Incontro gli Spriggan in un momento speciale della loro carriera: il loro primo CD Doormate (Edwood Records) sta riscuotendo un buon successo commerciale e il gruppo si prepara ad affrontare un tour italiano che li porterà in giro per la penisola dal 10 al 21 aprile. La nostra conversazione si svolge durante una delle serate della rassegna Suburban Live Set, ormai celebre appuntamento annuale organizzato dal Taxi Driver di Catania. Di fronte a me ci sono Antonio Scafidi e Marco Riccioli, rispettivamente chitarrista e batterista degli Spriggan, e una brocca colma di vino rosso.
SA: Cominciamo guardandoci indietro: come e quando nascono gli Spriggan?
La nostra storia comincia nel 1996: ci vedevamo tutte le sere in una piazza come tante altre di una cittadina come tante altre. Nel cuore degli anni novanta, quando il “sacro fuoco” del grunge si era già spento, decidemmo di cominciare a suonare. Dopo anni trascorsi ad ascoltare punk e noise abbiamo capito che era giunto il momento di mettere in musica tutte le nostre esperienze, sia musicali che di vita vissuta. Come spesso succede, i nostri primissimi brani si limitavano a riflettere le influenze musicali con le quali eravamo cresciuti, riassumendone gli aspetti migliori ma anche quelli negativi.
SA: Cosa è rimasto di quel periodo nel vostro repertorio attuale?
Sicuramente conserviamo un buon ricordo anche di quegli acerbi inizi, ma abbiamo preferito non includere nessuno di quei pezzi sul nostro disco d’esordio. Al momento di inciderlo ci siamo resi conto che non rappresentavano più quello che eravamo diventati e soprattutto non erano più in linea con la strada che avevamo deciso di intraprendere.
SA: Cosa vi ha fatto capire che era giunto il momento di fare sul serio e di incidere un disco?
La nostra politica è stata, sin dall’inizio, quella di suonare sempre e dovunque ci fosse uno spazio disponibile ad ospitarci ed un pubblico disposto ad ascoltarci. Abbiamo battuto in lungo e in largo il circuito dei centri sociali e quello dei pubs di Catania, grandi e piccoli, anche se crediamo che il primo riscontro significativo, soprattutto in termini di esposizione, sia stato quello ottenuto alla prima edizione della rassegna Suburban Live Set. Quell’esibizione è stata un efficace trampolino di lancio verso un pubblico più vasto ed eterogeneo. Progressivamente abbiamo realizzato che la qualità dei nostri concerti dal vivo era cresciuta, in parallelo con l’affluenza del pubblico. E ci siamo sentiti pronti per entrare in studio di registrazione.
SA: Doormate è stato registrato alla fine del 2000, ma ha cominciato a circolare verso la metà dello scorso anno…
E’ così. Appena concluse le registrazioni del disco abbiamo trascorso i mesi successivi a spedire buste con il nostro CD alle etichette indipendenti di mezzo mondo… ci fa piacere ricordare che quasi tutte, anche le più grandi, come Touch & Go, Matador, Dischord, e Alternative Tentacles ci hanno risposto: alcune per dirci diplomaticamente che non erano interessate alla pubblicazione, altre come la Wijia ci hanno addirittura “recensito” il disco brano per brano indicandoci come e dove potevamo migliorare….
SA: Credo che a quel punto sia nata l’idea di orientarvi verso il panorama italiano…
Dobbiamo ammettere che non è stato semplice neanche in Italia. Dobbiamo molto a Maurizio Scuderi della Freeland Records che ha creduto in noi, regalandoci consigli preziosi su come muoverci in un ambiente estraneo. I suoi suggerimenti sono stati utili e ci hanno aiutato ad approdare fra le braccia di un distributore serio come Goodfellas.
SA: Nelle otto tracce che compongono il disco ho riscontrato una notevole maturità e una “stratificazione” del suono non comune in un’opera d’esordio. Al di sotto di una ruvida superficie noise si percepiscono echi di melodie lontane, vicine in alcuni momenti alle sonorità low-fi di bands come i Sebadoh.
Siamo consapevoli che, anche se ormai ci sentiamo molto più sicuri di noi stessi e delle nostre capacità di composizione, certe passioni musicali che ci hanno influenzato non potranno mai essere dimenticate. I suoni di cui parli emergono, forse inconsapevolmente, dalla memoria di tutti noi quando componiamo.
SA: State già pensando al prossimo disco?
Certo, abbiamo già buttato giù le idee per diversi brani. Il nostro progetto è di cominciare a registrare in autunno. Contiamo molto sul fatto che l’imminente tour sarà un’importante fonte di stimoli nuovi.
SA: Gli Spriggan hanno creato anche un’etichetta discografica e un’agenzia di management. Mi sembrate particolarmente attivi, ma siete certi di poter seguire tutte queste attività contemporaneamente?
In realtà dobbiamo ammettere che ci stiamo facendo in quattro tutti e quattro per far procedere tutto in parallelo. La Edwood è nata principalmente come strumento per promuovere il nostro gruppo, ma ci stiamo impegnando per farla diventare una realtà tangibile nel panorama italiano, e siamo pronti a lottare contro ogni difficoltà. Il nome scelto per l’etichetta è un tributo e un riconoscimento ad un regista (Ed Wood N.d.R.) che ha sempre creduto in quello che faceva, scontrandosi con le logiche mercantili della grande industria cinematografica. Abbiamo già in programma di pubblicare per la Edwood qualcosa degli H.C.B. e siamo disponibili a fare altrettanto se dovessimo ricevere proposte interessanti. Come management ci occuperemo di portare in tour sia gli H.C.B. che i Logan di Taranto. Anche in questo campo l’esperienza di un amico è stata decisiva. Agostino Tilotta degli Uzeda e la collaborazione con la Indigena ci sono stati di grande aiuto.
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