Un megafestival anche troppo esagerato nelle sue proposte. All’incirca 2000 eventi in una settimana suddivisi in 35 palchi più o meno tematici. Iniziato qualche anno fa come una specie di Woodstock dell’est Europa, adesso sotto le grinfie della Pepsi è diventato un mostro che fagocita carne umana ad un ritmo spaventoso. Super organizzato fin nei minimi dettagli, ricco di cibi dalle più svariate parti del mondo, di musiche veramente particolari (e i concerti di cui vi parlerò non sono che una piccola ma significativa rappresentanza) ed educatissimo nonostante la compresenza di fricchettoni, punkabbestia, 50enni, bambini, genitori, addetti ai lavori e semplici curiosi da tutta Europa, vale la pena farci un salto. Io c’ero per suonare con la Vialka Marching Band, sono rimasto anche il giorno successivo al concerto e la cosa mi ha fatto piacere, tralasciando il lato di essere pagato dalla Pepsi. Sono strani i percorsi e i cortocircuiti che provocano certe scelte, certi avvenimenti o certe situazioni. De toute façon:
Iggy Pop
La sera prima avevo visto gli UK Subs in un tendone stracolmo (almeno duemila persone), e se lo show musicalmente non si discostava molto da quello che hanno sempre fatto dal ’77 ad oggi, dal punto di vista visuale la cosa era patetica (proiezioni video, sound compresso in stile green day e un cantante che ce la fa ma per il rotto della cuffia. Sta lì, e questo basta a tutti). Sono andato a vedere Iggy Pop quindi con una certa curiosità e privo di speranze; se è vero che mai nella vita avevo avuto l’occasione di vederlo all’opera, par contre conosco molto bene i suoi album, il suo personaggio, le sue vicissitudini e quello che il mio libraio, fan della prima ora e maniaco collezionista dei suoi dischi, mi ha sempre raccontato per averlo visto decine di volte dal vivo. Raggiungo in fretta una buona posizione sottopalco durante il riflusso dei fan del gruppo precedente, e durante l’attesa per la preparazione dello stage vengo spintonato da ragazzotte ormai non più giovani ma ancora inesperte che volevano guadagnarsi il fronte del palco. Mi lasciavo sorpassare sorridendo, perché sapevo che nei primi 10 secondi di concerto sarebbero state spazzate via. Come infatti così è successo. Il gruppo sale, un accordo solo, martellante, implacabile, e Iggy li raggiunge con un pizzetto corto ma quasi biblico ad incorniciargli i tratti già segnati del volto. Un primo pezzo che spazza via ogni dubbio, ogni ricordo, ogni proiezione verso il passato, diretto verso il centro della sua visione musicale. Un messaggio semplice, diretto, come un bacio con la lingua in gola. Sai cosa significa quando lo ricevi. E lui sa cosa intende quando lo fa. I primi pezzi si susseguono secondo questa formula, nessuna concessione alla canzone. Venti minuti di intensità, determinazione, sudore e muscoli che si contorcono. I corpi sbattono l’uno contro l’altro, sempre più nudi, in un’estasi provocata dal volume, dal beat, la mancanza di ossigeno e la polvere che ti occlude le vie respiratorie. Poi la scaletta comincia ad “ammorbidirsi”, qualche pezzo debitore di quel crossoveraccio alla RATM di cui potremmo tutti fare a meno, qualche classico (e se “I wanna be your dog” viene interpretata, nonostante il cavo rotto del microfono, in modo diverso da quello che tutti si aspettano, roba come “Cold Metal” poteva rimanere nell’oblio che avvolge gran parte delle sue cose degli anni ’80). Selvaggerie accompagnano “Wild one”, “No Fun”, “TV eye” e la chiusura del set arriva decisa. La reprise si apre con un proclama: “quello era lo show, adesso c’è il divertimento!” e inanella un po’ di pezzi r’n’r (“Sweet sixteen”, “I got the right”) che finiscono di devastare i corpi dei presenti. Dopo il concerto vago coperto di sudore tra le masse di persone che popolano il festival, alla ricerca di una fontana, semi istupidito da un piacere inspiegabile, con la consapevolezza che se a 30 anni la maggior parte dei gruppi che vedo o sento non mi eccitano, non è colpa mia. E’ colpa loro.
