcosa circa la scena di Amsterdam? So che c'è molta vita da quelle parti...
S: Ci sono un paio di buone guitarbands che fanno ottimi dischi. I Daryll Ann fanno un Pop basato sul sound settantino della Weastcoast. Poi ci sono gli Arling e i Cameron che fanno Japan Pop. I Bauer fanno rock con sfumature elettroniche. In Olanda le radio sono sature di gruppi che cantano in olandese. Cantano in olandese e suonano come i Pearl Jam! Al momento l’underground olandese è un fenomeno contenuto. Probabilmente perché tutto resta sommerso e i gruppi si impigriscono.
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