Il babau e i maledetti cretini e kale borroca sono due gruppi, il primo band musicale di rock regressivo, le seconde plastiche ballerine, provenienti dallo stesso humus …. Buona parte degli elementi dei gruppi, infatti, sono colonne ( più o meno portanti) del “movimento antagonista milanese” in generale e più in particolare del CSA Baraonda, luogo ricco di contraddizioni e povero di mezzi.
Questa intervista è stata fatta ormai molto tempo fa, il Babau e i maledetti cretini, volendo aspettare che fosse pronta anche l’intervista fatta alle loro belle amiche ballerine (kale borroka), non avevano valutato lo slittamento di tempi che un tale gesto di galanteria avrebbe comportato. Si aggiungano a queste vicissitudine anche le vicissitudini delle stressanti vite milanesi delle sei mani ( tre persone ) che hanno seguito questo lavoro… e si capisce perché un lavoro iniziato a novembre, trova le sue conclusioni a maggio (venendo pubblicata in gennaio 2006...ndE).
Il babau e i maledetti cretini e kale borroca sono due gruppi, il primo band musicale di rock regressivo, le seconde plastiche ballerine, provenienti dallo stesso humus …. Buona parte degli elementi dei gruppi, infatti, sono colonne ( più o meno portanti) del “movimento antagonista milanese” in generale e più in particolare del CSA Baraonda, luogo ricco di contraddizioni e povero di mezzi.
Nei mesi trascorsi la situazione dei Babau è un po’ cambiata…. Distrattamente hanno perso il batterista, se qualcuno lo ritrovasse o ne trovasse uno sostitutivo è gentilmente pregato di avvisare il gruppo.
SA: siete voi i maledetti cretini? Chi è il più cretino? il più maledetto?
BaBau: No e sì. Andiamo a spiegarci meglio. Saremo brevi. Nel quadro a fumetti di Dino Buzzati (Il Babau,1967, acrilici su tela, cm 80x119) che ha ispirato il nome, la mitologia e la filosofia della nostra umile, ma superba banda e di cui un particolare è effigiato sulla copertina del nostro disco compatto “DIO DIO MIO CHE COSA ABBIAMO FATTO”, il cui titolo stesso, peraltro, altro non è se non un ulteriore prelievo dal (e nondimeno un omaggio al) dipinto suddetto, i, tra virgolette, “maledetti cretini” sono la personificazione del presuntuoso e (auto?)distruttivo atteggiamento razionalista e illuminista dell’Uomo con la U maiuscola. Chi altri sono i (tra virgolette) “maledetti cretini” se non Uomini (con la U maiuscola), dunque, che, spinti dalla sete di conoscenza, dall’ideale del disvelamento della Verità con la V maiuscola, dalla Hibris (maiuscola anch’essa), non esitano a fare luce e fuoco sulla superstite superstizione incarnata dal, tra virgolette e con la B maiuscola, “Babau”, il placido ed enigmatico mostro inconscio che ignaro volteggia nell’aere della metropoli mediolanense facendo capolino, di tanto in tanto, tra i sogni degli infanti dormienti? Per parte sua il Babau è, al contempo, parte della natura e soprannaturale, una materializzazione, potremmo dire, dello Spirito della Natura (entrambi maiuscoli). E di conseguenza dell’Uomo (sempre con la U maiuscola) medesimo. Eppure, per l’ansia di sapere e potere dei maledetti cretini il Babau è solo un “monstrum” un prodigio che si svela e si ri-vela, un miracolo che manifesta il mistero del cosmo sottraendosi alle leggi della scienza, un’eccezione che sfugge alla regola e che va riacciuffato a tutti i costi. Vivo o, ancor meglio, morto. E, benché nella s/Storia (con la s minuscola o forse maiuscola?), i maledetti cretini abbiano la meglio, la loro resta una vittoria amara come le lacrime che piangono sul sangue versato ad esecuzione avvenuta.
