Dopo 40 anni, la versatilità scenica di Loretta non perde la sua forza intrinseca, anzi ci appare sempre attuale e necessaria. Soprattutto se viene liberata da qualsiasi tipo di orpello, un corpo di fronte a un pubblico, come nella messa in scena della compagnia milanese PhoebeZeitgeist che da diversi anni esplora in profondità e con devozione la drammaturgia dell’autore franco-argentino.
Era il 30 maggio del 1974 quando Loretta Strong, l’infinita creatura di Raul Dalmonte, in arte Copi, debuttò al Théâtre de la Gaïté Montparnasse, a Parigi. In scena lo stesso Copi interamente vestito di giallo e poi completamente nudo dipinto di verde meno il pene dipinto di rosso. Un essere umano o animale? Un uomo o una donna? Loretta fin dai suoi esordi si presta alle interpretazioni più svariate, l’essenza stessa di Loretta è ibrida, mobile, schizofrenica. Dopo 40 anni, la versatilità scenica di Loretta non perde la sua forza intrinseca, anzi ci appare sempre attuale e necessaria. Soprattutto se viene liberata da qualsiasi tipo di orpello, un corpo di fronte a un pubblico, come nella messa in scena della compagnia milanese PhoebeZeitgeist che da diversi anni esplora in profondità e con devozione la drammaturgia dell’autore franco-argentino. La Terra è esplosa, Loretta è su un’astronave e deve adempiere una missione importantissima: portare l’oro su un altro pianeta prima che altri esseri dello spazio la derubino del suo tesoro. L’astronave non è altro che un triangolo argentato e lo stesso corpo di Loretta che in esso freneticamente si muove si colora d’argento luccicante riportandoci a un immaginario glittering alla David Bowie. La bravissima Margherita Ortolani è sola ma parla in continuazione rivolgendosi telefonicamente a una fantomatica Linda, la sua migliore amica, paventando l’arrivo di extraterrestri, venusiani o uomini scimmia della stella polare. È sola ma ogni oggetto o essere evocato, dal frigorifero alla miriade di topi dai quali si farà penetrare e con i quali concepirà altri topi, sembrano prendere magicamente forma attraverso le musiche e i suoni sapientemente costruiti da Giovanni Isgrò e le parole ripetitive e assillanti della protagonista, parole che perdono di vista il senso razionale per abbandonarsi al potere della visione. L’avventura di Loretta è un trip psichedelico? Alla fine della rappresentazione sento qualcuno mormorare: ma, secondo te, di che droga si faceva? In realtà Loretta Strong è molto meno di una visione allucinata o surreale. È l’avventura di chi entra in scena e decide di interpretare una parte e di dedicarsi totalmente a quella, assoggettando il proprio corpo alle richieste più pazze del palcoscenico, dando forma ai personaggi più disparati ai quali noi crediamo, in quanto pubblico fedele, decidendo di entrare anche noi dentro quell’astronave luccicante. Finché lo spettacolo non finisce, nonostante l’oro non sia giunto a destinazione (o forse sì?). Dopo essere più volte esplosa ed essersi più volte ricomposta, Loretta ci saluta (saluta se stessa) e, stremata, annuncia la fine del suo e del nostro viaggio. “Esco”.
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