Padania in flames...
Viaggio tra le meraviglie di Bar La Muerte Records
Si sente qualcosa di strano giù nella bassa. Aleggia nell'aria un qualche profumo, acido e pungente, che sa come di plastica e poesia, di malinconia e sorridente non-sense... un profumo che penetra silenzioso negli squadrati alloggi medio-borghesi, intrufolandosi in quelle misteriose stanzette piene di poster, riviste, CD, videogames e manga giapponesi...
.....tendo un orecchio e mi accorgo che non di profumo si tratta, ma di suono: è il folk rock surreale di Bugo e quello cyber-trash dei RUNI, quello ai limiti dei noise dei Wolfango e la circense no-wave delle Allun... geografie: piccoli mostri sparsi tra il Po e il Ticino, là ove le pianure parlano di piattume e velocità, di surrealismi genuinamente provinciali e schizzi post-moderni... qui più che altrove l'uomo ha 'subito' l'invasiva ossessione degli oggetti del quotidiano, moltitudini grottesche che di colpo prendono voce ed anima - minuscoli eserciti prodotti in serie, corredati di stili di vita squilibrati e frenetici - intenti ad invadere la (sub)coscienza dell'individuo per immergerla nel mare oscuro dello smarrimento e della più allucinata solitudine, smaterializzandosi, diventando essi stessi 'stadi dell'essere'... è da questa particolare battaglia che nascono testi macchiati da un'ironia tanto paradossale quanto modernisticamente grottesca, rime dementi assassine, riso, nostalgie, parole parlanti... insomma, ecco a voi...
'Passando accanto a queste case, sento odore di tute indossate al posto dei vestiti, un odore di videocassette, di cani in giardino a far la guardia e pizze già pronte dentro scatole di cartone'
da 'Caro Diario', di Nanni Moretti
'Sei in macchina... che cassetta metti nell'autoradio?'
'Non ho l’autoradio, mi accontento del ritmo indiavolato del tergicristallo'
Bugo, da un'intervista rilasciata a Rockit
RADICI
Una scena per essere tale ha bisogno di padri ispiratori, precisa collocazione geografica e comuni denominatori stilistici. Le band di cui tratterò (Bugo, R.U.N.I. Wolfango, e anche Allun e oVo, nonostante per questi ultimi si debba fare un discorso a parte) possono a ben diritto venire collocate entro i canoni di una 'scena' ben definita, che gravita intorno a Bruno Dorella e lla sua etichetta, Bar La Muerte.
Innanzitutto per le comuni coordinate geografiche: tutte queste band si collocano sul già citato asse Torino-Milano, ovvero la 'bassa' padana. Apriamo a questo punto una piccola parentesi socio-geografica: la Regione Lombardia è una tra le più ricche zone industrializzate del pianeta, il suo reddito annuo pro-capite è addirittura superiore a quello del Giappone o della Svizzera. L'Hinterland milanese è una specie di megalopoli medio-borghese che pare geograficamente - e socialmente - simile a qualsiasi altra periferia di grande città, sia essa americana o giapponese, o di qualsiasi altra in occidente. La bassa padana quindi, essendo una terra economicamente ricca, è di conseguenza intensamente colonizzata dalla cultura del villaggio globale. In termini di cultura giovanile tutto questo si traduce in attaccamento sfegatato a quello che Colin Campbell definì 'edonismo immaginativo autonomo' (ovvero la proliferazione di MTV, videocassette e Playstation, CD e lettori portatili, internet...), fenomeno che trova riscontro in ambito sociale dall'avvento di una cultura giovanile come non mai consumista, ma allo stesso tempo 'tecnologizzata', ovvero interessata in prima persona al funzionamento e all'utilizzo-personalizzazione di queste tecnologie e di questi macchinari (si pensi al numero cospicuo di programmatori informatici, soprattutto dilettanti, ma anche alle registrazioni casalinghe fai-da-te, audio e video...).