Tornando alla questione postaci, non v’è dubbio che la nostra “simpatia” (nel senso greco del termine) come pure la nostra “pietas” (nel senso latino del termine) siano rivolte al metafisico essere dionisiaco, tuttavia non possiamo esimerci dal riconoscere in noi una certa brama di controllo degli eventi, di razionalizzazione perpetua, di chiarificazione eterna. Siamo umani e dunque duplici, ambigui. Siamo un campo di battaglia: Maledetti cretini vs Babau,Uomo vs Natura, Dio vs Uomo, Razionalità vs Irrazionalità, Coscienza vs Inconscio, Bene vs Male, Tre tigri vs Tre tigri.
Ci ispiriamo a questo conflitto, a questa tragedia antica e moderna, forse potremmo dire alla Tragedia del Moderno. Componendo la nostra musica ci proviamo di ricomporre questo conflitto, questa guerra (in)civile, questa lotta fratricida. Ma non dialetticamente. Per carità, lungi da noi la tentazione di porre la questione in termini hegeliani. Non c’è sintesi né catarsi né pacificazione. La lotta continua. Interrotta, qua e là dall’armonia di un armistizio.
Maledetta è la domanda che indaga e cretina la risposta che pretende di esplicare alcunché.
Ovviamente non stavamo scherzando.
SA: Ognuno di voi presenti un altro componente del gruppo senza parlarne bene.
BaBau: Franz presenta Vince:
Vincenzo di Garbo è un ragazzo di 28 anni, magro magro, moro, ricciolino, scuro di carnagione. Alto medio. Suona il basso. Se avesse la barba più lunga sarebbe tale e quale a Bin Laden. Giuro. Non è per parlarne bene. Però lui parla poco e non fa comunicati. A volte diresti che non comunica proprio. Comunque suona il basso. A volte studia. A volte lettere, a volte biologia, a volte altre cose. Ora mi pare scienze naturali.
E viceversa:
Franz è il cantattore della banda. Al liceo aveva i capelli lunghi, ora meno. È dottore, ma non se ne cura. Va in giro in bici perché non ha la patente, ma ha una ragazza americana che si chiama Victoria con la “B”. Non parla come mangia e non mangia quel che annusa, ma se poi non gli dici quel che mangia alla fine mangia quel che c’è. Al liceo non mangiava. Per quel che ne so il suo sogno è sfondare con la musica o, al limite, trattare problematiche giovanili cimentandosi in programmi televisivi a sfondo socio-culturale sulla scia di trasmissioni cult tipo “the club” di All Music, programma che al Casanova Francesco piace sovente citare.
Ale presenta Damiano:
Damiano Casanova è il più giovane della banda di cui è, altresì, chitarrista, musicista e compositore. Il giovane, che consacra buona parte (anzi potrei dire, senza tema di smentita,la maggior parte) del proprio tempo libero all’unica “missione” della musica nell’intento di farne la sua ragione di vita e la sua fonte di sussistenza, non è tuttavia particolarmente avvezzo alle dinamiche creative di gruppo. Tant’è, ma sta imparando.
E viceversa:
Alessandro Lariccia, di anni trentatré, suona la batteria. Egli mi deve euro quattrocentosettantasettevirgolacinque oramai da anni uno e mesi sei. Di indole pigra e svogliata, il percotitore di pelli e piatti si abbandona mollemente al vizio del fumo di hashish, pratica che ne pregiudica le normali capacità mnemoniche e che è causa, associata alla di lui intermittente e mai opportuna caparbietà, di interminabili dibattimenti con il vostro affezionato relatore il quale si vede costretto, suo malgrado, a ricorrere ad isteriche e risolutive sentenze prontamente eseguite, peraltro, dal redarguito e ravveduto batterista.
La sua bizzarra percezione spazio-temporale lo induce a dislocare i propri tamburi e ninnoli nelle posizioni più inconsuete rispetto alla canonica disposizione offrendo all’attento spettatore un autentico caleidoscopio di gags, ora esilaranti, ora patetiche.
