L’appuntamento fiorentino con Le Buone Pratiche del Teatro, organizzato da Mimma Gallina, Oliviero Ponte di Pino e Anna Maria Monteverdi, quest’anno è stato preceduto da due giornate preparatorie svoltesi a Ravenna e a Catania. L’incontro siciliano (Verso Sud. Una nuova politica per la cultura: progettualità, merito, trasparenza) si è rivelato un momento di confronto molto intenso. Un’occasione per fare un resoconto dello stato del teatro siciliano negli ultimi anni ma, soprattutto, un punto di partenza per un cambio di rotta.
L’appuntamento fiorentino con Le Buone Pratiche del Teatro, organizzato da Mimma Gallina, Oliviero Ponte di Pino e Anna Maria Monteverdi, quest’anno è stato preceduto da due giornate preparatorie svoltesi a Ravenna e a Catania. L’incontro siciliano (Verso Sud. Una nuova politica per la cultura: progettualità, merito, trasparenza) si è rivelato un momento di confronto molto intenso. Un’occasione per fare un resoconto dello stato del teatro siciliano negli ultimi anni ma, soprattutto, un punto di partenza per un cambio di rotta. Un buon punto di partenza considerando il fatto che vi hanno preso parte molte delle realtà teatrali siciliane e che a rappresentare la principale istituzione con cui tali realtà dovranno confrontarsi, ovvero l’Assessorato al Turismo e allo Spettacolo della Regione Siciliana, è stato Alessandro Rais che, non solo ha tenuto un lungo discorso concreto e del tutto privo di retorica, ma ha presenziato anche al resto dell’incontro, evitando il solito intervento-lampo al quale i politici ci hanno sempre abituati. Sospiri di sollievo in sala nel sentire sottolineata l’importanza di un rinnovamento e un ripensamento generale sul ruolo degli Stabili siciliani e nell’apprendere la definitiva sepoltura del famigerato Circuito del Mito, esperienza madre degli sperperi economici in ambito culturale. Tuttavia tale pessima pratica non si dovrebbe affatto dimenticare: ricordiamoci che il movimento dei Pre-Occupati a Palermo (dal quale dopo sarebbe sorto il collettivo che ha riaperto il Teatro Garibaldi abbandonato) nacque anche contro la cecità, la connivenza e la mancata lungimiranza della Regione. In un certo senso, potremmo dire che la risposta dei cittadini (una parte di cittadini, ovvio) sia arrivata prima di quella della politica. È anche per questo che, nonostante si possano trovare mille difetti nelle recenti esperienze di occupazioni di teatri un tempo pubblici, non se ne possono biasimare il disincanto e la mancanza di fiducia nelle istituzioni. Chi ci assicura che, trascorsa l’attuale reggenza alla Regione, non si torni a ricadere nel baratro? Che non si torni ad avere dirigenti dell’Assessorato al Turismo e allo Spettacolo che applaudano al teatro come all’ennesima forma di intrattenimento per turisti (come d’altronde recita la stessa denominazione istituzionale), che non abbiano idea di chi sia Grotowski? L’argomento è scottante e non è un caso che uno dei momenti più animati di queste Buone Pratiche siciliane sia coinciso con gli interventi del Teatro Garibaldi Aperto di Palermo e il Teatro Coppola – Teatro dei Cittadini di Catania. Le preoccupazioni sono diverse e non sembrano essere le stesse per i due teatri. Mentre gli occupanti del Garibaldi hanno cercato e cercano delle risposte anche dalle istituzioni, quelli del teatro catanese si dichiarano apertamente e provocatoriamente contrari a ogni tipo di ingerenza dall’alto. Le due occupazioni hanno generato quest’anno numerose polemiche, soprattutto quella del Teatro Garibaldi a causa, probabilmente, della poca chiarezza degli intenti: se all’inizio sembrava trattarsi di un gesto provocatorio e simbolico, in seguito è diventata palese l’intenzione di una vera e propria gestione del luogo con tanto di rassegne, festival e laboratori che col tempo si è rivelata non così “aperta” come da manifesto. Si è delineata una vera e propria direzione artistica blindata la cui impenetrabilità e