Ora, al di là del feticcio proto-culturale rivolto agli adolescenti, per capire meglio gli artisti in questione dobbiamo prendere in considerazione tutta una gamma di oggetti del quotidiano che con l'avvento del terziario diventano alienanti proprio per la loro 'fruizione-adorazione', piuttosto che per la loro 'produzione'. E' un discorso difficile, e il sottoscritto non è certo un sociologo. A riguardo vorrei però citare un caso cinematografico abbastanza chiarificatore: 'Fight Club' di Fincher, ove l' 'uomo a una dimensione' Ed Norton ha come unica preoccupazione quella di riuscire a trovare 'una cucina adatta alla propria personalità'.... nonostante l'evidente caricatura del caso, ci troviamo di fronte ad un aneddoto capace di rendere abbastabza chiaro il concetto: nella socità contemporanea l'oggetto del quotidiano - il bene di consumo di produzione industriale - diviene specchio di uno 'stadio psicologico', specchio delle proprie idee e dei propri (a volte infondati) bisogni: specchio di noi stessi quindi, ne più ne meno. Tanto che talvolta ci si ritrova di fronte a quella che - marxisticamente parlando - potremmo definire come una sorta di 'alienazione', di spaesamento, scaturito proprio dall'ansia consumistica che i modelli di vita medio-borghesi comportano - modelli che si fanno ancora più 'radicali' dopo l'avvento dell'era di internet e di nuovi personal computers capaci di trasferire l'utente in un ruolo 'attivo' di fronte al mezzo di comunicazione, ma dietro al quale non si trova null'altro se non un nuovo universo di prodotti, particolarità, stranezze che a poco a poco egli può scoprire vagando nel panteon infinito dell’ibrido ‘consumismo-erudizione’ via web. Si viene così a determinare un immaginario collettivo nuovo, confuso. La constatazione di Adorno e Horckheimer - secondo i quali l'oggetto di consumo nella società di massa è assunto a nuova metafisica - è in qualche modo superata, in quanto i nuovi feticci ‘socio-culturali’ acquistano un'importanza addirittura 'fisica', 'interiore', trasformandosi da futili gadget vagamente idolatrati a beni necessari per la stessa sopravvivenza dell'individuo - o più che altro alla sua 'sopravvivenza sociale' - quasi alla pari di altri strettamente necessari (il cibo, il sonno), assumendo così le forme di un'ossessiva mania, a tratti addirittura quelle di un alter-ego meccanico (personal computers e non solo... riflettete un attimo sul passatempo informatico-vivente che fu il 'tamagochi'...). Accade così che questa frammentazione mediatica e consumistica, così influente sull'immaginario collettivo e quotidiano dell'uomo occidentale, arrivi in certi casi ad una rappresentazione 'estetica' particolare. E' infatti questo caos consumitsico-mediatico che si trova al centro della poetica di Bugo e delle altre band in questione. Proviamo a prendere in esame alcuni testi del primo, cantautore 'deviato' di Trecate (NO) da molti visto semplicemente come fenomeno divertente del circo underground italiano, ma capace di dar risalto con i suoi testi all'alienazione da consumo della periferia italiana: "quante menate che mi faccio/quali sono i miei bisogni?/e mi dedico allo spaccio/di merendine e di sogni". Oppure prendete la love song intitolata "benzina mia". Dietro all'insistente naturalezza e spontaneità di questi versi non è difficile intravedere il contesto socio-economico in cui opera il nostro. In certi casi si va addirittura oltre all' 'oggetto di consumo', ed è l'immaginario del quotidiano - di qualsiasi tipo, fisico o astratto (per esempio un toponimo: Cernusco) - che viene descritto e rivisitato al pari di un'emozione, una condizione psicologica... "le stringhe stringono forte/e io mi sento un solitario". Un gusto per il grottesco che rimanda ogni condizione interiore alla banalità della vita pratica, esprimendo - parafrasiamo Bachtin - la sua funzione comica e abbassante. Ma l'abbassamento vede protagonista anche lo stesso mito del progresso, che appare sminuito e ridicolizzato in un mondo in cui la prima gratta, il cellulare è scarico e in macchina ci si accontenta della musica indiavolata del tergicristallo. Bugo con i suoi testi - mai demenziali quanto piuttosto vivacemente surreali e grotteschi - non fa che esprimere il disagio individuale nella periferia del villaggio globale, ironizzando al tempo stesso sul ruolo del cittadino e del progresso nell'ambiente sociale contemporaneo.
FIGLI DI ELIO E DI FERRETTI
Ma veniamo prima di tutto alle influenze di Bugo, R.U.N.I. e Wolfango, prima di addentrarci in un'analisi delle singole band (parlerò di influenze sul piano dell'immaginario, piuttosto che sul piano strettamente musicale). Su tutte quelle possibili me ne vengono in mente due, non a caso le più posteriori a livello cronologico di tutte quelle possibili: C.C.C.P. ed Elio e le Storie Tese.
