Teatri in città. XVII Festival del Teatro Contemporaneo
Il teatro possibile di Caltagirone. Anche quest’anno l’associazione Nave Argo di Caltagirone, nonostante il mare in tempesta nella gestione dei Beni Culturali e le scarse risorse materiali, garantisce un po’ di teatro di ottima qualità a chi, in paese, si nutre anche di cultura. In devota opposizione ai “patrigni della Patria”, la XIX rassegna “Teatri in città” è stata dedicata alla figura del padre, alla necessità da parte di ogni figlio di superarlo per garantirsi la propria personale affermazione nel mondo.
In un tempo senza tempo, Giasone e i suoi compagni Argonauti partirono in groppa a una nave chiamata Argo alla ricerca del mitico vello d’oro. Su una nave che porta lo stesso nome, oggi (ma ormai da quasi vent’anni) il teatro di Caltagirone cerca le condizioni più serene per poter mettere in pratica qualcosa di naturale ma affatto scontato: il proprio mestiere. Anche quest’anno, infatti, l’Associazione culturale Nave Argo, presieduta e diretta da Fabio Navarra e Nicoleugenia Prezzavento, ha permesso ai cittadini di Caltagirone di sognare, grazie ai succosi cartelloni di “Teatri infiniti” (luglio 2011) e “Teatri in città” (agosto 2011). Quello che dovrebbe apparire come la più normale delle consuetudini, andare a teatro, diventa nel contesto calatino, e non solo, un atto rivoluzionario. Ogni volta che ci si siede su una poltrona/sedia di plastica di fronte a un palcoscenico di “Teatri in città”, circondati da un contesto che è Storia ed Arte allo stato puro (negli ultimi anni la rassegna si svolge tra i fasti di villa Patti), ogni volta che si spengono le luci della platea e si accendono quelle della ribalta, si ha l’impressione di assistere a un piccolo miracolo. E se questo vale per tutte le volte che assistiamo a uno spettacolo, è ancora più vero per quel che accade a Caltagirone, dove non esiste ancora uno spazio fisico in cui vedere del buon teatro (“luogo di comunicazione franca e assoluta”, come lo definiscono i membri di Nave Argo), dove ogni anno bisogna fare i conti con gli spiccioli elargiti dall’Amministrazione. Questa volta, 3mila euro. Per le spese di affissione, per il palco, le sedie e la luce destinati a entrambe le rassegne: Nave Argo ci tiene a mettere nero su bianco, a condividere con la marea di amici e sostenitori di tutta Italia (i suoi compagni Argonauti) le cifre con le quali deve confrontarsi ogni anno. “Del contributo della Regione Siciliana ancora nessuna notizia”, si legge sul suo blog. Si può quindi affermare senza alcun dubbio che le due rassegne estive campano grazie ai loro protagonisti, le compagnie teatrali, le quali vengono retribuite a seconda degli incassi della serata.
“Teatri in città”, come ogni anno, è stato lo specchio della vitalità e dell’originalità del teatro siciliano. Il filo rosso che ha unito i sei spettacoli della rassegna è stato la figura del padre. Padri capi di stato come Tizio Re in “Pinocchio è scaduto”, della compagnia palermitana La Pentola Nera: un “politicattore” sempre sorridente e dai discorsi preconfezionati, un padre ormai in esilio, scaduto, il cui indecoroso addio è assecondato da un vero e proprio concerto musicale. Padri detentori della tradizione e del buon costume come i genitori di Nardino ed Emanuele ne “Le mille bolle blu” diretto e interpretato da Filippo Luna (tratto da un racconto di Salvatore Rizzo): tradizione che obbliga i protagonisti ad amarsi di nascosto, sempre più intensamente e disperatamente. Padri autori dittatori come l’Ariosto ne “L’Orlando furioso narrato dal mago Atlante” di e con Alberto Nicolino: contro lo scrittore, quasi cieco nel tessere la trama assurda di storie d’amore e di guerra prive di direzione, si scaglia la rabbia del mago narratore. Padri detentori del passato e del dialetto come in “Patri ‘i famigghia” del Teatro Vittorio Emanuele (Messina), in “Turi Marionetta” di e con Savì Manna (Catania) e in “Ferrovecchio” della Compagnia SukaKaifa (Trapani).
