Attivi da quasi un ventennio, sempre ai margini di culture ortodosse e produzioni canoniche, i Militia sono un fulgido esempio di ciò che significa sincretismo in arte. Quest’ensemble di Perugia sceglie la tortuosa strada della sperimentazione progettuale tout-court – un assoluto sonoro mai intento ad ammiccamenti tornacontistici – percorsa fino all’ineludibile concussione con altri codici espressivi, altre realtà di carattere extra-musicale. Quattro dischi alle spalle - gli ultimi tre editi dalla Materiali Sonori, etichetta toscana coraggiosa nelle scelte -, e un’intensa attività concertistica nella penisola e all’estero (Germania, Olanda), suonando anche a fianco di musicisti di notorietà come Chris Karrer, Blaine Reininger, Terje Rypdal, Breathless e Giampiero Bigazzi. “Dunarobba”, del ’90, è un’opera che segnatamente insiste sull’attaccamento alla terra, patrimonio misconosciuto e poco valorizzato della foresta fossile umbra - i topoi che percorrono caparbiamente la loro cifra stilistica. Ancora storia e cultura umbre in “Elvengamello”, del ’97, quasi un’antologia di testi recitati da Readers d’eccezione (Pupi Avati, Vincenzo Cerami, Philippe Leroy), musicati, in quest’occasione, da una formazione strumentale allargata. Poi la vivace reciproca fascinazione con teatro e poesia. Si rivela un incontro fausto e quasi pionieristico. La vivida esperienza con il “Teatro di Sacco”, il gruppo di sperimentazione teatrale, con cui realizzano quest’anno “La crociata dei Bambini”, testo di Marcel Schwob; dall’evento portentoso di una “spedizione” compiuta da migliaia di bambini francesi e tedeschi nel 1226, l’autore sintetizza un testo di grande drammaticità, impersonando alternativamente diversi personaggi che li incrociano lungo il cammino, sottolineandone sensibilmente l’introspezione psicologica. La musica dei Militia in questo caso non è solo colonna sonora, ma interagisce sincronicamente col montare della voce e con lo sviluppo del racconto. Ultimo in ordine di tempo il progetto che li vede interpretare musicalmente il poema di Macdara Woods “Above Pesaro”, con l’ottimo poeta irlandese che ne recita il testo.
Ne parliamo con uno di loro, Fabrizio Croce.
J: Mi pare di capire che nutriate una passione per una precisa dimensione dell’elettronica, di segno direi primitivo, scarno... Da che tipo di background provenite?
F: l'origine è assolutamente "punk" (i primi vagiti di gruppo risalgono al 1979), come pure la filosofia e l'approccio mentale. Non abbiamo studiato musica e questo limite è anche la sola nostra forza espressiva. Ne siamo consapevoli ed in qualche modo fieri.
J: Cos’è che ha determinato la tracimazione del vostro progetto in altre grammatiche espressive? Intendo dire, siete nati direttamente come ensemble che intendeva rapportarsi al teatro? Oppure questo è venuto come naturale evoluzione...
F: Assolutamente la seconda! Abbiamo attraversato tutte le fasi del gruppo rock "italiano" escludendo quella delle "covers" che non ci sono mai piaciute. In altri termini, ci siamo sforzati di scrivere canzoni rock, poi canzoni, poi semplicemente musica (non necessariamente rock e non necessariamente nelle forme canoniche): inevitabilmente abbiamo cercato l'aggancio con altre forme espressive, come l'immagine, la poesia, la parola recitata, infine il teatro.
J: Potete parlarmi degli incontri con il Teatro di Sacco e Macdara Woods?
F: per l'appunto, un attore e un poeta. Il nostro percorso di ricerca ci ha portati nel '96 ad invitare una serie di personaggi legati all'Umbria (ma non solo poeti ed attori) a leggere, raccontare o recitare testi appartenenti alla storia ed alla cultura di questa terra: ne è venuto fuori il progetto "Elvengamello", pubblicato su CD, dopodiché abbiamo sentito il bisogno di trasferire questo tipo di esperienza sul palco, naturalmente con chi di loro conosceva già questa dimensione; dato che nei paesi anglofoni il "reading" pubblico fa da sempre parte delle manifestazioni culturali, per il poeta irlandese Woods è stato quasi naturale ripetere quell'esperienza sia pure con alle spalle un gruppo musicale vero che ne contrappuntasse o sottolineasse i testi. L'attore Roberto Biselli (guida spirituale del Teatro di Sacco) è stato spettatore di una di queste performances e semplicemente ci ha proposto di lavorare insieme ad un progetto di interazione tra musica e parola, in una dimensione teatrale, addirittura multi-mediale.
J: La Crociata dei Bambini è un’esperienza da brivido - la voce di Roberto Biselli (l’attore che viene dalla scuola di Gassman, Proietti, Quinn...) è di una credibilità assoluta -, mi interessa sapere che tipo di strumenti utilizzate dal vivo...
