La Fusione o comunque la commistione fra varie discipline artistiche: dalla musica, al teatro, alla danza. Un tentativo tanto arduo quanto ingrato dal punto di vista delle soddisfazioni “oggettive”, cioé per quanto riguarda l’apprezzamento da parte del pubblico ed il riconoscimento fra i supposti “addetti ai lavori”. Ciò nonostante esistono in Italia ed all’estero numerosi artisti, compagnie e collettivi che portano avanti, magari da lunghi anni e fra la semi indifferenza delle masse, percorsi di ricerca che finiscono poi, spesso, con l’influenzare quelle che più in là verranno definite delle “tendenze”. Si tratta di una “scena” (anche se il termine è alquanto improprio) molto viva, i cui componenti sono spesso più disposti ad intersecarsi ed a collaborare di quanto non avvenga in altri ambiti. Il festival “Rabbia”, che si sarebbe dovuto tenere a Genova nel periodo compreso fra Maggio e Settembre ospitando, fra gli altri, Barre Phillips ed i Motus, è una di quelle occasioni in cui questa variegata realtà tenta di proporsi e farsi conoscere anche dai non appassionati. Ci è sembrato perciò interessante e costruttivo (per il tipo di discorso che SuccoAcido sta cercando di portare avanti fin dai suoi esordi) scambiare due chiacchiere via e-mail con Claudio Parodi, una delle menti e degli organizzatori del Festival...
SA: Nella presentazione del festival “Rabbia” (reperibile sul sito internet dedicato a questo evento) tu non lesini una certa quantità di critiche alla città di Genova per la sua incapacità di fare parte del “circuito delle arti contemporanee”. Io sono di quelle parti e mi trovo pienamente d’accordo con la tua posizione, anzi ritengo che Genova e la Liguria siano spesso incapaci di fare parte di un “circuito culturale” in senso lato. Eppure siamo un popolo di (ex) marinai, e non si può certo di dire che le nostre città di mare non abbiano un’attitudine sempre più cosmopolita e multietnica. Secondo te dov’è e com’è che i conti non tornano?
C: Per quanto riguarda la scarsissima ricettività di Genova nei confronti dell’arte contemporanea, temo che faccia parte del DNA della città stessa. Ti porto ad esempio gli studenti universitari genovesi, che dovrebbero essere la punta culturalmente avanzata della città, e che invece passano TUTTI i venerdì sera a rimpinzarsi di birra e hashish in Stradone S. Agostino, e naturalmente non hanno poi i soldi per il biglietto di uno spettacolo teatrale o di una mostra. Ma non finisce qui: una volta laureati spariscono dreadlock e piercing e iniziano le cene al ristorante, ma il budget per la cultura rimane uguale, cioè zero. Non è tutta colpa loro, poveri figli. Salvo rarissime eccezioni, chi fa le programmazioni a tutti i livelli, dall’Assessorato alla Cultura al più scalcinato centro sociale, non fa altro che ingaggiare chi ha incassato di più nella precedente stagione, e il successo è inesorabilmente garantito, ma che noia! Insomma, in primis c’è curiosità zero da parte del pubblico (io da quando avevo quindici anni affronto qualsiasi distanza per qualcosa che mi interessa). Secondariamente chi fa le programmazioni bada al soldo, e la cosa funziona! Genova ha uno skyline affollatissimo di torrioni dei vari potentati culturali, torrioni dai quali piove olio bollente sugli Altri. Non credo però che ci sia una connessione fra meticciato (cosa ormai per fortuna consolidata, il mondo è di tutti e le frontiere basta ignorarle) e ricchezza culturale. Secondo me l’arte non ha patria, è semplicemente un arricchimento dell’umanità, dall’haiku giapponese alla pizzica salentina e via e via. Quello che conosco di attuale come incrocio fra culture diverse mi dà l’impressione di una cosa in provetta. Ma probabilmente è solo questione di tempo; la musica di John Coltrane (una benedizione che piove dal cielo) è frutto di un lungo intersecarsi di culture diverse…
SA: Sinceramente ignoro se questa edizione del festival è figlia di una serie di esperienze precedenti, magari in tono minore, o se è il frutto di un’ispirazione folgorante e repentina. In ogni caso la scelta di “spalmare” il programma lungo un periodo di quattro mesi può avere i suoi pro ed i suoi contro. Puoi spiegarmi i motivi di questa formula?
