Delineare la storia del gruppo olandese Ex non significa soltanto ripercorrere 20 anni di cultura alternativa musicale e politica europea, ma rappresenta un esercizio istruttivo di per sé. Può insegnare a tutti come sia possibile per un gruppo evolversi in direzioni sempre più ampie e inizialmente inaspettate mantenendo al tempo stesso una coerenza creativa e in parte stilistica assolutamente riconoscibili. In fondo, quanti gruppi nati dall’esperienza punk di fine anni ’70 sono stati capaci di evitare le due trappole principali: la nichilistica autodistruzione dopo il breve e intenso fuoco della ribellione, o viceversa la sopravvivenza come dinosauri della scena alternativa? Dal 1979 al 1984 gli Ex si fanno conoscere come band anarco-punk legata al movimento degli squatters olandesi. I testi sono abrasivi come la “musica”, dissonante, fortemente ritmica e legata alla tradizione più radicale e noise del post-punk inglese; l’espressione musicale è accompagnata da una comunicazione controculturale a 360 gradi, attraverso poster, opuscoli, ecc., poiché il gruppo si sente parte di un progetto collettivo di cambiamento sociale. L’apertura contraddistingue comunque sin dall’inizio l’approccio del gruppo e gli impedisce di fossilizzarsi: gli Ex si pongono come spazio di incontro continuo tra esperienze e persone. Nel 1984 esce Blueprints for a Blackout in cui emergono esplicitamente alcune coordinate che dal punk iniziale lo mettono in comunicazione con approcci musicali diversi; vengono introdotti da una parte strumenti assolutamente insoliti per una punk band come il violino, l’oboe o la marimba, dall’altra la struttura dei pezzi si fa più complessa e contaminata dall’improvvisazione in studio. Verso la metà degli anni Ottanta gli Ex sono tra i primi a incrociare collaborazioni con musicisti e tradizioni musicali di altre culture – una scelta che andrà sempre più a intensificarsi con gli anni- : si tratta del singolo “Enough is enough” con il gruppo curdo Awara. La ricerca di connessioni si orienterà in direzioni multiple: collegamenti e collaborazioni musicali con artisti di vari paesi e culture; collegamenti e connessioni con le tradizioni storiche di resistenza politica e culturale (ad es. la rilettura della storia anarchica a cui è dedicato lo stupendo progetto di The Spanish Revolution, 1986, che presenta un libro di documentazioni fotografiche tratte dagli archivi del CNT catalano insieme a un doppio singolo di cover di brani della resistenza spagnola antifranchista); collegamenti con artisti che a partire dal loro diverso background formativo sono disposti a collaborare creativamente con gli Ex. In particolare è importante la collaborazione che dagli inizi degli anni Novanta gli Ex intessono con il violoncellista e improvvisatore newyorchese Tom Cora e che lasciano meravigliosa traccia in Scrabbling at the Lock (1991) e And the weathermen shrug their shoulders (1993). Ormai è anche chiara la fine della scena indipendente nella sua accezione di controcultura, autogestione e autoproduzione; il 10” “Dead fish” (1990) aveva già sancito sarcasticamente il commento degli Ex su chi pretendeva di mantenere in vita una scena cosiddetta “indie” che di indipendente non aveva più nulla. Ma la risposta a questo declino non è, nel caso del gruppo olandese, il cinico passaggio a un’ottica commerciale, ma la risposta creativa creando nuovi contesti e nuovi pubblici. Sicuramente le collaborazioni live con Lee Ranaldo e Thurston Moore dei Sonic Youth prima e poi il progetto con Tom Cora aprono agli Ex la partecipazione a manifestazioni e festival che si propongono per l’appunto la sperimentazione di territori ibridi, tra noise, jazz radicale, improvvisazione e performance: un caso è il festival Dissonanten a Rotterdam (1989), poi le innumerevoli esperienze dal vivo con Tom Cora e progetti collaborativi sia come Ex sia dei vari componenti. Gli anni Novanta sono caratterizzati da questa disseminazione continua e anche dal riconoscimento degli Ex come gruppo creativo tout court, tanto che la NPS olandese commissiona loro un’ora di musica e promuove concerti con l’Instant Composers Pool di musica improvvisata. Ormai cultura alta, musica contemporanea, spirito punk, dissonanze sonore hanno perso, almeno per certi artisti, la loro fissità ideologica. La fine degli anni Novanta vede gli Ex sbarcare in America attraverso la registrazione del nuovo Cd Starters Alternators, prodotto da Steve Albini e distribuito da Touch and Go. E’ l’occasione per far conoscere finalmente gli Ex anche negli Stati Uniti, e dalle connessioni con la scena di Chicago nasce anche il più noto progetto collaborativo degli ultimi anni: la collaborazione di Ex e Tortoise per In the fishtank (1999). In Italia, dopo alcuni anni in cui degli Ex si era sentito meno parlare, forse proprio per la crisi del circuito alternativo che aveva inizialmente fatto circolare la musica degli Ex, è proprio questo disco che rinvigorisce l’interesse del pubblico che, orfano della scena punk, si è in gran parte disperso nelle più varie direzioni. Ma gli Ex – e la loro storia ventennale sta a dimostrarlo – non hanno certo bisogno della sponsorizzazione post-rock- per legittimare una evoluzione e apertura creativa che ha pochi raffronti in Europa. Gli Ex stanno per tornare a suonare in Italia. Quella che segue è un’intervista fatta per posta con Luc, poco prima della loro nuova tournèe.