Zoambo Zoet Orchestra
Salgono sullo stesso palco in cui abbiamo suonato un’ora prima, direttamente da Ljubljana ma presentati provenienti da Tokyo e New York, e mi sento tanto stronzo. Una formazione classica (chitarra, basso, batteria, le voci dei tre più un sassofonista al limite dell’udibile, e per quel poco che si è sentito francamente inutile) che produce la musica più bella che abbia mai sentito. Una sensibilità enorme per gli arrangiamenti, per l’interplay, calibratissimi tra improvvisazione e composizione, tra lame affilate e morbidezze, tensioni, impennate e rallentamenti. Le parole, gettate ogni tanto in un buco della composizione, sputate più o meno tra i denti, tra slanci lirici e frullii free. Sensibilità e interplay sono comunque le parole d’ordine, complessi senza essere cerebrali, intensi senza essere banali, spaziosi, aerei, densi, potenti, leggeri. Il gruppo perfetto senza alcun dubbio. Hanno partecipato a varie compilation, stano per mixare una mezzoretta di musica, hanno suonato svariate volte in Italia, gestiscono un locale all’interno del Metelkova e mi pare una colpa enorme non averli mai incrociati prima. Rimedierò.
Muzsikàs & Alexander Balanescu
Arrivo che il concerto è gia iniziato da qualche minuto. Gruppo “locale” e molto amato da tutte le fasce del pubblico, sanno come si parla al cuore. Davanti a punk, metallari, fricchettoni, barboni, intellos e quant’altro suonano musica classica e danzante (Bela Bartok dovrebbe dirvi qualcosa) in modo ‘gnorante, i violini tenuti di taglio, il contrabbasso strusciato con vigore, quelle specie di violoncelli tagliati con l’accetta percossi con furore. Mi viene il magone e mi metto a piangere spesso durante la prima metà del concerto. I volti e le espressioni di questi uomini mi tocca profondamente. Il loro polistrumentismo “facile”, la ricchezza armonica ma soprattutto interpretativa, il sorriso che si spande tutto intorno, la felicità di essere lì. Poi invitano Balanescu, fanno un pezzo in duo, uno insieme, poi lo lasciano improvvisare e il concerto cade a rotta di collo. Balanescu nonostante il nome, la fama o i dischi in realtà dimostra di avere poco da spartire con i Muzsikàs (se non i soldi del cachet) e nulla da dire col suo violino, specie in solo. Dopo i nostri faticano non poco a riprendere in mano la situazione, l’altro guest (mi scuserete se non ne ricordo il nome) si lancia in balli popolari potentissimi, una gioia per gli occhi e per il corpo; suona anche lui un sacco di strumenti ed entra nella serata molto meglio del più illustre ospite. Le canzoni sui barboni vengono cantate da tutto il pubblico, pare sia una tradizione della canzone popolare magiara, e il concerto si ricompatta intorno alle figure ieratiche di questi uomini importanti. Non innovatori, ma intensi.
Parno Graszt
Una famiglia intera di zingari veri, con i vestiti della festa, un bel po’ di chitarre classiche, un contrabasso, dei vasi percossi, e moltissime voci. Salgono sul palco dedicato alla cultura Rom molto tardi, il gruppo di flamenco spagnolo precedente ha avuto problemi tecnici. L’atmosfera si fa subito calda e familiare, tutto il pubblico balla, vedo una signora sulla quarantina che si muove e sorride felice durante tutta la serata, indirizzando saluti ora all’uno, ora all’altro. Mi sa di manager o organizzatrice o responsabile, certo è che si sente bene. E anche tutti gli altri.La scaletta alterna con regolarità un pezzo lento ad uno veloce, e per tutta la serata nei pezzi veloci un uomo si stacca dal gruppo e invita una donna a ballare. I bambini sono i più stupiti dall’amore che li circonda, dall’eccitazione che avvolge il palco, dal rispetto che ricevono. I grandi ballano con virtuosismi e potenza, le donne volteggiano ben volentieri. La mamma sessantenne soffre un po’, tra il caldo e l’età, ma il suo duetto col padre (figuratevi un babbo Nedo di ovosodiana memoria) lo porta in fondo con dignità. Alla fine la richiesta di un bis è così pressante che gli organizzatori fanno uno strappo alla regola (i tempi sui palchi sono strettissimi) e li fanno salire di nuovo. Il pubblico canta i pezzi, i sorrisi si sprecano da entrambe le parti, una bella serata. Mi chiedo cosa succederebbe se li incontrassero per strada.
Old Admin control not available waiting new website
in the next days...
Please be patience.
It will be available as soon as possibile, thanks.
De Dieux /\ SuccoAcido