"Se ho vinto, se ho perso?" *. Non bisogna chiederlo ai Kina (di cui Giaccone fece parte dai primi anni ‘90) e se provate a chiederlo oggi a Stefano, vi risponderebbe probabilmente con una frase di Phil Ochs**: "La ricompensa sta nella lotta stessa, non in quello che vinci".
Stefano Giaccone nasce a Los Angeles (USA), 1959. Nel 1966 si trasferisce a Torino e inizia a fare musica nel 1973. Da quel momento è lotta per un’"altra cultura", forse l’unica possibile nei ‘70/’80, in formazioni che hanno segnato il concetto di "indipendente" e un’attitudine punk/anarchico/politica (Impulso alla distruzione come impulso creativo… Chi dice stato o diritto politico, dice forza, autorità, predominio: ciò presuppone l'ineguaglianza di fatto… - vi tornano i pensieri?), al di là di generi musicali e oltre all’attuale sua definizione di artista "solista" o di "cantautore". Torino è la sua città, anche se i suoi continui sbalzi di "gradazioni emotive" l’hanno portato a risiedere in Galles. Da qualche anno vive lì e anche lì Stefano ha lottato e portato la sua attitudine di fare musica (vedi ad es. Jonson Family rcs). Torna sempre più spesso in Italia, a trovare gli amici e a suonare in giro. Possibilmente insieme agli amici. Avvisa tutti con una lettera: "Arrivo in questi giorni, son contento di bermene un paio con voi, di suonare con voi…".
"Tutto quello che vediamo è qualcos’altro" è il suo nuovo album, edito da Santeria: un diario poetico dedicato alla memoria, realizzato al solito insieme agli amici, tra cui il "maestro" gallese Dylan Folwer (in grado di riprodurre le sonorità di un’orchestra con una sola chitarra, vero!), Gigi Giancursi e altri Perturbazione, l’imprescindibile alter ego Lalli… Se non amate la realtà nuda e cruda, letta da chi non ha mai chiuso gli occhi di fronte alla disperazione - con una coerenza che talmente impeccabile può spaventare ed esser criticata come "retorica" - sappiate almeno che questo disco contiene, per fare un piccolo esempio, una delle più belle e struggenti canzoni italiane mai scritte: "Incontrandoti per caso". (testo e musica di S. Giaccone). Intanto scambiamo quattro chiacchiere con lui e se il caso o il destino vi farà incontrare Stef Giaccone per le strade della vita, potrete riconoscerlo subito:
1) per i tatuaggi, uno in particolare sul braccio che riporta il nome di un bambino "bastardo" e giocoso complice della nostra memoria e del nostro inconscio più reazionario (non mentite a voi stessi, se avete compreso, quella parte di voi esisterà sempre, sennò non è mai esistita: la vita continua comunque),
2) una voce rassicurante, un carisma e un’umiltà proprie dei grandi artisti,
3) una risata contagiosa che ti fa solo bene ( e bere anche…)
4) un’ironia inaspettata che ti fa ridere delle illusioni e che ti fa subito scorgere quel "qualcos’altro" possibile.
* titolo album dei Kina - 1989
** cantautore - (anni ‘60, vedi anche B. Dylan) folksinger politico americano del Greenwich Movement, il piu` fedele discepolo del Woody Guthrie "ammazzafascisti".
SA: Nel cuore della bestia (Edizioni Zero in Condotta, Milano, 1996) - un resoconto tuo e di Marco Pandin (A/rivista) su ciò che succedeva negli anni 80 nel mondo della musica autoprodotta, della musica "bastarda". Sebbene pochi anni ci separino da quelli, avverti dei cambiamenti e quali considerazioni puoi fare sul modo di fare e proporre musica oggi?
SG: Ci sono stati enormi cambiamenti. C’era pochissimo interesse per la musica italiana, in italiano. A parte qualche giornalista (Campo, Guglielmi e qualche altro) il mercato era affaccendato con ben altro. Punk era Anna Oxa e Ruggeri (per carità, mica merda di per sè, ma ambito NON underground). Ora c’è un giro di soldi, interesse, festival, mtv …molto grosso. Il modo e il contenuto sono cambiati forse meno ma certo l’indipendenza (quella filologicamente più..."stretta" voglio dire) è marginale oggi. I vecchi scrivono ancora forse i testi migliori (Fossati, Nada, Lalli) (ma ci sono eccezioni, vedi Perturbazione o M. Parente), la musica è spesso un brutto doppione americano ma è sempre stato così e così sarà sempre, nella mia opinione quando si tratta di pop ma ci sono eccezioni ottime in giro. (Subsonica: il non avere carriere da promuovere mi ripara dalla possibilità di sembrare un paraculo). (Il cantante degli Estra è molto bravo e Daniele Sepe è un poeta della musica immenso, come Claudio Sala nel '76!). Certo, per me che sono della serie C2, tutto mi pare Real Madrid!
