Negarville e Ustrainhustri sono i luoghi della tragedia. Diversi, lontani, eppure speculari. Forse complementari addirittura. Città fantasma gemelle. Stanno lì da secoli, probabilmente. Non sono luoghi da cui partire, ma solo cui arrivare. Non porti, approdi. Sono questi posti, questi intestini aridi dove il misfatto ha lo stesso tono maestoso dell’atto eroico, queste arterie asciutte che rimbalzano l’eco dello stillare del sangue, del rintocco di un battito cardiaco, queste camere di vetri appannati e legni deformati dall’umido, questa caverna limacciosa, greve, quelli descritti da Madrigali Magri e A Short Apnea sui loro rispettivi nuovi lavori. Quella che viene fuori, nell’uno e nell’altro caso, è musica sovversiva. Niente a che vedere con la coscienza politica degli Area o le istanze comuniste dell’era delle posse, sia chiaro. Qualcosa di molto più subdolo, insidioso, primordiale, esoterico e proprio per questo molto più pericoloso. E' musica che ribalta le regole stesse delle comuni logiche di mercato, non anela a catturare l’ascoltatore ma pretende invece di essere essa stessa catturata. Non colpisce, s’insinua. Non si concede come le puttane del pentagramma. Si guarda allo specchio ma non per truccarsi, per frantumarlo e specchiarsi nei cocci. E' una bellezza negata, oltraggiata, vituperata. Sono dischi che fanno a pugni con i nostri macchinari di alta definizione del suono, sono ossa che si spezzano. Non musica scheletrica, ma suoni decalcificati. Non roccia ma pietra pomice: sassi che contengono aria. Chi crede che la musica sia la negazione stessa del silenzio potrebbe trovarsi a dannarsi l’anima. Madrigali e Apnea convivono con il silenzio, lo integrano con la loro babele di suoni, rumori, dissonanze, dissolvenze. La musica di Madrigali Magri e A Short Apnea rivendica spazi desueti. Provate a trasmettere in radio una traccia de "Ill uogod ellat hragedia" secondo i canoni classici dell’airplay radiofonico e non avrete nemmeno l’opportunità di annunciare il titolo del....ehm......"brano"; le regole vengono scardinate. Non per snobismo, mi piace pensare. Ma per scelta etica. Il disco come opera dell’ingegno. Arte. Che, come tale, non ha bisogno di mediatori. E' la paralisi del raziocinio, il crollo della vivisezione critica. Dietro di loro, ma sarebbe più opportuno dire al loro fianco, due etichette altrettanto sovversive, per la scelta di stare ai margini del mercato: Wallace e Beware! Etichette mosse dalla passione di chi ci ha investito sogni e denaro, senza prevederne il rientro. Due cataloghi che si completano vicendevolmente, tasselli di un puzzle comune per obiettivi e scelte. Siamo andati lì, tra i legni coperti di muffe e i vetri appannati dalla condensa delle case di Negarville a incontrare Giambeppe Succi dei Madrigali Magri e tra le mura franose e l’asfalto dilaniato delle strade di Ustrainhustri a trovare Paolo Cantù di A Short Apnea. Questo e' quello che ci hanno raccontato...
LYS: Qual'e' il processo creativo alla base delle composizioni degli A Short Apnea?
A SHORT APNEA: Non abbiamo vincoli o percorsi predefiniti ed il tutto nasce sempre molto spontaneamente…un brano può nascere nel modo più classico (un giro di chitarra, di organo…) come evolversi in forme differenti a seconda del caso o del percorso che intendiamo approfondire. Il rumore di un oggetto, non necessariamente uno strumento può essere lo stimolo che fa nascere o crea un tessuto musicale che poi viene esplorato nelle forme più aperte e con i contributi più vari. Non esiste un unico processo creativo, ma una serie di percorsi che ci accingiamo ad affrontare di volta in volta con differenti stimoli, strumenti e metodologie.
LYS: Le immagini allegate al disco non sono solo Ill uogod ellat hragedia, ma anche la dimora di una buona parte della memoria collettiva italiana. C'è un preciso senso di custodia della memoria socio-politica nella scelta di quelle foto ispirate all’omicidio Moro?
ASA: Più che da un preciso senso di custodia socio – politica l’idea è nata dalla volontà di utilizzare un’immagine che potesse colpire per il suo senso e la sua crudezza, ed il calare noi stessi in quella dimensione è stato un pò come violare un tabù che è ben impresso nella memoria di tutti. È stato un pò come sottolineare l’atmosfera e la condizione che ci ha accompagnato durante le registrazioni, una condizione “costantemente oscillante tra inconsapevole martirio e ricercato sacrificio”.
LYS: Se vi chiedessero di riscrivere per intero in qualunque disco altrui, sottoponendolo alle vostre "cure" e attenzioni, su quale puntereste il dito?
ASA: Difficile rispondere a questa domanda senza essere in un certo senso presuntuosi…….ci sono dischi che magari potevano essere prodotti o concepiti con un’ottica diversa, ma forse non avrebbe cambiato in nessun modo la loro grandezza o mediocrità.
LYS: Credo sia legittimo chiedervi come nasce il progetto ASA. E' qualcosa sbocciato per caso, un pò alla volta all’interno dei Six Minute War Madness e che poi ha preso vita propria, o è nato già come entità separata, parallela ma avulsa dalle altre (Afterhours, Tasaday, Six Minute War Madness)?