I primi, dissacranti icone punk, voce di una generazione e della più tetra angoscia da periferia (basti pensare allo spleen immortale di Emilia Paranoica, forse la più grande canzone rock mai stata scritta in Italia) sono un referente d’obbligo. I filoni di collegamento sono innumerevoli: la già citata ‘piattezza mortuaria della periferia’ (una tematica tutta 'padana', se la segni Bossi), il gesto quotidiano borghese (quello - per esempio - del Ferreri di ‘Dillinger è morto’) visto sia come gabbia dell’io, sia come condizione tragicamente necessaria alla propria realizzazione individuale, sia - soprattutto - come nichilistico processo di smascheramento dell’insensatezza del vivere e della finzione del ruolo sociale (‘non studio non lavoro non guardo la TV non vado al cinema non faccio sport’, ‘colorati i capelli, riempiti di borchie, rasati i capelli, crepa’). Alcune differenze sostanziali separano però le band in questione dal provincialismo macabro-nichilista dei C.C.C.P. : in primo luogo la band di Zamboni e Ferretti poteva ancora esprimere l’estraneità dai meccanismi del potere rivelandone l'infondatezza dell'ideologia, il falso dogmatismo, il paradossale processo di auto-mantenimento. Al contrario Bugo, i R.U.N.I. e il nuovo underground italiano, anche quello apertamente schierato, non tirano mai in ballo nè la politica, ne l'ideologia, nè il potere, proprio perché non sanno (non sappiamo) più che cosa sia, il potere. Contro chi prendersela? I politici? Le multinazionali? L’ossessione tecnologica? La proliferazione mediatica? qualche clown-spauracchio già satirizzato da tutte le sinistre? (naturalmente sto parlando dei CCCP, non dei CSI...). Tutto questo non potrebbe che apparire banale. Semplicemente - e comprensibilmente - si sceglie la via del silenzio. Poi, mentre i C.C.C.P. erano i cantori di un’apocalisse imminente, di una fine del mondo (idealistico e reale) che spaziava dal fallimento dei fratelli sovietici sino agli orizzonti del nuovo trionfante regime tencologico-scientifico americano (la post-umanità kubrickiana, più che la fine del mondo la fine dell’uomo, per non parlare di tutti i trend del 'dopo-bomba' che hanno riempito le hit parade degli anni 80), le nuove band sono proprio i frutti di un’altra apocalisse, l’unica storicamente avvenuta, quella di stampo ‘socio-culturale’ delineatasi sulle macerie della caduta del Muro, in cui ogni polarità o dualismo di tipo etico, estetico e politico è stato irrimediabilmente spazzato via, ricoperto dall’assordante suono del post-moderno. Che in realtà altro non è che la polifonia di innumerevoli voci provenienti dai più vari strati etnici e sociali, costantemente intente a mischiarsi, rigenerarsi, mutare in mille forme nuove e impensabili prima. Nonchè da migliaia di nuovi referenti giovanili, fuori e dentro la moda o il mainstream, dall’alto al basso, ovunque. Si passa insomma da un angoscioso e intenso senso di fine ad una semplice e a volte sfocata sensazione di spaesamento, caos, confusione. E’ in questa nuova fase culturale dell’Occidente che sono da collocare i secondi referenti in precedenza citati: non i più rappresentativi, certo, ne' i più 'profondi', 'intellettuali' o 'significativi', ma di certo tra i più peculiari, capaci in un certo senso di avere trasformato il proprio nome in vero e proprio termine di paragone per chiunque si avvicini alla satira, alla critica beffarda, o più semplicemente a qualsiasi tipo di materia comica passando dal rock, almeno in Italia: Elio e le Storie Tese. Con loro la satira diventa barzelletta, l’angoscia si tramuta in ridicolo spauracchio grottesco. Il governo di ‘Super-Giovane’ è un governo informe, sradicato da ogni contesto storico-politico, visto al pari dei 'matusa' come semplice nemico della goliardia giovanile. Di contro all’inno completamente idealistico dei C.C.C.P., gli elementi più suggestivi delle liriche di Elio sono da rintracciare in una surreale rivisitazione della bassezza della sfera del quotidiano: il borsello di budello, i vitelli dai piedi di diverso materiale, il fantasma formaggino che diviene protagonista di una parodia dell’horror. Ma l’elemento caratteristicho dei testi di Elio è soprattutto il gioco tra ragazzi e ragazze, il divertente scherzo licenzioso che si esprime vividamente in ambito sessuale e amoroso. Si tratta in pratica di situazioni comiche adolescienziali, poco rilevanti in termini di visione del mondo e presa di coscienza artistica, ma altresì perfette dal punto di vista formale: rimangono dei classici (di serie B) la parodia delle storie d’amore di 'Servi della Gleba', quella dei trend giovanili di 'Il Pippero', quella della canzone di denuncia di 'La Terra dei Cachi'. E’ tuttavia un modo di veicolare le idee di gusto tipicamente poplare e goliardico, e proprio qui sta il principale punto di collegamento con i 'compaesani' Bugo, Runi e Wolfango.
BRUNO DORELLA & Co.