C: Prima di tutto c’è stata una lunga (direi un anno) riflessione su me stesso e il mio essere musicista. Questo travaglio mi ha spesso portato a posizioni diametralmente opposte a quelle di partenza. Nel nostro caso, ora ritengo che sia un DOVERE da parte di un musicista lavorare anche come organizzatore, soprattutto per una musica come la nostra che soffre di scarsissima visibilità. La mia prima esperienza da organizzatore è stato il seminario+concerto di Saitoh Tetsu e Michel Doneda nel maggio dell’anno scorso, e in quel caso ho fatto TUTTO io, salvo la parte fonica affidata alle capacissime mani di Osvaldo Giordano. Il seminario è stato un disastro (Genova è impestata di pessimi musicisti jazz, che naturalmente sono venuti tutti), il concerto del duo è stato un sogno, il concerto dell’ensemble del seminario un incubo, il Centro della Creatività mi ha restituito PARTE delle spese con quattro mesi di ritardo, ma tant’è sono sopravvissuto e avevo ancora voglia di provarci. Quel diavolo di un Osvaldo qualche tempo dopo mi ha proposto di organizzare qualcosa nell’ambito di una manifestazione che rivitalizzasse l’ex Mira Lanza di Rivarolo (immediata periferia di Genova), e io ho proposto Rabbia, il cui programma evidenzia il mio amore per la musica ma per il teatro ma per la poesia sonora, e nelle prossime edizioni ne vedrete delle ancora più belle. Quindi inizialmente Rabbia doveva essere una delle iniziative alla ex Mira Lanza, da cui lo spalmamento nel tempo. A gennaio una bega politica fra Comune (centro sinistra) e Regione (centro destra) ci ha letteralmente tolto da sotto il culo la ex fabbrica, per cui Rabbia avrà luogo in vari teatri e resterà spalmata nel tempo. Comunque difendo questa formula, anche se ci è arrivata addosso controvoglia. Concentrare gli eventi in un periodo di tempo limitato potrebbe avere il sapore di una colonizzazione, noi (questa volta per fortuna siamo una squadra) vogliamo essere una presenza costante sul territorio, e questo ci permette già da ora di intessere rapporti con realtà che hanno idee simili alle nostre. Insomma, niente una botta e via ma piuttosto la strategia del tarlo.
SA: I prezzi degli spettacoli sono veramente molto accessibili (e questa non vuole assolutamente essere una pubblicità occulta!): riprendendo il discorso iniziale, non credi che se si fa fatica ad organizzare certi eventi, nonostante queste favorevoli condizioni, siamo realmente di fronte ad un fenomeno di esemplare cecità da parte di coloro (organizzazioni, associazioni, assessorati) che dovrebbero favorirne la diffusione?
C: Favorirne la diffusione? Organizzazioni, associazioni e assessorati fanno esclusivamente il proprio interesse. Le organizzazioni e le associazioni (naturalmente con le debite eccezioni) chiedono fondi per portare a Genova chi è primo in classifica, gli assessorati sperano solo nella riconferma. Intendiamoci, è sacrosanto che la gente voglia ascoltare Manu Chao (a me fa ribrezzo) e che chi ne organizza il concerto voglia ricavarne qualcosa. Gli assessorati e in generale le autorità devono darsi un contegno, e talvolta gli scappa qualcosa di ottimo (nella scorsa stagione della Giovine Orchestra Genovese è stato ospitato Andreas Schiff che ha eseguito le Variazioni Goldberg di Bach, e se vivessimo in un mondo giusto al rilascio della tastiera del pianoforte avrebbe dovuto seguire un estatico silenzio assoluto di tutta la città fino al nuovo giorno). Il problema è che tutti vanno a pescare nei soliti nomi. Noi almeno proponiamo qualcosa di inusuale per Genova. Ahimè, anche noi coviamo la speranza di guadagnarci qualcosa, ma prima di noi è stata bocciata l’utopia falansterio di Fourier e anch’io pago la benzina, anche se Venditti mi fa vomitare e Bernard Gunter mi affascina…
SA: Penso che esista un gap comunicativo fra il fruitore medio di musica ed i cosiddetti “artisti underground”, con la diretta conseguenza che molti di questi ultimi risultano sconosciuti ai più. Concordi con questa mia opinione? A cosa attribuiresti la causa di questa situazione?