In seguito a minuziose analisi giungo alla conclusione che dette condotte vanno imputate essenzialmente a due distinti ordini di disturbi percettivi:
a) disturbi della percezione spaziale
L’errata valutazione delle distanze da parte del soggetto genera, nel migliore dei casi, fenomeni di autolesionismo (il soggetto colpisce con le bacchette le estreme propaggini dei propri arti, fatto che, nell’ottanta per cento dei casi, ha l’effetto di risvegliare il suo sopito senso della prospettiva) e, nel peggiore, la mancata percussione dello strumento con conseguente interruzione dell’esecuzione.
b) disturbi della percezione temporale
Imprevedibilmente ed all’improvviso il soggetto dimentica particolari salienti dell’attività in cui è coinvolto (l’atto di stringere le bacchette durante l’esecuzione di un brano, ad esempio, può essere “dimenticato” in un istante dal soggetto provocando così l’involontario “getto” delle bacchette medesime) delle attività in cui è stato in passato coinvolto (frammenti ritmici di brani conosciuti, suonati, risuonati ed obliati) nonché di quelle in cui sarà a breve coinvolto (è questo il caso che può generare ricorrenti ritardi alle sessioni di prova).
SA: Parlateci delle atmosfere che create con i vostri strumenti. Vi rifate a un periodo musicale passato?
BaBau: Una recente recensione di tale Massimiliano Osini di Rockit ci bolla come nostalgici del prog rock e monta un’interpretazione personale ed arbitraria della nostra autodefinizione di “Rock regressivo” che illustra come l’impossibilità di un auspicato ritorno ad un passato progressivo. Rigettando tale fallace esegesi cerchiamo di fare chiarezza.
Gli intenti musicali del combo (quanto fa critico musicale ‘sta parola) sono racchiusi e schiusi dai termini ROCK REGRESSIVO e MUSICA da CAMERETTA.
ROCK REGRESSIVO contrapposto alla continua e sterile ricerca, perpetrata dai molti improvvisati musici odierni, di tecnologie e suoni “nuovi” volti a stupire e istupidire l’ascoltatore, ma che, paradossalmente, ottengono come unico risultato un sound che appare oltremodo databile e, dunque, già datato.
Al muro sonoro composto da loop, sovraincisioni ed esecuzioni metronomiche rispondiamo per “decomposizione” ed asimmetrica imperfezione, inalberando scheletriche impalcature ritmiche ed armoniche che lascino alla fantasia e all’inconscio dell’uditore il compito di rimpolparle con suggestioni, corrispondenze e risonanze e che restituiscano al silenzio tutto il suo immenso valore musicale.
Regressione non come un voltarsi a ripercorrere i passi compiuti, ma come un camminare all’indietro alla cieca, lo sguardo fisso avanti a sé per recuperare le atmosfere, la creatività e l’ingenuità che il rock odierno ha perduto. A chi ci chiede se facciamo musica anni ’70 nel 2000, rispondiamo che facciamo musica del 2000, ma siamo pur sempre negli anni ’70.
MUSICA da CAMERETTA perché pensiamo in grande ma non troppo. Suoniamo quel che tecnicamente non potremmo permetterci perché la nostra indole punk (ultimo ed unico stimolo fornitoci da un genere ridotto a fare jingle per barbie) non pone limiti creativi alle nostre incapacità virtuosistiche e ci svincola disinvoltamente dai dictat melodico-armonico-ritmici del rock. Infine, come nella musica da camera, ogni composizione è studiata per potere essere eseguita dal vivo, senza ausilio di basi audio e consimili accorgimenti. Questo, sostanzialmente, resta il nostro percorso obbligato e la nostra scommessa: potere contare esclusivamente sulle nostre esigue possibilità tecniche per creare il nostro paesaggio sonoro e, al tempo stesso, riuscire a smarrirsi in esso, sorprendersi a osservare il panorama da diverse prospettive.
SA: Chi è Dino Buzzati per voi?