Passiamo adesso a musicanti ed etichette. Iniziamo coi Wolfango, trio voce/basso/mezza-batteria di Milano, ai quali partecipa in veste di batterista il futuro manager di Bar La Muerte, Bruno Dorella. I Wolfango sono una rock-band piuttosto atipica, autori di due dischi asprissimi, il primo omonimo nel ‘97 e ‘Stagnola’ nel 1999, entrambi prodotti dagli stessi C.C.C.P. (eccoli) che riscossero vivaci consensi da buona parte del rock italico del 'sottosuolo'. Soprattutto per i testi, dato che la musica è il più delle volte alle soglie del dolore sonoro, disarticolata, nodosa, pestata e noiseggiante, quasi una parola in più ad arricchire il già radicale non-sense delle loro assurde sentenze. Un non-sense però più vicino all'Elio del primo periodo che alle follie concettuali di Zappa, Beefheart e della No-Wave, il tutto adeguatamente aggiornato al clima demenziale (lo Zelig) della Milano ‘da digerire’ di quello che fu il periodo di riflusso di Mani Pulite. Prendiamo in considerazione i testi di Wolfango, del 97: "Cresceranno i nostri sogni/ come fiori sotto la pelle/ voleremo nell'universo/ canteremo come frittelle" (Interstellar); oppure "ozio/ preferisco stare in ozio/ che volare nello spazio/ ai confini con il lazio/ preferisco stare in ozio/ che rinchiuso in un negozio/ ad intrappolare spazio/ strazio!" (Ozio): quasi un manifesto programmatico dell'essere slacker. Si veda soprattutto la mancanza di idee portanti, di punti fermi, di cui fu precursore prima-del-tempo il già citato 'non studio non lavoro...' dei C.C.C.P. Ma ciò che più ci interessa è la funzione dell'oggetto del quotidiano come indicatore dell'angoscia individuale: "le nostre strade/ sono lastricate/ di vermi e di lamponi/ i nostri sogni/ sono diventati/ dei grossi minestroni"; ma soprattutto la disarticolata e assordante Batman e Robin "Stamattina alle 8:30 c'era Batman in televisione/ io l'ho perso maledizione/ con il bat-televisore/ con la bat-lavatrice/ con la bat-impastatrice/ con la bat-friggitrice...". Ascoltate le voci allucinate che sbraitano questi versi, e vi apparirà evidente il ruolo che occupa l'oggetto del quotidiano (reale o astratto che sia) nell'immaginario di queste band.
Scioltisi i Wolfango, Bruno Dorella continuerà la sua avventura nell’underground fondando l’etichetta Bar La Muerte, co-produttrice di quasi tutti i dischi di Bugo, R.U.N.I. e Allun.
E’ proprio con queste ultime che si inaugura il sodalizio Snowdonia - Bar La Muerte, in occasione del loro disco di debutto Et Sise, del 1999. E’ evidente l’impronta arty-nichilistica della band: nome del gruppo e titolo dell’album letti al rovescio formano infatti la frase ‘nulla esiste’. La musica delle Allun - caotico no-rock dal gusto punk - è il più delle volte strumentale, o cantata con voce stridula e satanica - quasi a imitazione di un culto orgiastico, o di un sabba di streghe - mentre lo spirito iconoclasta di tali musiche è semanticamente più vicino a un antico coq-a-l'ane piuttosto che alle 'distrutturazioni' musicali del 900. Anche nelle Allun si avverte a tratti una presa di coscienza sul vissuto e sul caos consumistico contemporaneo: è il caso della stravolta ninna nanna free di 'Manichini', in cui questi sono visti quasi come specchio della condizione umana alla fine del 900: "non hanno le braccia, non hanno il cervello, non hanno il naso, non hanno le orecchie... non possono niente!". Stefania (voce e violino) rivelerà poi che il pezzo è stato semplicemente ispirato da alcuni manichini che riempivano la stanza in cui suonavano. A ben vedere le Allun, e il successivo progetto di Stefania, gli Ovo, (che la vede affiancata da Bruno Dorella e Jacopo Andreini) si distanziano leggermente dal resto della scena per un'impronta meno espressiva e più arty, un approccio alla musica e al rock più sperimentale e fine a se stesso. Solo sporadicamente ci si imbatte in piccole scorie di canzone (è proprio il caso di un pezzo come 'Manichini') che ne rivelano il background culturale d'appartenenza. I riferimenti macabro-quotidiani poi sono anche il punto di forza degli spettacoli dal vivo delle Allun. Assistitendo ad uno dei loro primi concerti, nel settembre '99, il pubblico del centro sociale Kavalcavia di Novara sarà di sicuro rimasto sorpreso quando 4 strane figure adeguatamente mascherate si videro aggirarsi in mezzo al pubblico. Francesco Vignotto (Blow Up) descrive così quell'esperienza: "Era settembre. Prima che suonassero Francois Cambuzat e Chiara Locardi, nel capannone apparvero 4 figure tutte fasciate e pitturate in faccia. Una agonizzava, trascinata con l'arco della flebo nel polso verso la batteria. Un'altra, vestita a lutto di paese, teneva una candela, sorridendo minacciosa alla gente che aveva fatto cerchio attorno al palco. Una macchina da scrivere prese a macinare senza dattilografa...". Ancora più rivelatrici sono le notizie - tratte dal sito di "Bar La Muerte" - che ci giungono poco prima dell'uscita del loro nuovo lavoro, Onussen: "gli ultimi concerti stanno prendendo una direzione sempre meno musicale, con più spazio alle performance: una Sfilata-Allun è stata organizzata in febbraio a Milano, senza concerto, ed un'altra minisfilata con concerto per chitarra voce ed elettrodomestici è stata tenuta a Massa Carrara". Tornando alla musica, possiamo notare un filo conduttore che lega l'ultimo album, Onussen (ottimamente registrato da Bugo e Jacopo Andreini) al loro primo lavoro, Et Sise. Si tratta infatti di un altro tour de force di art-rock improvvisato, sovrastato da un potente drumming e dalla voce-viola poetica, urlante e naif di Stefania, vero marchio stilistico della band. Il tutto è poi sapientemente arricchito da numerosi inserti di musiche per elettrodomestici (asciugacapelli, campanelli per biciclette... prendete solo la seconda traccia, 'Colazioniste', e troverete un vero inno-rivolta alla società dei consumi). L'oggetto, ancora lui. E qualche eco d'apocalisse (la trilogia della morte...), che questa volta si prefigura però come una grande, definitiva abbuffata neo-(consu)mistica.