Intervista con Luc degli Ex
D: A parte la recente collaborazione con i Tortoise per il cd “In the Fishtank” mi sembrava che foste stati meno attivi sul fronte delle uscite discografiche. In realtà vi avevo perso di vista dopo la straordinaria collaborazione con Tom Cora. Poi invece ho scoperto che avete fatto uscire nel frattempo “Mudbird shivers” (1995), “Instant” (e altri ospiti, 1995) e “Starters Alternators” (1998). Me ne puoi parlare? Pensi che queste uscite abbiano ricevuto meno attenzione in Europa (o in Italia)? E dal momento che i vostri concerti dal vivo e le collaborazioni a tutto campo sono state quanto mai prolifiche in questi ultimi anni, qual è il vostro approccio rispetto alla relazione tra concerti dal vivo e registrazioni?
R: La musica e l’operato degli Ex non è facilmente inquadrabile in periodi annuali. C’è una ciclicità periodica più ampia. E poi non lavoriamo con programmi a lungo termine. Ci sono momenti in cui suoniamo moltissimo dal vivo e altri in cui ci concentriamo sulla registrazione o su progetti individuali. Negli ultimi anni alcuni componenti degli Ex hanno anche avuto dei bambini, il che comporta limiti sia fisici che di tempo disponibile. Gli ultimi Cd che abbiamo fatto uscire sono stati distribuiti bene almeno nei limiti in Europa e negli USA. Non so perché tu non ne abbia sentito parlare molto. Forse perché non ci hanno chiamati a suonare per qualche anno da voi. Adesso invece ci torniamo. Rispetto alle registrazioni o ai concerti, il nostro approccio è diverso. Un Cd lo ascolti da solo in auto o a casa. Un concerto è un’esperienza che condividi con altri nello stesso momento e in spazi che normalmente non ti sono così familiari. La differenza è significativa.
D: Un altro aspetto che mi sembra evidente è il vostro approccio radicalmente aperto sul significato di “band” e su cosa significa vendere dischi come “band”. Probabilmente gli Ex sono sempre stati come un incrocio o almeno hanno lavorato in modo abbastanza comunitario, quasi un collettivo ibridizzante. Questa idea di “band” c’era già dall’inizio oppure si è sviluppata in modo sempre più molteplice? E se questa evoluzione si è veramente verificata quali circostanze l’hanno favorita?
R: Per quanto mi riguarda non è cambiata sostanzialmente. Molte cose sono cambiate nel mondo ma non il nostro modo di lavorare. Credo che la nostra musica cambia continuamente e si sviluppa costantemente, ma non il nostro approccio o la collaborazione con altre persone. Forse siamo diventati più efficienti, professionali, meglio organizzati, ma i principi di fondo rimangono gli stessi.
D: Forse (è una mia ipotesi) la vostra minore visibilità nel circuito underground italiano è dovuta al fatto che vi siete mossi oltre la rete originaria di distribuzione politica legata al punk-rock. Può essere che è stata quest’ultima a scomparire, costringendovi quindi a rimettere in discussione gli spazi in cui volevate agire o a cui volevate appartenere? Nel frattempo avete abbracciato, assorbito e mutato un’infinità di stili, dalla musica etnica mondiale (vedi il progetto dei singoli, le collaborazioni con artisti palestinesi, curdi, africani, dell’Europa dell’Est) ad artisti della scena radicale e free jazz, o della musica improvvisata. Eravate scontenti del movimento underground iniziale oppure lo volevate spingere oltre i confini eurocentrici o meramente di ribellismo punk maschile?