C: A mio parere tutto dipende dalla scarsa curiosità del pubblico. “Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante ne conosca la tua povera filosofia” (W. Shakespeare). Non ho mai saputo di un musicista che si voglia nascondere al pubblico, anzi. Ma le risorse economiche destinate alla promozione degli artisti underground sono ridicole (per il mio budget annuale come musicista Mick Jagger non risponderebbe neanche al telefono) e dall’altra parte il pubblico per quieto vivere va a vedere chi l’industria gli mette sotto i riflettori. Il serpente si morde la coda.
SA: Passando alla tua attività di musicista, puoi definire meglio gli strumenti del tuo live set ed il tuo ruolo nelle varie formazioni con le quali ti esibisci? Te lo chiedo perché, se ho ben capito leggendo la tua biografia, tu nasci pianista ma nel corso del tempo hai modificato il senso della tua presenza sul palco.
C: Nasco pianista, e ancora lo sono. Ciò che mi ha distolto da una brillante carriera come concertista è stato un seminario con Barre Phillips una decina di anni fa. Conoscevo e amavo i dischi di Barre, ma direttamente da lui ho ricevuto la fascinazione per la libera improvvisazione, e ho dissennatamente deciso di dedicarmici completamente (salvo sporadiche eccezioni come compositore e una come arrangiatore, ma in realtà le cose sono tutt’altro che incompatibili, questione dello spirito con il quale le si approccia). Quindi il mio lavoro in solo e con gli altri musicisti è totalmente improvvisato (con un distinguo che scoprirete nell’ultima risposta), senza il minimo accenno di gerarchia. La mia strumentazione ha naturalmente subito mutazioni. All’inizio pretendevo di suonare solo il pianoforte, che spesso era in condizioni pessime o non c’era proprio. Obbligatorio quindi l’acquisto di un pianoforte digitale, con un primo avvicinamento al mondo dell’elettronica (altri preset e detuning). Contemporaneamente prestito-furto di un campionatore Casio SK5, e in questo caso un concerto di Mike Cooper con Viv Corringham mi ha fatto scoprire le potenzialità di un poco-più che giocattolo. In un periodo di isolamento da altri musicisti e di ricerca di stimoli esterni ai miei strumenti ho acquistato per quattro soldi Kurzwellen di K. Stockhausen, in cui i cinque musicisti dovevano reagire a quello che casualmente appariva su cinque radio a onde corte. Eccomi alle prese con uno e poi due radioregistratori, cassette, pianoforte (digitale o/e acustico), campionatore e per finire strumenti a fiato etnici. Una stagione di sana follia a montare e smontare chilometri di cavi. Ma dopo un po’ ho avuto la sensazione che tutti quei mezzi a disposizione mi distogliessero dal suonare e fossero una inutile dimostrazione di potenzialità. Divisione delle strumentazioni. Pianoforte acustico o digitale, senza o con campionatore. Ogni tanto gli strumenti a fiato fanno capolino. I radioregistratori sono diventati quattro, uno in feedback, cassette infinite, ritrovamenti e prestiti-furti di effetti, campionatore, insomma, cheap electronics. Già era nell’aria, ma con soli due acquisti feedback. Ultimamente uso una sola radio come cassa di risonanza per un microfono a contatto. Tutte queste strumentazioni hanno le loro situazioni preferenziali, e la novità è sempre dietro l’angolo.
SA: Cosa risponderesti a chi sostiene che gli “improvvisatori” sono musicisti che hanno perso la voglia di sbattersi per realizzare progetti di lungo termine ed hanno finito col crearsi una nicchia autoreferenziale di sopravvivenza?
C: In molti casi è vero. E’ però un problema comune a tutta l’umanità: crescere restando sé stessi.
SA: Puoi citarmi qualche musicista o qualche band che ti abbiano favorevolmente impressionato in questi ultimi anni e spiegarmi il perché? in particolare puoi indicarmene qualcuno anche nel campo del “pop-rock” (sempre che questo genere rientri nei tuoi ascolti abituali)?