la cui presunzione hanno scatenato l’ira di molti che, a parer nostro con toni fin troppo apocalittici, si sono spesi in parole, lettere, post sui social network carichi di risentimento, come se gli occupanti avessero sottratto a ciascuno di loro un qualche tipo di diritto. Sebbene non siano di certo mancate ambiguità ed errori, quello che possiamo affermare da semplici spettatori quali siamo è che, nonostante tutto, all’interno di quel teatro sopravvissuto ad anni di restauro pessimo e successivo abbandono, noi abbiamo visto avvicendarsi attori e spettacoli che altrimenti a Palermo non avremmo visto (in questo numero ne recensiamo un esempio eccellente). È vero, a volte il pubblico non è stato numeroso come in occasione di alcuni concerti, ma lo stesso potrebbe dirsi di altri teatri palermitani che ospitano compagnie di tutto rispetto lasciando che la platea rimanga mezza vuota. Molti degli accusatori hanno biasimato attori e registi celebri per aver offerto la propria opera alla causa del Garibaldi ma cos’altro hanno fatto questi registi o attori se non esprimere quello che sta loro più a cuore, ovvero la necessità del pubblico, la necessità di essere in scena ed esibirsi? Questa esigenza forse viene prima di tutto, prima ancora dell’esigenza di essere protetti, di avere delle garanzie e dei diritti. È per questo che le istituzioni dovrebbero sempre proteggere il teatro, senza aspettarsi nulla in cambio, perché la ricchezza che genera il teatro è soprattutto immateriale. A questo proposito, ripensando all’intervento di Cristiano Nocera del Teatro Coppola che ha dichiarato il proprio rifiuto di ogni ingerenza istituzionale, non possiamo che comprendere e condividere il suo stato d’animo, la sua sfiducia e la sua rabbia. Ma pensiamo all’ultima bellissima produzione di Lavoro Nero Teatro, Come Bach, la prima coproduzione del Teatro Coppola (in questo senso ci opponiamo all’affermazione di Dario Tomasello secondo il quale da questi teatri occupati non è stata prodotta nessuna opera d’arte): questo spettacolo e tutti coloro che l’hanno messo in piedi meritano di avere un futuro e per questo hanno bisogno di essere sostenuti, cautelati. Se, come si dice, “i soldi sono finiti”, preme escogitare delle alternative, ma pensiamo che il dialogo con le istituzioni sia comunque fondamentale al fine di garantire quel futuro che ci appare tanto nero e impossibile. I teatri “legali” dovrebbero dialogare con i teatri “illegali”, anche perché, checché ne pensino entrambi, il loro pubblico è spesso identico (fatta eccezione per quella fetta di pubblico assuefatta agli abbonamenti, fatta di spettatori che non scelgono cosa andare a vedere e che spesso riempiono le platee di molti teatri). Pagare tasse spropositate mentre altri, pur avendo un vero e proprio cartellone, non le pagano affatto non dovrebbe essere motivo di scontro ma di unione affinché le tasse stesse diminuiscano per tutti e così tutti potrebbero vivere più dignitosamente, pur nelle differenti scelte artistiche. Per tornare all’esperienza del Teatro Garibaldi ma anche a quelle del Valle e di tutti gli altri teatri occupati negli ultimi mesi, il nostro forse utopico invito è quello di una cogestione: un anziano affiancato a un giovane, un big insieme a un emergente, un direttore artistico con esperienza insieme a uno degli attuali occupanti. L’importante sarebbe, a differenza di quel che accade in molti stabili, la rotazione nella direzione, che nessuno si ammanti la proprietà di un luogo che dovrebbe essere pubblico nel senso più esteso della parola. Occasioni come Le Buone Pratiche potrebbero dunque essere un buon inizio per mettersi a tavolino e partorire dei piani B da sottoporre alle amministrazioni (che, secondo noi, ne hanno un estremo bisogno vista la carenza economica e di inventiva), dei piani che siano davvero rivoluzionari per l’avvenire del teatro e dei suoi spettatori.
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