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Theatre - Theatre Reviews - Review | by Marta Ragusa in Theatre - Theatre Reviews on 11/09/2012 - Comments (0)
 
 
 
Le Buone Pratiche del teatro 2012

Parlare di buone pratiche del teatro in tempo di crisi equivale a fare il punto della situazione sull’attività quotidiana di coloro che non solo resistono, considerando ancora utile e necessario il proprio intervento artistico, ma si fanno anche promotori di qualcosa di nuovo. Non si tratta né di autocelebrazione, né di autocompiacimento: Le buone pratiche del teatro è prima di tutto un’occasione di incontro e riconoscimento reciproco per nulla scontata.

 
 

“Il vento sta cambiando … così come ha continuato a cambiare in passato”, si legge nel documento di convocazione dell’ottava edizione de Le buone pratiche del teatro, appuntamento annuale organizzato da Mimma Gallina e Oliviero Ponte di Pino che quest’anno si è svolto il 25 febbraio a Genova. Nulla di preoccupante, quindi: nessuna rivoluzione. O meglio, le consuete piccole rivoluzioni che da sempre hanno cambiato lo stato delle cose, anche in ambito teatrale. Il tema dell’incontro del 2012 è stato “Movimenti e istituzioni”: un’analisi rapidissima sul rapporto, oggi ieri e forse domani, tra i movimenti spontanei, carichi di idee e utopie, e le istituzioni a volte ingessate e arroccate sulle proprie sterili certezze, altre un po’ più attente a recepire i messaggi di cambiamento che arrivano dai piani bassi degli addetti ai lavori. Analisi rapidissima perché, come di consueto, gli interventi sono stati numerosi e tutti molto brevi: appena 5 minuti ciascuno scanditi dal trillo di due o tre inesorabili timer da cucina. Una giornata intensa in cui decine di uditori e partecipanti sono rimasti per ore incollati alle proprie sedie, e non solo per l’atteso intervento del bravo e fascinoso Fabrizio Gifuni. Parlare di buone pratiche del teatro in tempo di crisi equivale a fare il punto della situazione sull’attività quotidiana di coloro che non solo resistono, considerando ancora utile e necessario il proprio intervento artistico, ma si fanno anche promotori di qualcosa di nuovo. Non si tratta né di autocelebrazione, né di autocompiacimento: Le buone pratiche del teatro è prima di tutto un’occasione di incontro e riconoscimento reciproco per nulla scontata. È vero che grazie alle possibilità offerte da internet le opportunità di scambio e di conoscenza sono infinite e prescindono dalle notevoli distanze geografiche. Tuttavia permane l’importanza dell’incontro fisico, reale tra operatori culturali, artisti e critici che, anche se solo per qualche ora, possono guardarsi in faccia, riconoscersi e confrontarsi in maniera più diretta. Le buone pratiche probabilmente serve a questo. Punto di riferimento per l’incontro di quest’anno, dato il tema prescelto, è stato senz’altro l’occupazione del Teatro Valle di Roma, per l’importanza fisica e storica della struttura e per gli esiti che ha prodotto e che sta producendo. Emblematico, a questo proposito, è stato l’incontro-scontro tra i rappresentanti del Teatro Valle Occupato e l’onorevole Emilia De Biase che ha parlato di retorica del giovanilismo e del pericolo di scadere nel qualunquismo nel caso in cui non si riconoscano, all’interno dell’ampio concetto di classe politica, le sue innumerevoli e diverse posizioni. Giulio Cavalli, attore nonché consigliere della Regione Lombardia, sostiene che la contrapposizione tra movimenti e istituzioni è vecchia e sicuramente ha ragione ma non per questo, seppur vecchia, smetterà di essere attuale se le istituzioni continuano a ignorare i cambiamenti palpabili nella realtà quotidiana e se, dall’altra parte, coloro che rappresentano i cosiddetti movimenti non fanno dell’inclusione il loro strumento e della creazione di modelli veramente alternativi il loro obbiettivo. La consueta tendenza al narcisismo, alla presuntuosa difesa delle proprie posizioni artistiche rispetto ad altre, come fossero roccaforti di un sapere eccelso, spesso non consente una spinta verso una vera collaborazione. Antonio Attisani stesso, nel suo amaro intervento ricorda l’importanza di mescolarsi, di mischiare le carte (mescolanza che cercò di applicare durante la direzione di Santarcangelo ’81 e a causa della quale ne fu cacciato). Ma dal quadro emerso da questa edizione de Le buone pratiche sembra che qualcosa stia cambiando. Forse è vero che nei tempi di maggior crisi si cerca nell’unione, nell’aggregazione un punto di forza, se in pochi anni (quando