BaBau: Dino Buzzati per noi è:
Colui il quale, nolente, ha disegnato la copertina del nostro disco.
Colui il quale, nolente o dolente, ha creato la mitologia, la coscienza e l’inconscio del nostro gruppo.
Un grande scrittore.
Un forse ancor più grande pittore.
Un ex vicino di casa di Nonna Rosa.
SA: Per quale regista vi piacerebbe fare una colonna sonora?
BaBau: Ci piacerebbe fare la colonna sonora per il regista Dario Argento. Nel senso della musica e dei rumori che lo seguano ovunque vada, che marchino i passaggi più carichi di suspence ed orrore della sua giornata: quando si guarda allo specchio, quando va in bagno, ecc. Più in generale, però ci piacerebbe fare la colonna sonora per dei film. Non quelli di Dario Argento, però, perché fanno cagare e l’unica cosa bella che hanno è la colonna sonora, per cui sarebbe superfluo. Ci piacerebbe musicare film di, in ordine sparso: Lucio Fulci, Werner Herzog, Paolo Pivetti, Juan Sebastian Veron, Shinia Tsukamoto, Marcella di Garbo, Lars Von Trier, Carmelo Bene…
Non per vantarci, ma con alcuni di questi abbiamo già collaborato.
In televisione, inoltre, le nostre note si sono sposate con le immagini di uno speciale sul calcio olandese.
Comunque, in generale, siamo aperti a lavorare con quanti volessero coinvolgerci. Al limite anche con Dario Argento.
SA: Parlateci dei vostri concerti. Se aveste tanto tempo e tanti soldi da investire nei vostri concerti cosa fareste di diverso rispetto a ora?
BaBau: Nel corso dell’intervista abbiamo mescolato risposte facete a risposte seriose. Questa volta diamo due risposte diverse. Sarà il lettore a decidere quale è faceta e quale seriosa.
Se avessimo molti soldi pagheremmo qualcuno per arruolare una claque numerosissima. Poi pagheremmo qualcun altro per ipnotizzarci e farci dimenticare che abbiamo pagato qualcuno per arruolare una claque numerosissima. E se avessimo più tempo faremmo dei concerti lunghissimi con la claque in estasi e noi, ignari del fatto che essa sia claque prezzolata, saremmo felici lunghissimamente.
Fondamentalmente siamo un gruppo musicale. Facciamo canzoni, musica e parole e ciò ci costa parecchia fatica. Ci piacerebbe che, quando teniamo un concerto, la gente ascoltasse la nostra musica. Abbiamo scoperto che spesso non è così. Molti (molti?) capitano ai nostri concerti per caso o guidati dalla mano del destino, inciampano in noi mentre si ubriacano e vomitano o vociferano o schiamazzano o sghignazzano o si toccano le palle o dicono chepalle o, ancora peggio, pretendono di divertirsi. Capitano per tutta una serie di motivi tranne che per ascoltare la nostra musica. Abbiamo scoperto però che se fai un po’ di scena, ti vesti strano, fai il buio e metti le lucette colorate, fai sedere la gente, le dici che fai teatro, allora tutti si mettono buonini ad ascoltare e pendono dalle tue labbra e dalle tue corde e dalle tue bacchette. Così se avessimo soldi e tempo da investire faremmo un bellissimo spettacolo teatrale, faremmo finta di farci vedere per farci sentire.
SA: Abitate nel hinterland milanese, cosa vi entusiasma di questo posto?BaBau: La dovizia di pusher. Il fatto di poter usare Milano senza rimanerne invischiati, adattando il proprio ritmo al placido scorrere delle acque del naviglio Martesana. Che l’ “inter-land” è la terra dell’inter. Quel sapore appena accennato di provincialismo. La sensazione di essere fuori moda e alternativi anche ai circuiti alternativi. Il vuoto da riempire. Il fatto che ci si conosce ancora un po’ tutti, ma già ci si può permettere di non salutarsi. Che quattro o cinque giorni all’anno se c’è vento e hai culo ti può capitare di vedere le montagne.
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