A questo punto non poteva mancare una chiacchierata con Bruno Dorella, il personaggio chiave di tutta la scena in questione:
SA: nell'articolo si è parlato di R.U.N.I., Bugo, Wolfango, Allun, Ovo come parte di una stessa 'scena'... essendo tutti gruppi gravitanti intorno a Bar La Muerte - ancor prima che a Wallace e Snowdonia - nonché quasi tutti progetti ai quali tu stesso hai preso parte, mi pare evidente che sia proprio tu il personaggio chiave di tale scena. Facciamo un salto indietro: ci puoi spiegare com'è nata l'avventura coi Wolfango, e in seguito la tua etichetta Bar La Muerte? un'altra curiosità, come hai scoperto Bugo e R.U.N.I.?
BD: Dunque , ci sarebbe molto da dire su tutto questo. Innanzitutto mi fa piacere che tu abbia visto la continuità tra i Wolfango e tutto quello che è seguito come Bar La Muerte. Per me questa continuità esiste innegabilmente. L'avventura coi Wolfango nacque nel più banale dei modi, andai a vedere il loro primo concerto, ed essendo della stessa città li andai a vedere altre volte. Poi qualcuno mi disse che cercavano un batterista, e mi sono proposto, molto prima che arrivasse il contratto coi Dischi Del Mulo. Finita questa esperienza ho deciso di continuare comunque a fare dischi, ma a modo mio, così con quei soldini messi via in un anno e mezzo di concerti ho iniziato Bar La Muerte (che per i primi 2 dischi si chiamò Tijuana , poi dovetti cambiare nome per un'omonimia). Bugo l'ho scoperto appena dopo aver lasciato i Wolfango, per caso. Io ero nella gestione di un piccolo centro sociale a Vigevano (La Sede, n.d.r.), mi trovavo lì un pomeriggio ed arriva questo spilungone con la 2 Cavalli e la chitarra che vuol suonare. Chiede se c'è qualcuno che sa suonare la batteria, ed io mi faccio avanti. Dopo 2 canzoni gli avevo già chiesto di suonare insieme e fare un disco. I R.U.N.I. li ho conosciuti sempre al centro sociale, quando Stefania decise di organizzare un festival di musica sperimentale. Loro vennero a suonare, e quella sera ci fu anche il primo concerto delle Allun. A dire il vero la serata non fu buona per i gruppi, infatti la polizia venne a far cessare il concerto prima che R.U.N.I. e Lab potessero esibirsi, però diventammo un po' amici. Da allora i R.U.N.I. mi hanno aiutato tantissimo, registrando i primi dischi di Allun e Bugo e molte altre cose, prestandosi a fare da session men per Bugo ed altri progetti. Io in cambio produssi l'ep split R.U.N.I. / Bugo. Ad un certo punto il loro rapporto con la Lilium, l'etichetta che aveva stampato il loro primo ep, divenne insostenibile, e decisero di mollare, e venne dunque spontaneo iniziare a fare dischi insieme .
SA: C'è una cosa che non mi quadra, da Vigevano e Trecate Bugo e Bruno si trasferiscono a Milano... perché la fuga dalla provincia? sei d'accordo con Bugo quando dice che il luogo in cui vive è un'influenza forte e (necessariamente) inconscia per i testi e per la musica?
BD: Il luogo da cui si proviene e in cui si vive è fondamentale, senza dubbio. Però io non vengo da Vigevano, ma sono nato ed ho vissuto per 26 anni a Milano. Poi sono stato un paio d'anni a Vigevano. Oggi che vivo in un paesino sperduto dell'entroterra ligure di Ponente, non so proprio come ho fatto a vivere tutto questo tempo in Padania... quindi io ho fatto la mossa contraria a quella di cui parli tu, sono passato da Milano a Vigevano, e da Vigevano ad un paesino di 200 abitanti. Invece è vero che Bugo è passato dalla provincia alla città, ma siamo tutti abbastanza mobili ormai. Quando inizi a girare da un posto all'altro è difficile smettere.
SA: Ho letto che gli Ovo rappresentano per te uno stile di vita prima ancora che una band. Stili di vita... io ancora non ho capito quali vite fanno le band che ho preso in considerazione... medio-borghesi? piccolo-borghesi? borghesi? slackers? schegge creative giovanili? artisti operai? voci della sinistra? reverberi da destra? alto? basso? davanti o dietro? ...insomma, dove ti/vi collocate?