ASA: Entrambe le cose. Il punto di partenza può essere identificato forse nella registrazione del brano “Il vuoto elettrico reprise” del disco omonimo dei SMWM, dove, da un arpeggio incrociato di chitarre, abbiamo iniziato a sviluppare trame non propriamente rock e deciso quindi di registrarlo in forma strumentale senza l’ausilio del basso, della voce e, a parte una breve sfuriata a metà brano, della batteria. Da quel momento è iniziato a germogliare dentro di noi la voglia di esplorare territori che non potevamo toccare, ma solamente sfiorare negli altri progetti. Il processo è stato lento e si è concretizzato per la prima volta in un soggiorno di una settimana a casa di Fabio nel luglio del 97; in quell’occasione tra una pasta e l’altra, l’ascolto di dischi e tante chiacchere è avvenuta la stesura di buona parte dei brani del primo disco. Lavorando insieme abbiamo sviluppato sempre di più un certo modo di trattare, costruire, destrutturare, assemblare il materiale, riportando queste stesse tecniche nella dimensione dal vivo, che ha portato ASA ad assumere sempre di più i connotati di un'esperienza a se,
LYS: Cosa salvereste del secolo appena concluso?
FABIO: Le avanguardie artistiche dei primi decenni del novecento; perché hanno offerto un completo quadro di crisi e di potenziale rifondazione dell’uomo all’occidente. Si può dire che da allora ad oggi abbiamo solo cazzegiato cercando solo di far quadrare i conti alla fine del mese…….
XABIER: … …La rivoluzione bolscevica, il movimento dada, il “guernica” di picasso, la vespa, gli mc5, il kraut rock……
PAOLO: ……45, 68, 77…97……
LYS: A differenza del disco di debutto, questo nuovo lavoro è quasi interamente strumentale, se si eccettuano certi vocalizzi che appaiono e scompaiono come ectoplasmi all’interno della macroscopica struttura dei brani. Se associamo questo alla scelta dislessica che avete impiegato per la stesura delle note del booklet, alla totale assenza di titoli, sembra quasi una sfida alla "parola". Qual’è il concetto di base di queste scelte?
ASA: Il primo lavoro era nato in modo completamente diverso; abbiamo in primo luogo suonato assieme e poi in un secondo tempo abbiamo deciso di dare una forma al tutto e di pubblicarlo. Con “illu ogod….” volevamo fin dall’inizio che le parti vocali assumessero un ruolo differente; non più entità narrante, che quindi si pone come ruolo predominante sulla musica, ma una sorta di insieme di timbri, senza testi veri e propri. Le note dislessiche del booklet sono i titoli delle tre “regioni” musicali del cd. Racchiudono l’essenza verbale e le sensazioni dateci dalle musiche de “illu ogod…..”. La parola è stata trattata con lo stesso metodo e riguardo dato agli altri suoni. La melodia tagliuzzata dalle forbici della prima regione, le vecchie arie tratte da vecchi 78 giri ed i giochi ritmico-vocali della seconda regione, il carcerato che canta nella terza regione sono il frutto dei processi tecnico – elaborativi casuali che abbiamo applicato nella totalità del nostro lavoro.
LYS: Il disco è dedicato a Alex Iriondo... sarebbe?
ASA: Il fratello di Xabier…..
LYS: Chi ha curato la veste grafica del disco? La scelta di uscire come una coproduzione Wallace/Beware! è maturata fuori dal gruppo o avete partecipato attivamente a questa decisione?
ASA: Le foto le abbiamo scattate noi; titolo, testi e l’idea di frammentare il tutto è stata di luca vitali e la realizzazione grafica è un’idea nostra con l’imprescindibile aiuto di Mirko spino. La ristampa del nostro primo cd era avvenuta attraverso una coproduzione Wallace/ Beware! ed è stato quasi naturale continuare a lavorare con la stessa squadra, per stima e reciproca amicizia. L’unica differenza di grosso rilievo è la distribuzione affidata ad Audioglobe (testimoni di un ottimo lavoro fatto su Full Fathom Six dei SMWM)
LYS: Da dove avete preso i suoni che escono fuori dal disco? Avete campionato qualcosa o, come nel caso del disco precedente, avete suonato tutto?
ASA: I suoni presenti in Illu ogod ellat rhagedia appartengono alla memoria collettiva del progetto; siano essi chitarre, batterie, organi, piani elettrici, voci, attrezzi agricoli o di lavorazione dei metalli, strumenti giocattolo, nastri preregistrati da noi o da altri etc. etc., l’idea base già toccata con il primo cd, e qui maggiormente approfondita, è quella di apportare sia le esperienze musicali e strumentali di ciascuno di noi, sia i pezzi della nostra memoria o storia personale, amalgamando e trasformando questi brandelli in fiabe od incubi sonori che rispecchiano la nostra visione della musica e della vita. Anche in questa occasione, e ci teniamo a precisarlo, abbiamo suonato tutto senza l’ausilio di campionatori o tecniche di quel genere; i nostri “campionatori” sono stati i registratori a cassetta, i giradischi, le radio, e tutti quei mezzi che ci hanno dato di sicuro una risoluzione più approssimativa ma un maggiore spunto creativo.
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