“L'intro” della sciantosa era tutto una dichiarazione d'intenti.
Si giocava alle cantanti tra le scalinate del paese. Ci si cambiava di nome, di portamento, camminata, postura; condizioni economiche, condizioni sociali. Ma poi la scuola operava al contrario.
Altro che musica e varietà, Milva e Dalida. Diminuitivi sbarazzini e fantasiosi diventavano nomi noiosi,
scotti tradizionali. Compagne di strada leste e ambiziose diventavano alunne assennate, ingrembiulate, prevedibili, lumacose.
Aule come ospedali e registri statali mutavano le Sine in Cosime, le Lille in Calogere,
le Sabine in Sabatine, le Mimme in Domeniche o Girolame...
Milano, dicembre 1999, tarda sera.
Tra i clienti, gli avventori, i camerieri di un bistrot sui navigli s'insinuò prepotente la figura di un
uomo del secolo scorso, media statura, età indefinibile, pelle asciutta... l'immagine della sua casa
scura, le pareti di quadri, di strumenti da suonare, da pulire da aggiustare, di madonne e di bambini
da sbozzare da pulire da terminare...Momò.
Momò...
Cosimo? Girolamo? o Domenico?
Momò, perfetta tipologia di mastro tuttofare, rigorosamente maschile meridionale; lievemente scorbutico, parole pesate, intelligenza audace, nettamente al di sopra delle proprie possibilità, lavoro
scarso e malpagato, una caterva di figli...
Cu avi un cavaddu e un jenniru mastru
'nta chidda casa un si ni viri lustru *
Momò...
Ma appiccicare sulla sagoma di quel vecchio artigiano il viso del nostro Antonio... azzo se era difficile!
Ma santo diavolo... cosa porta un distinto signore, un prolifico artista, un pittore affermato a cambiar nome? Cosa vuole questo Momòche se ne spunta una sera a Milano e vuole essere legittimato nella nostra testa, nel nostro vissuto, come un nostro amico, come un parente nostro.
Momò tra i tavoli e le sedie, Momò, gli avventori e i camerieri, Momò, umile e principe, povero e
superbo.
E voleva farsi spazio! Ne voleva conto e ragione.Cos'era successo?
Una mattina di quel dicembre 1999, il nostro Antonio si era sentito uno strano prurito nelle mani.
Si era svegliato con la consapevolezza che oltre a saper dipingere, cosa che aveva sempre fatto,
sapeva pure scolpire, cosa che non aveva fatto mai. E aveva avvertito chiaro quel potere, quell 'energia, quel formicolio della creazione, quella maestria, o meglio una mastria, quasi innata, quasi
evocata. Allora si era ricordato di un episodio lontano, di uno zio lontano, dei suoi cinque anni e
mezzo portati mano nella mano di suo padre, di una casa scura, pareti di quadri, di strumenti da
suonare, da pulire da aggiustare, di madonne e di bambini da sbozzare da pulire da terminare...
Momò...
Come lo zio mastro, artigiano, pittore e tutto quello che c'era da fare.
Momò..., non per scordare quello che si era ma per ricordare quello che si è.
Nuccia Cesare