non in pochi mesi) sono nati coordinamenti, reti, associazioni e piattaforme che mettono insieme diverse realtà teatrali a livello regionale ma anche nazionale e che sembrano avere, come ricorda l’attrice Laura Curino a proposito dei movimenti degli anni ’60-‘70, due scopi principali: il riconoscimento della dignità del proprio mestiere e lo sviluppo di una maggiore capacità di dialogo con le istituzioni. Ed è così che sono nati il C.Re.S.Co (Coordinamento delle Realtà della Scena Contemporanea) che, attraverso un proprio decalogo, vuole tracciare le linee guida necessarie per una riforma normativa ai fini della tutela dei lavoratori dello spettacolo. O le reti regionali come la ligure TILT (Teatro Indipendente Ligure) o la siciliana Latitudini, impegnate nella creazione di progetti produttivi e distributivi comuni favorendo la collaborazione tra le diverse realtà teatrali nel territorio. O, ancora, l’associazione Être che raggruppa 22 residenze teatrali lombarde, la Piattaforma Cultura 3.0 nelle Marche e COSAS (Coordinamento Organismi Spettacolo e Arti Sceniche) in Sardegna. A parte qualche illuminata eccezione come la Regione Puglia che coraggiosamente indaga sul territorio appoggiandone le esperienze artistiche più genuine e giovani favorendo una vero e proprio stravolgimento nel panorama culturale degli ultimi anni, in luoghi meno felici della nostra penisola le buone pratiche si fanno a suon di battaglie quotidiane come quelle del Teatro di Gualtieri, restaurato a titolo gratuito da un gruppo di ragazzi che ne ha poi inscenato una provocatoria vendita all’asta, come la battaglia del Consigliere Comunale di Milano Luca Gibillini che ha proposto un nuovo regolamento per la tutela degli artisti di strada della sua città, quella stessa metropoli in cui sorge il Teatro Ringhiera, un spazio i cui gestori, spiega Serena Sinigallia (Compagnia Atir), vi lavorano coscienti di svolgere un servizio nei confronti della periferia degradata nella quale è incastonato, più che per farne il proprio personale teatro. Anche critici e spettatori di professione hanno deciso di mettersi insieme e così, l’anno scorso, grazie alla spinta di Oliviero Ponte di Pino, Anna Maria Monteverdi, Massimo Marino e Andrea Porcheddu, è nata Rete Critica. I suoi membri hanno almeno due elementi in comune: scrivono di teatro e lo fanno tra i flutti del web. Una realtà cangiante, mobile, in continua evoluzione ma non questo meno precisa, puntuale, onesta. Rete Critica, oltre che occasione per l’istituzione di un premio assai casereccio che l’anno scorso è stato consegnato alla compagnia Menoventi, è (ma soprattutto potrebbe essere) un’occasione di confronto sul senso della critica teatrale oggi e sottolinea l’importanza crescente della scrittura nel web. Sul versante del cartaceo abbiamo riviste e sezioni teatrali spente, asservite a logiche pubblicitarie, dedite quasi esclusivamente alla cronaca teatrale. Sul versante del web ci ritroviamo, invece, di fronte a una scelta molto variegata, un mondo fatto anche di critici molto giovani alla ricerca del segreto per poter scrivere di teatro e non morir di fame, di spettatori attenti, sensibili e disinteressati. Anche nell’ambito della giovane critica, però, non bisogna sottovalutare le trappole del narcisismo e della presunzione: sarebbe opportuno che, con sguardo sincero e umile, si guardassero i maestri, si ascoltassero, non per imitarli ma per imparare a capire quali, invece, debbano essere gli strumenti per la propria interpretazione della realtà immaginifica e fertile del teatro oggi, possibilmente senza partire da un’unica scuola di pensiero. Alla luce della lunga e intensa giornata a Genova nonché delle novità del modo di intendere spazi e occasioni teatrali (pensiamo ai casi di autogestione di luoghi storici abbandonati e recentemente occupati), se da una parte è vero che alcune meccaniche si ripetono nel tempo e quindi che “il vento sta cambiando … così come ha continuato a cambiare in passato”, dall’altra crediamo che il ragionamento sul concetto di bene comune, anche a teatro, possa dare i suoi buoni frutti. Ma solo a patto che si mettano da parte interessi personali e opportunismi nei quali, purtroppo, la crisi economica spesso potrebbe spingere anche le realtà nate con le migliori intenzioni. A patto che si lotti per una sana e condivisa affermazione, piuttosto che per la propria misera sopravvivenza.

 


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pen: Marta Ragusa

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