R: Credo che sbagli nell’interpretare intellettualmente la cosa. Tu supponi che prima si decide a quale scena si appartiene e poi ci lavori. O che si faccia della musica per sostenere un certo gruppo di persone o una scena. O che si dipenda da una determinata scena sociale. Non è così. Facciamo la musica che vogliamo, diciamo quello che vogliamo e poi vediamo chi è d’accordo con noi, chi ci invita a venire a suonare ecc. Detto altrimenti, facciamo sostanzialmente musica e non facciamo musica per sostenere un movimento particolare, ad esempio politico. In pratica questo significa che di solito siamo invitati dagli organizzatori più vivaci, che di solito dipendono da un’organizzazione stimolata dall’entusiasmo. Possono essere organizzazioni politiche, festival jazz, associazioni di world music. A noi interessano tutte e non ci va di essere limitati a una sola situazione. Quindi se nessuno del cosiddetto movimento underground ci chiama, il problema è più loro che nostro.
D: Il vostro 10” “Dead fish” parlava del “declino della scena indie”. Ne lamentate la perdita oppure siete favorevoli all’apertura verso la molteplicità delle culture? E come è possibile incrociare e ibridizzare radicalmente le musiche senza cadere in una sorta di blando internazionalismo? Come ci riuscite secondo voi?
R: I testi di “Dead fish” erano un commento a ciò che è successo ai cosiddetti “indipendenti”, che si proclamavano tali ma si comportavano esattamente come le majors. Non erano indipendenti affatto ma anzi dipendenti da chi aveva più denaro. Le grandi compagnie discografiche si sono accorte improvvisamente che potevano fare parecchi soldi dalla scena indie. Non ne lamentiamo la perdita. Come non ci lamentiamo dell’autunno e del declino delle stagioni. Dopo un po’ capisci che le scene, come quella che hai chiamato “l’iniziale movimento underground”, e anche la scena indipendente possono essere molto vitali in un certo momento, ma questo non significa che la situazione rimarrà così. Come può essere stimolante prima, può essere in declino e morta dopo, come tutte le cose terrene: ha il suo apogeo e la sua scomparsa. Tutto molto naturale, e molto salutare!
D: Come siete stati accolti ai vari festival jazz dove avete suonato o dalla scena d’avanguardia e di musica improvvisata che avete incrociato? Avevate la sensazione di dovere essere accettati da un pubblico con altre aspettative oppure è successo molto naturalmente?
R: Sostanzialmente il pubblico è il pubblico. Non importa come sono vestiti, cosa pensano o di che colore hanno i capelli. Ogni pubblico è diverso ma anche molto simile e quindi difficile da paragonare. Questo è il bello della vita di un musicista.
D: Penso che la vostra collaborazione per il disco con i Tortoise possa rischiare di mettere in ombra gli altri incroci forse meno prominenti ma non meno fruttuosi con altri musicisti e altri stili (ad es. i concerti dal vivo con il trio del Mali, Lanaya). Pensi che quel progetto sia stato solo occasionale e utile a far conoscere al pubblico “post-rock” gli Ex? E’ stata anche una conseguenza dei vostri crescenti rapporti con gli USA (la scena di Chicago, la Touch and Go ecc).
R: E’ vero che la collaborazione con i Tortoise sta ricevendo molta attenzione e sta vendendo più di altri progetti. Questo è dovuto sicuramente alla maggiore popolarità dei Tortoise. Non credo che metta in ombra i nostri altri incroci. Dobbiamo accettare il fatto che una collaborazione sia per alcuni più accettabile di altre, mentre altre possono essere “troppo difficili” o “troppo astratte” per un pubblico più pop e regolare. Non è un problema. D’altro canto abbiamo appena creato una big band di venti elementi che suona solo musica degli Ex (è stato un grande successo e presto uscirà un Cd). Dico questo perché nessuno di quei favolosi musicisti aveva mai sentito parlare dei Tortoise. Quindi ogni affermazione dipende sempre da dove ti trovi.
D: Dopo quasi dodici anni che programmi avete di tornare a suonare in Italia? Perché un lasso di tempo così lungo? Avete avuto problemi con gli organizzatori italiani, con i centri sociali o è stato a causa dello scarso interesse? Avendo organizzato l’ultimo sfortunato tour dei Dog Faced Hermans anni fa, ho sentito molto la mancanza di gruppi come quello o come gli Ex. Come vedete l’Italia dall’esterno e la sua scena musicale “alternativa”? E’ ancora un posto interessante dove suonare oppure si è ripiegata rispetto all’Europa, secondo voi?
R: Beh, siamo venuti a suonare l’anno scorso. In ogni caso, è vero che era passato molto tempo dall’ultima volta. Non c’erano motivi particolari. Non siamo stati invitati e del resto abbiamo suonato in molte altre parti del mondo. E’ stato Massimo a chiedercelo l’anno scorso e ne siamo stati molto felici. E’ stata una visita molto bella e piacevole. Siamo stati sorpresi dell’entusiasmo e dell’atmosfera amichevole in Italia. Ci è piaciuto talmente che abbiamo immediatamente accettato di tornarci quest’anno. Ed eccoci qui.
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