SA: Pare che Franti appartenga alla 'mitologia', alla storia della musica torinese e non solo... ma da una personale ricerca, non è semplice trovare notizie dettagliate di quell'esperienza. Su Franti rimane una percezione di importanza insieme ad un alone di mistero per chi arriva solo oggi ad avvicinarsi alla musica indipendente italiana. Eppure, poco tempo fa, insieme ad AREA, CCCP, il nome FRANTI era ai vertici della critica musicale. Cosa è successo, chi erano i FRANTI?
SG: I nomi che citi sono di professionisti molto bravi (in modo diverso). Noi siamo stati un insieme differente anche per scopi…vorrei dire… per debolezze anche. Noi eravamo fortemente radicati nel background politico culturale dei ‘60 /’70. Appena esce di nuovo cerca la ristampa di Marco Pandin (3cd!) dei Franti (ad ottobre) e li puoi seguire sia nella musica che nei testi, nella grafica, i fili che legano la nostra storia a mille altre: Stormy Six ma anche Giovanna Marini sono altre fonti (come riferimento, perché loro sono musicisti enormi rispetto a noi) ma certo anche Dead Kennedys, Crass e Clash e X. Franti è punk, perdio. Uno sputazzo io lo tiro ancora volentieri: i bersagli non mancano!
SA: Il tuo percorso artistico non si limita alla musica ma anche alla scrittura, al teatro. Sei partito qualche anno fa per l'Inghilterra, ora vivi in Galles. Di proposito hai lasciato l'Italia quasi come forma di auto-esilio?. Vorrei che spiegassi chi è Toni Buddenbrook, chi Edwin Muir (vedi discografia essenziale di S.G.) e quali sono i legami tra te e questi personaggi...
SG: Ero malpreso, confuso. Avevo perso un po' il filo. Tristezze sentimentali. La vita insomma, di tutti. Finire in Galles è stata ancora una volta una deriva, che è come vivo. Solo la musica (la mia e quella che mi gira intorno) dirige i miei passi, piccoli e incerti. Toni è un meraviglioso personaggio di un capolavoro letterario: I Buddenbrook di Thomas Mann. E’ una donna, ma io ho almeno un 49,5% di femminilità spiccata. Infatti a te farei il filo. Cazzate a parte, gran libro, grande storia. Come la Aleramo, leggetela! Edwin Muir è un poeta scozzese, tradotto da Einaudi, se lo trovate. Morto nel 1959, anno della mia nascita. E’ uno dei miei 2 angeli. Ne parlo in un romanzo che giace da anni nel cassetto. Nessuno ha qualche milione da sbatter via?
SA: La tua produzione è incredibilmente varia. Hai collaborato con tanti musicisti... quanti dischi, in quanti anni?
SG: Con tanti, tanti. Per me suonare è essenzialmente condividere tempo e poesia con altri musicisti ma anche persone del pubblico che diventano casa, famiglia, terra tua. Per me suonare è lavorare (duro) assieme, bere e mangiare delle gran pizze o del curry infame, girare su furgoni fetenti, ascoltare parlare gli altri. Per me è sempre un onore suonare con altri, ho tutto da imparare. Come musica e come attitudine.
SA: E' uscito "tutto quello che vediamo è qualcos’altro"... Vuoi spiegarci il percorso artistico di questo lavoro? E' nato come raccolta di brani scritti da te nell'ultimo periodo o come idea precisa di album?
SG: Si, canzoni scritte in un lungo arco di tempo. Messe assieme all’amore e la fratellanza di 2 grandi incontri musicali recenti, Gigi Giancursi e Dylan Fowler. Più l'expertize di Milanesio Marco. Quasi alla fine riascolti e chiudi in un certo senso l’album in un percorso (vedi intro e questo pane che spezzo).
SA: Sei stato criticato, proprio su queste pagine, di "prenderti troppo sul serio", di essere "conservatore e felice", di non avere un briciolo di ironia. Chi ti conosce sa che Stefano Giaccone non è solo ciò che canta ma persona che sa ridere e far ridere con una capacità rara di autoironizzare e saper criticare... dalle storie che tu canti, potrebbe sembrare in effetti poco considerato il cambiamento dei tempi e che Giaccone parli delle "macerie"... Cosa dici a proposito?