BD: Sicuramente siamo tutti di provenienza borghese (piccola, media o alta non lo so, sono caste abbastanza aleatorie), odio la borghesia ma odio chi nasconde di esservi nato per fare il figo. Si può benissimo nascere borghesi e rinnegare i valori morali della borghesia. Slackers , schegge creative giovanili (e spero anche senili), artisti-operai, queste cose le siamo di sicuro. Però non credo che ci si possa dare una collocazione sociale, perché oggi credo che nessuno ne abbia più una. La triade proletariato - borghesia - ricchi è sorpassata e non si sa come sostituirla, ma chi ne sente la mancanza? Gli oVo sono un buon esempio di quello che è per me lo stile di vita. Si prende e si va a suonare sempre e comunque, non importa se gratis a casa di amici e negli squats o strapagati nei festival d'avanguardia, se il tour dura un giorno o 3 mesi, si può fare tutto finché si è puri ed onesti. Noi non lavoriamo perché il lavoro ed il sistema che lo controlla ci disgustano, credo si possa lavorare solo se si fa un lavoro di cui uno è contento, un lavoro che faccia star bene e gratifichi. Ed è quello che stiamo facendo. "
R.U.N.I.
"Dall'hinterland milanese, 5 persone, 13 strumenti... Sin dal 1994, anno di formazione, i R.U.N.I. hanno sempre cercato di concepire la musica nel suo più vasto significato: fonte di ispirazione è così la quotidianità, intesa come il silenzio piuttosto che il traffico o la stessa possibilità di utilizzare ciò che l'attuale tecnologia ci offre. I brani dei R.U.N.I. vogliono quindi essere spontanei e semplici, utilizzando delle forme espressive sperimentali e non, che caratterizzano anche le esperienze dal vivo del gruppo." dal sito dei R.U.N.I. www.runi.it
Anche se attivi dal 1994 - tralasciando diverse partecipazioni a compilation indipendenti ed alcuni split (uno anche con Bugo, prodotto da Bar La Muerte) - i R.U.N.I. (Resti Umani Non Identificati, il nome è ripreso da uno spettacolo teatrale di Brad Fraser) hanno all'attivo solo due miniCD ('Nessun Paradosso', Lilium, 1998 e 'La Pianta Movente', Bar la Muerte, 2001) e un disco sulla lunga distanza, 'Il Cucchiaio Infernale' (Wallace, Beware!, Bar La Muerte; gennaio 2001). Il Cucchiaio dunque: già il titolo basterebbe a dare ragione d'esistere alle idee portanti di questo articolo. Se a prima vista il fatto che una semplice posata da cucina arrivi a prendere le forme di un oggetto infernale altro non sembri che una sparata non-sense, addentrandosi nei testi e nelle musiche dei R.U.N.I. si scorge subito il possibile significato di tale associazione. Cosa che aveva perfettamente intuito Trude Macrì sulle pagine di Succoacido: 'Che vuol dire che un cucchiaio è infernale? azzardo un’ipotesi... un oggetto normalmente insignificante sul quale si accumula tutta l’isteria e l’ossessività della vita quotidiana...'. E questo e nient'altro di fatto sono i R.U.N.I.: l'ossessività del quotidiano trasposta in parole e musica. Musica poi, che attinge a piene mani dal repertorio wave e synth-pop di fine 70 e inizi 80, dai Pere Ubu ai D.E.V.O., sino ad arrivare alle derive avangard-wave-demenziali dei Sigue Siuge Sputnik e a quelle hard-wave distopiche dei Trans Am: suoni che espressero nel migliore dei modi il disagio dell'individuo nel mondo semi-cibernetico che il capitalismo avanzato lasciava presagire. Per le parole invece basti prendere la significativa ed innodica - a la Old Time Relijun - Bottiglie di Prastica, che tratta ironicamente della raccolta differenziata: "ma tu le schiacci le bottiglie di prastica? ma tu lo separi il secco dall'umido?"; "L'importante è stare qui a decidere/ se correggere o no il caffè". Altrove sono evidenti alcuni legami con i C.C.C.P., come la ripresa del liscio in versione rock-wave di "Il Technosiciliano", oppure alcune certe affinità con i bolognesi Ella Guru, sia per la complessità tecnica dei brani, sia per qualche sarcastica presa in giro del consumismo contemporaneo.