F: Avendo come riferimento poche essenziali basi preregistrate, i tre elementi fissi del gruppo operano rispettivamente ad una postazione elettronica che include tastiere analogiche e campionatori, alla chitarra (quasi sempre filtrata da una vasta gamma di effettistica) e ad una postazione di "ritmi e rumori" dove il sottoscritto manipola un’ampia varietà di strumenti-giocattolo (dal "baby-campionatore" al glockenspiel, dai legnetti agli animali parlanti, ecc.) e percussioni di varia origine etnica.
J: Siete profondamente legati alla vostra terra (Dunarobba, Elvengamelo): una terra da glorificare e decantare? O Territorio come sistema, a volte sclerotizzante, da sconvolgere e rigenerare...
F: entrambe le cose. I lavori e la scrittura puramente didascalica non appartengono alla nostra filosofia: riconosciamo però la suggestione che sanno esercitare certi luoghi, certe atmosfere, certe storie al punto da accettare la sfida di provare a descriverla secondo la nostra sensibilità, non senza un necessario distacco ed un imprescindibile spirito critico, quando oltre l'emozione si vuole suscitare anche la riflessione.
J: Stimo molto l’operato di Giampiero Bigazzi... Com’è lavorare con Materiali Sonori?
F: è molto importante il grado di libertà che Materiali Sonori lascia agli artisti con cui lavora; è una libertà controllata solo in quanto si chiede di tener fede alla coerenza di un’etichetta artigianale, ma proprio per questo può essere vista come una condizione estremamente stimolante, perché nella sostanza si chiede all'artista di essere se stesso e di non cercare di somigliare a qualcun’altro. Se c'è un limite può essere visto nella mancanza di una vera struttura di marketing e prima ancora di una organizzazione della vendita: ma la libertà di cui sopra inizia proprio nel momento in cui si supera il concetto imperante di "prodotto commerciale" ovvero il fondamento stesso del marketing e del commercio di musica.
J: Musica e testo procedono in sincronia - l’espressività testuale e lirica, veicolante gli umori del suono-, o segnano a vicenda reciproci parodossi e contraddizioni?
F: l'interazione è stata cercata costantemente; non poteva esserci un monologo fine a se stesso o una colonna sonora fine a se stessa, altrimenti sarebbe cessata la ragione stessa di essere del progetto. Abbiamo sempre cercato e forzato ai limiti il concetto di interazione tra il suono e le parole, facendo sì che le due cose si stimolassero a vicenda.
J: Avete progetti extra-Militia?
F: io lavoro come D.J. e per conto della Materiali sonori curo la supervisione della collana DROP, una serie di CD tematici legati alle nuove frontiere del ritmo della musica elettronica ritmica (definirla "da ballo" suona limitante); ma come musicisti ci consideriamo pienamente immersi ed appagati dall'esperienza Militia.
J: Suonate molto in giro?
F:: causa impegni di lavoro (la musica è per scelta solo un hobby) e la particolarità dei nostri progetti (non adatti a qualunque platea e particolarmente quello teatrale non collocabili in qualunque spazio), ....poco, molto poco!
J: Credete che in Italia la dimensione collaborativa tra compagnie indipendenti e musicisti indipendenti abbia raggiunto un buon livello di maturità?
F: Rispetto agli anni '80 dei nostri esordi discografici si; rimane il fatto che troppo spesso l'appiattimento (vogliamo dire la "globalizzazione") della musica verso modelli importati vizia anche progetti per vocazione e spirito indipendenti, al punto da snaturarne l'essenza stessa da traviarne l'originario fulgore creativo.
J: E cosa pensate dello scambio di esperienze tra il mondo della musica indipendente e quello del teatro di ricerca? Non pensate che le collaborazioni tra i due mondi siano davvero rare rispetto alla quantità di energie in campo? Se si, avreste dei suggerimenti da dare?
F: questo tipo di interazione sembra davvero inevitabile se si vogliono creare dei nuovi sbocchi creativi ad entrambi i mondi; in qualche modo tutti ne hanno dato una qualche dimostrazione pratica. La gente sembra recepire e raccogliere l'istanza propositiva. Possibile che a livello istituzionale o più semplicemente nella mente di chi gestisce e dirige o di chi forma l'opinione pubblica (penso anche ai giornalisti ed ai liberi pensatori) non è ancora balenata l'idea di racchiudere questo tipo di esperienze sotto forma di "movimento", di "fenomeno culturale", di "corrente" e prima ancora di "rassegna tematica" o di "festival". Quei rari tentativi, deprecabili sotto il profilo etico-culturale quando rivelatisi operazioni furbesche e opportunistiche, hanno talvolta aiutato o decretato l'emersione di autentiche realtà del panorama culturale contemporaneo…tanto poi alla lunga il talento o il bluff si manifestano da soli, o no?
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