SG: Nella mia musica non sono capace d’ironia. E’ vero, una qualità che mi manca proprio. Cerco di non essere retorico (senza polemica ma la recensione che tu citi è occupata per metà da figure retoriche da antico latino: era il caso? non sarebbe meglio bersi una bottiglia, leccare la figa, il buco del culo o il cazzo, a secondo dei gusti? leggere un libro? fare qualcosa per cacciare Berluska? piuttosto che rompersi i coglioni con un disco che ti fa senso? non so, dico per dire...). Tu mi conosci e sai che io prendo la musica e i legami che ne diramano in modo serissimo, ma per il resto sono un buffone patentato. Purtroppo molti mi vedono come un militante rigido ma come diceva Pete dei Crass, per lui Bakunin era una marca di vodka! Ovvio che si scherza ma per me triste è solo ciò che è brutto. Io parlo di cose pesanti se si vuole ma il mondo è un luogo difficile (come diceva Muir). Bisogna saper sorridere e sorridersi, certo e io credo di farlo. Chiedere a mio figlio.
SA: La sensazione, anche per chi non ti conosce, è di un artista coerente e indipendente con una collocazione - permettimi il termine - "ai margini" delle scene che si succedono. Sei d'accordo? ...potrei continuare: non chiedetemi se ho vinto o se ho perso. In ogni caso nessun rimorso (titolo libro di P.Cacucci)... F. De Andrè si definiva un "anarchico individualista", tu hai una definizione di te stesso?
SG: Hai citato un verso dei Kina ma certo lo sottoscrivo. Non sono un militante rivoluzionario (non più) lo dico per profondissimo rispetto e amore nei confronti degli anarchici. Ne conosco alcuni, quelli a me più cari, quelli storici, vicini alla Rivista A. Vorrei sperare che mi sentano vicino, se non un fratello.
SA: Ho trovato questo racconto in rete: "Vi racconto come è andata la sua data londinese... tenetevi forte... Premetto che ha suonato in un club minuscolo che è piuttosto famoso qui a Londra, si chiama Upstairs at the Garage. Ogni terzo venerdì del mese fanno una festa che si chiama... non mi ricordo, comunque ci sono 2 o tre band dal vivo (di solito misconosciuti e di solito fanno cagare di brutto) più dei dj che mettono bella roba indie fino alle 3 e mezza del mattino. Bene, io venni a conoscenza del concerto di Giaccone leggendo il famoso time out che diceva c`era un certo Stef Giaccone molto apprezzato da Thurston Moore che suonava appunto lì. Mi son detto: è per forza lui e non posso mancare. Sono andato con Giancarlo, un mio amico, e Giaccone aveva già iniziato, ma da pochissimo credo. Era lì, su quel palchetto, con la sola chitarra acustica, davanti a non molte persone. Il 90% delle quali erano ventenni che vi si trovavano perché ci vanno sempre e che avendo letto della storia di Thurston Moore si credevano forse di trovare sciabolate soniche... Fatto sta che tra un pezzo e l`altro, il simpatico Stefano spiegava (in buonissimo inglese) la sua storia brevemente (Franti ecc...) e poi ha precisato che non è amico del signor Moore, ma che questi ha i suoi dischi come forse ce li ha di ogni altro essere al mondo, essendo un gran collezionista... molto modesto! Comunque, a un certo punto introduce una canzone di De Andrè e alla fine dice (premetto che c’era un gran vociare e nessuno, a parte me Giancarlo e un altro paio di persone, se lo cagava di pezza): "Beh, è inutile che sto qui a spiegarvi ogni pezzo, non avete ascoltato prima, non ascoltate adesso per cui andate affanculo (alzando il dito medio) io me ne vado". Non lo ha detto troppo incazzato e la gente, come deficienti, ha applaudito la sua uscita... Ci sono rimasto di sale. Dopo 4 pezzi già se ne andava. La prima cosa che volevo fare (aveva detto, all`inizio, che chi voleva, a fine concerto poteva avere GRATIS dei suoi cd, bastava andare a chiederglielo) era quello di dirgli qualcosa e poi magari offrirgli da bere. Ho aspettato, però, che si calmasse (se si doveva calmare...) per poi avvicinarlo. Peccato sia sgattaiolato in 10 minuti fuori dal locale e non l`ho più visto... porca troia!"
SG: La serata è stata meno...arrabbiata della descrizione. Forse c’erano 10 persone che ascoltavano (o forse m’illudo!) ma grazie per essere venuto. Non sono scappato, sono andato a mangiare fish and chips con Pete dei Crass, e altri amici (gli Stanton, ad es) i cd li ho ancora, fatti sentire!
SA: Hai fatto un sacco di live, tanti amici ti hanno seguito ...compreso il tuo amico Thurston... Molte volte ci racconti aneddoti divertentissimi su ciò che capita in giro...Dove suona Giaccone, con chi e cosa proponi ultimamente dal vivo?
SG: Ho suonato dal vivo con Dylan Fowler e Mario Congiu (grande amico e musicista). Scenderò a fine novembre per una cosa un po' diversa, spero con alcuni perturbati… grazie Max, grazie SUCCO ACIDO. E grazie SANTERIA che mi ha preso nel suo seno.
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