"Ci dicono 'demenziali' per quello che diciamo nei testi o per le canzoni magari illogiche dal punto di vista musicale. Noi preferiamo la parola 'ironia', che è ben diversa....sottile ironia e sottolineo sottile... noi con loro non abbiamo niente a che fare" (R.U.N.I. a proposito di Elio e le Storie Tese)
Effettivamente l'approccio alla materia 'comica' è diametralmente opposto a quello della band di paragone, sboccato e demenziale Elio, ermetici e intelligentemente sarcastici i R.U.N.I. Tuttavia un filo diretto è evidente, ed è proprio il marchio di fabbrica dei Resti Umani: l'immaginario del quotidiano, una visione del mondo in cui gli oggetti più banali (il borsello di budello, le bottiglie di prastica) sono protagonisti di un mondo a parte, tanto surreale quanto in un certo qualmodo 'possibile' (almeno a livello puramente mentale). Summa di questa 'ironia rock' è il pezzo finale del Cucchiaio, 'Lobotomia di casa mia', quasi una versione ironica e priva di quella 'malinconia per il presente' di Fitter Happier dei Radiohead: la voce 'da speaker' - quasi robotica - del programmatore informatico che si trova in ballo tra lavoro e famiglia, sorvolata da pestati ritmi new-wave ed effetti elettronici sghembamente vibrati, è in qualche modo una presa in giro di come la società ci vorrebbe, e allo stesso tempo una presa di coscienza su come la realtà in cui viviamo rischia di trasformarci. Dopo una breve pausa entra in ballo una parentesi jazz condita da sottili rumorismi: "è digitale, ad esempio, il risultato di una partita di calcio/ o il numero di spettatori che ad essa assiste". I R.U.N.I. in qualche modo rappresentano quella parte tecnologizzata di gioventù di cui si parlava nel prologo di questo articolo. Una gioventù provinciale che traffica col futuro rinchiusa nella sua camera, una gioventù in ballo (suo malgrado) tra computer, playstation ed mtv, ma al tempo stesso vicina alle sue radici popolari, alla risata genuina e al senso di festa, ma per molti versi criticamente cosciente dei mutamenti che il nuovo mondo culturalmente 'globalizzato' e tecnologicamente iper-razionalizzante apporta ai grandi e piccoli aspetti del nostro vivere.
BUGO
Bugo è nato a San Martino di Trecate tra le risaie del novarese, e lavora in una fonderia di ottone. Ha imparato a suonare la chitarra al militare. Beve Montenegro, fuma sigari.
Al di là di qualsiasi possibile collocazione estetica, La Prima Gratta e Sentimento Westernato sono due dei più entusiasmanti dischi di rock in italiano ascoltati negli ultimi anni. Dischi dall'innocenza disarmante, dalla dialettica lucida, creativa, spiazzante, privi della minima velleità artistica e - paradossalmente, visto il successo riscosso dal nostro - di qualsiasi aspirazione ad iconismo rock. L'impressione è che Bugo suoni queste canzoni isolato, in una stanza, quasi il suo songwriting fosse un bisogno del tutto spontaneo, naturale. Ed è forse proprio questo senso di naturalezza che rende Bugo un musicista 'intelligente', nonostante l'alone di follia e provincialismo naif che la sua figura e il suo personaggio lasciano trasparire. Non si tratta insomma - come chi non del settore potrebbe pensare - del nuovo cantautore demenziale pronto per il Maurizio Costanzo Show, un nuovo Marco Carena o un Dario Vergassola trendy e rockettaro, ma di un musicista eclettico, imprevedibile, di tutt'altra classe: un rocker polivalente e al passo coi tempi, capace di arricchire i suoi brani di una particolarissima ironia e di una strepitosa e surreale vis comica. Forse questo il segreto del suo fascino tra un numero sempre maggiore di ascoltatori e - soprattutto - di critici. Un successo intuibile da subito - come riportato sulle note di copertina del primo singolo, Questione d'Eternità: 'contiene merce ad alto potenziale commerciale'. Prodotto da Bar La Muerte, con la partecipazione alla batteria dell'onnipresente Bruno Dorella, il 7" Questione d'Eternità mostrava già tutta la cifra stilistica del nostro: folk-rock-garage svogliato e stra-lunato, condito da quell'inconfondibile voce roca e deviata, divincolandosi tra rumorismi cyber-noise, elettronica povera e slackerismi beckiani. Chi già era entrato in contatto con Bugo poteva già intuire quali ottime sorprese ci avrebbe riservato il nostro. E in poco tempo arriva il primo disco sulla lunga distanza, confermando ogni buona impressione precedentemente suscitata. La Prima Gratta è un'altra co-produzione Snowdonia-Bar La Muerte: 'Quante menate che mi faccio', 'Solitario', 'Il cellulare è scarico', 'Spermatozoi', sono tutti anathems folk-pop già entrati nella memoria collettiva dell'underground italiano. Letteralmente sorprendente è l'appiglio immediato del ritornello, l'effetto-sorpresa della rima impensabile, ma soprattutto quello struggente mood malinconico e tragicomicomico che riescono a sprigionare pezzi così ironici e disimpegnati. Come contraltare al