C: Bernard Gunter mi ha riavvicinato per un certo periodo al piacere di ascoltare CD, piacere che avevo perso per saturazione. Ma la sua musica richiede un’estrema concentrazione, ed eccomi di nuovo a fissare le casse del mio stereo. Purtroppo il gioco è stato scoperto in fretta, e i dischi in quella direzione (ma non con la stessa tensione) ormai si sprecano. Non so se considerarlo pop-rock, ma ADORO Bugo, sia dal vivo sia in disco. E’ vicino ad istituzionalizzare la follia, come voleva fare Artaud. Spero che a Bugo vada meglio…
SA: Domanda di rito: fra i vari progetti musicali ai quali partecipi attivamente, quale ti stimola di più o ti dà più soddisfazioni? Quali sono quelli sui quali sei maggiormente concentrato attualmente?
C: Naturalmente il figlio a cui si vuole più bene è l’ultimo. Siamo alla vigilia (18 aprile TPO) dell’esordio in pubblico di de Manincor/Rispoli/Parodi. E’ un po’ di tempo che sto cercando di intrufolarmi da musicista in ambiti non musicali, forse perché stanco dei musicisti. Due colonne sonore per video. Partecipare a reading (Marino Ramingo Giusti, e ormai sono parte dell’orchestra di Taliban di Alberto Masala, la qual cosa mi riempie di orgoglio). Il teatro. Due esperienze DISASTROSE a Genova, e finalmente Anna de Manincor e Anna Rispoli. Con loro io improvviso, loro due scelgono testi preesistenti in modalità più o meno random e li gettano nel flusso dell’improvvisazione. Ma mi prendono (erroneamente) come un maestro, e allora io le faccio incontrare con altri improvvisatori (Ly Thanh Tien il 14 giugno a Rabbia). Con Nina ed Anna spero di fare una strada lunghissima e costellata di incontri…
SA: Claudio da cosa siete stati costretti ad annullare l'intero programma del vostro festival?
C: Dalla più semplice e spietata delle ragioni. Lunedì 22 aprile, cioé due settimane prima dell'inizio del festival, i nostri sponsor ci hanno negato qualsiasi sostegno economico.Mi astengo dal commentare la correttezza di questo comportamento. L'UNICO sponsor che ha fatto fede ai suoi impegni è il British Council (guarda caso un ente NON italiano...), che come da accordo ci ha versato un contributo di 2.000 sterline. Naturalmente noi restituiamo tale contributo (NOI siamo onesti), con la preghiera (e la fondata speranza, visto che Mr. Brendan Griggs, addetto alle arti per il British Council in Italia, si è dimostrato persona corretta e comprensiva - che strano, NEANCHE LUI è italiano) che tale contributo sia devoluto al festival Fabbrica Europa di Firenze. Fabbrica Europa ha in programma il 31 maggio un concerto di K-space, ma TUTTO il tour di K-space dipende da queste 2.000 sterline (che coprirebbero le spese di viaggio di Gendos Chamzyryn da Tuva e di Tim Hodgkinson e Ken Hyder da Londra). Ripeto, abbiamo a che fare con un ente e una persona NON italiani, quindi speriamo...
SA: eventuale autodomanda che ti puoi porre su qualsiasi tema.
C: La cosa è molto Marzullo-style, quindi accetto divertito. Il mio comunicato stampa che doverosamente avvisa dei fatti è datato 24 aprile, cioé non appena ho terminato di ringraziare i miei collaboratori e di scusarmi con gli artisti. Mi è stato possibile inoltrarlo solo oggi (27 aprile) perché il mio contratto internet con Libero Infostrada non ha funzionato per quattro giorni. Il numero di assistenza di Libero Infostrada è un 166, cioè Telecom, e nella mia zona il 166 non sta funzionando. Quindi sono andato fuori zona ed ho scoperto che c'è qualcosa che non va nel mio contratto Tele2, telefonia fissa e presa per il modem. Insomma, al momento devo bypassare Tele2, utilizzare un prefisso Telecom e finalmente connettermi a Libero Infostrada. Oggi ho sentito al telefono Luca Pagani - INSOSTITUIBILE press-agent e carissimo amico - che mi ha detto che ieri sera ha perso la sensibilità della parte sinistra del corpo. La diagnosi del pronto soccorso è che non c'è nulla di fisiologico, il povero Luca sta somatizzando qualcosa e al momento è imbottito di calmanti. Prima di tutto mi scuso con Luca di avere resa pubblica una cosa privata. La domanda è: c'è qualche sciamano che può farci un rito purificatore? Pare proprio che ne abbiamo bisogno...
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