Ma se l’estate, grazie a Nave Argo, i calatini si riscoprono spettatori, durante il resto dell’anno il teatro a Caltagirone non esiste. “Al centro della città dovrebbe porsi l’edificio teatrale, al pari della piazza. L’edificio teatrale è un laboratorio dove si provano relazioni umane, è la sala unificata dove non c’è più una separazione fra scena e platea”: suona anacronistica questa citazione di Leo De Berardinis, in un modello di città in cui ormai quasi non esistono piazze o quelle che ci sono non vengono vissute e in cui, se si sente parlare di centro, non può trattarsi che di quello commerciale.
Nave Argo combatte da anni anche per la realizzazione di un teatro fisico dove poter mettere in scena ma anche costruire cultura. Dal 1995 e il 2006 l’associazione ha utilizzato il teatro “Vitaliano Brancati”, protagonista di una lunga lotta per la sopravvivenza sfumata nell’oblio, visto che lo spazio è stato dichiarato inagibile e che la cifra necessaria per poterlo comprare e restaurare è da capogiro. Ma da allora non si sono spente le idee per la creazione di un nuovo spazio pubblico, una “Casa del teatro”. Anche stavolta si tratta di utilizzare un luogo già esistente, l’ex Mattatoio nel quartiere Semini, dal cui proprietario (il Comune) Nave Argo aspetta ancora una risposta.
Sembra una battaglia contro i mulini a vento, quella di Nave Argo. Eppure, si potrebbe meglio definire una battaglia PER i mulini a vento, per la realizzazione cioè di uno spazio in cui non si possa solo consumare (a Caltagirone da anni fioriscono solo negozi di abbigliamento e ristoranti) ma anche e soprattutto fare. In linea con questa filosofia, Nicoleugenia Prezzavento e Fabio Navarra coinvolgono abitualmente nelle loro attività anche numerosi giovani liceali e universitari (progetto “Universo Teatro”) i quali si ritrovano a lavorare attivamente con il team organizzativo delle rassegne e a partecipare al backstage e alla stesura di recensioni.
Ma la lotta di Nave Argo non è una lotta solitaria: ovunque in Italia si sente l’urgenza di proteggere la sperimentazione teatrale, in contrasto con la gestione assurdamente retrograda dei Beni Culturali. Da una parte i Teatri Stabili per cui, più che di stabilità, si dovrebbe parlare di immobilità. Dall’altra i circuiti “chiusi” in cui determinate compagnie hanno accesso solo per opera dello spirito santo (si veda il misteriosissimo Circuito del Mito che da anni riceve fior di milioni dalla Regione Siciliana e che sceglie le compagnie da finanziare senza indire alcun bando pubblico). E così i teatri che un tempo si distinguevano per innovazione e sperimentazione vengono chiusi (è il caso del Teatro Garibaldi di Palermo) o venduti (quello che potrebbe capitare al Teatro Valle di Roma).
E ci si sente bene a sapere che il Valle è occupato da quasi tre mesi da chi veramente fa teatro; che gruppi di lavoratori dello spettacolo decidono di unirsi anche a Palermo (Movimento Preoccupati Palermo) per non continuare a subire le scelte fatte dall’alto ma di crearne essi stessi di nuove; che a Caltagirone dopo anni esiste ancora, nonostante tutte le difficoltà materiali, una stagione teatrale viva, folta, attuale che emozioni in maniera sempre diversa e originale. Se i tagli alla cultura equivalgono a eliminare uno dei principali luoghi di incontro della comunità, la comunità dimostra che quel luogo (il teatro) è comunque capace di sognarlo.
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