cantautorato di stampo Oldham-Beckiano, troviamo un amore sconfinato per il punk-garage più grezzo, striato di richiami hard-core e svisate in puro stile slacker (a volte condite di schizzi elettronici che rivelano l'imparentatura del nostro ai RUNI - Roberto Rizzo suona infatti la tastiera in alcuni pezzi - e ad un altro personaggio misconosciuto di Bar La Muerte, a034 the insider): il lo-fi da Pavement sotto psicofarmaci di 'I baci della mia nonna', il grunge della provincia di 'Sabato mattina', gli impensabili bozzetti techno-industrial-cabaret di 'Goccie di wita', la new wave distorta e minimale di 'Cicca nei capelli'. Ma non finisce qui. Per concludere il quadretto eclettico di la Prima Gratta il nostro si cimenta infatti anche in bozzetti espressionisti degni di un Kurt Weill coverizzato da Beefheart: 'Oggi come sto' e 'Potrebbe andare meglio' - anche se non riuscitissime - fanno onore al nostro, che si cimenta tra voce filtrata e un pianoforte quasi d'autore. Il primo disco di Bugo passa quasi inosservato, forse ancora troppo 'grezzo' e sperimentale per attecchire su un pubblico più vasto di quello dei fedeli di Snowdonia e Bar La Muerte. Sarà solo Sentimento Westernato a garantire al nostro popolarità e successo tra fette di pubblico via via crescenti, sia per l'ottima promozione (un tour lungo tutta la penisola e un'apparizione al programma Supersonic, su MTV) sia per una lieve 'normalizzazione' della gamma sonora offerta dai suoi pezzi. Scomparirà del tutto la folle visionarietà cabarettistica del primo album, così come saranno ridotti al lumicino i pezzi cyber-noise elettrici a là 'Goccie di Wita'. Anche se non può vantare l'effetto sorpresa e l'eclettismo di La Prima Gratta, Sentimento Westernato (prodotto da Wallace, Beware! e Bar La Muerte nel dicembre 2001) è comunque un bel disco, più maturo ed equilibrato del precedente, ed incentrato essenzialmente su due forme-canzone, la prima un power-rock di stampo piuttosto 'classico' (Bicchiere nella birra) e la seconda una ballata folk a la Beck, malinconica, trasognante e dai soliti testi impensabili (Sei bella come il dì). Tra questi due poli le sfumature spaziano poi dallo swamp acustico di 'Bisogna fare quello che conviene', al rock-noise 'al ralenty' prossimo alla psichedelia di 'Siamo tutti eroi', e ancora all'ipnotica nenia sorvolata da chitarra morriconiana di 'Pepe nel culo'. Uno spostamento più netto verso il cantautorato di stampo classico e italiano. L'episodio più bello di tutto il disco rimane comunque 'Son drogato di lavoro', quasi un David Grubbs in vena melodica che si cimenta con la sua chitarra acustica, memore di quelle stupende parentesi folk che comparivano a sprazzi sugli indimenticabili dischi dei Gastr del Sol.
Si è detto di Bugo e della sua musica, meno dei suoi testi e delle sue parole. Per questi, vi rimando al prologo dell'articolo. Non penso infatti vi sia bisogno di dilungarsi oltre, basta infatti inquadrare la sua visione del mondo e la sua 'ideologia' entro il contesto sin qui presentato, per capire gran parte del fascino e del potere di presa sull'ascoltatore che esercita il nostro. Il suo segreto sta infatti nel 'provincialismo' - nel senso meno dispregiativo del termine -, nell'auto-coscienza ironica della nostra miseria sociale e morale, e poi nella beffa al progresso, che sfocia quasi in una sorta di conservatorismo buffo, un porsi contro a modelli di vita automatizzati e tecnologizzati, propinati dall'ideologia imperante, attraverso l'irrisione e lo smascheramento dei suoi fallimenti - procedimento, tra l'altro, molto vicino alle forme e ai modi della tradizione popolare e carnascialesca.
PER CONCLUDERE...
Citare la tradizione popolare comparandone i modi e gli stilemi agli artisti di Bar La Muerte non si tratta semplicemente di un'analogia azzardata, ma piuttosto di un'altra possibile chiave di lettura per tutta quella parte di underground italiano che parte da Bar La Muerte e arriva sino a Snowdonia, e a molte altre piccole etichette a loro vicine (Burp, Perdurabo, Mizmaze). L'intento più nobile di questi musicisti e di questi discografici pare proprio quello di riscoprire e riportare in vita la tradizione - tutta europea - della piazza, della festa, del carnevale, aggiornandola al clima eclettico del post-moderno maturo. Tradizione stupenda e preziosa, tradizione secolare, immortale, vitale come poche, è questa che più d'ogni altra ci appartiene (nonostante oggi risulti inevitabilmente ridotta a cliché, se la si vuole cercare nei modi del vivere quotidiano, e addirittura letteralmente spazzata via da qualsiasi ambito, se la si vuole inquadrare entro la produzione artistica e musicale dell'Italia contemporanea). E' per questo che il lavoro degli artisti sopra citati va riletto e riscoperto alla luce di questo semplice intento, nobile e necessario, però, come pochi.
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