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Una Repubblica personale: Silvio Berlusconi a Lampedusa |
Berlusconi ha fatto due discorsi: uno dai contenuti istituzionali, ma dal tono personale; l’altro dai contenuti personali, ma dal tono istituzionale. Interessi e soldi. Sì, è questo il contenuto del secondo "discorso nel discorso". Qui il tono si fa pomposo: qui si mettono in campo le promesse concrete e i sogni da miliardari, che tanto affascinano il nostro popolo, italiano e pezzente, che vivendo nella miseria, si crogiola nell’invidia dei ricchi e ne gode come fosse il riflesso del proprio desiderio più profondo. |
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Ho seguito la diretta del discorso del capo del Governo ai cittadini di Lampedusa.
Ne traggo un’amarezza indicibile; mi arrovello nel tentativo di comunicare ciò che mi sembra ovvio, ma che sfugge alle parole e alla comune percezione delle cose.
Berlusconi ha ottenuto un apparente consenso unanime: applausi, urla d’incoraggiamento, parole di stima.
Ma cosa ha detto, oggi, il Presidente del Consiglio, ad un popolo che da un mese si affanna a tamponare, da solo, con i propri mezzi, un’emergenza umanitaria di proporzioni difficili da comprendere per chi non vive in un pezzo di terra circondato dal mare, dal quale non si esce camminando o prendendo un treno?
Cos’ha detto Silvio Berlusconi a chi ha affrontato tutti i giorni la situazione difficile di un’isola che scoppia, con la più onesta e sincera umanità? Offrendo cibo, vestiti, solidarietà a migliaia di giovani, di persone che venivano lasciate giorno e notte sul molo, bagnate dall’acqua del mare e dal sale dell’aria?
Berlusconi ha fatto due discorsi: uno dai contenuti istituzionali, ma dal tono personale; l’altro dai contenuti personali, ma dal tono istituzionale.
Forse è questo che mi ha così offeso, forse è questo che i Lampedusani che applaudivano non hanno visto, o voluto vedere.
Sì, perché se si parla di navi che smisteranno i migranti, evitando il sovraffollamento dell’isola; se si annunciano squadre speciali che s’impegneranno nella pulizia degli spazi pubblici per riportare Lampedusa alle condizioni di civiltà; se si stanziano fondi per promuovere il turismo di una terra che è stata precedentemente abbandonata e devastata; non si fa altro che il proprio, minimo, dovere istituzionale.
Non c’è forse da domandarsi il perché di toni tronfi e mussoliniani, in discorsi che non hanno nulla di eccezionale e di gratuito per chi li riceve?
Perché, infatti, il Presidente del Consiglio, quando parla ad un popolo che finora ha ignorato e annuncia l’avvio di provvedimenti che dovranno garantire a questo popolo le condizioni minime di dignità che gli sono state, ad oggi, negate, ha il bisogno di spacciare tutto ciò come una promessa salvifica, dai contenuti eccezionali? E, soprattutto, perché lo fa come se stesse “facendo un favore” personale ai suoi cittadini, senza accennare al fatto che tutto quello che presenta come straordinaria iniziativa di un uomo “che risolve i problemi”, è, in realtà dovuto?
Ho la sensazione orribile che l’urgenza di Berlusconi, che ha strappato di mano il microfono a chi lo precedeva, fosse di spendersi in una retorica pericolosa: quella dei regimi, in cui si vende il più banale dei diritti civili come una concessione del sovrano, mentre, sottobanco, si opera per cancellare la coscienza del diritto dalla mente dei cittadini/sudditi.
“Un discorso da campagna elettorale!” Mi si risponderà.
Bene, allora è in questa chiave che vorrei leggere la seconda parte di questo discorso: quella in cui il capo del governo parla con toni istituzionali di una sfera personale e personalistica, fatta di interessi spiccioli e di “piccioli” come si dice in siciliano.
Interessi e soldi… sì, è questo il contenuto del secondo discorso nel discorso.
Qui il tono si fa pomposo: qui si mettono in campo le promesse concrete e i sogni da miliardari, che tanto affascinano il nostro popolo, italiano e pezzente, che vivendo nella miseria, si crogiola nell’invidia dei ricchi e ne gode come fosse il riflesso del proprio desiderio più profondo.
Qui Berlusconi affonda. Adesso si parla di tasse, di detassazione, anzi, proprio come a L’Aquila, dove sarebbe il caso di andare a far qualche domanda prima di applaudire l’ennesimo favore. Si parla di miti dal gusto discutibile, ma dal sapore di regime: il premier ha in mente nuovi colori per l’isola, nuove forme e nuovi alberi da piantare, per trasformare il paesaggio più mediterraneo che si sia mai visto, da oasi africana a quello che egli stesso definisce senza vergogna: stile Portofino. E non potevano mancare gli esempi a costruzioni da lui stesso messe in opera e seguite, come se improvvisamente, un Governo, stesse cambiando funzione; come se in Consiglio dei Ministri o in Parlamento, si discutessero non le leggi, ma l’arredamento e il fashion style dei luoghi da governare. Ecco che il valore personale di una gestione della cosa pubblica si accentua, ecco che al discorso dai contenuti istituzionali si sostituisce il sottotesto affaristico della “novella” di governo.
Ma se ancora non fosse chiaro che si sta parlando di interessi, il Presidente del Consiglio, in campagna elettorale, decide di spostare ancora di più il focus del suo intervento, esprimendosi con chiarezza. La parola interessi è pronunciata proprio da lui. “Facciamo i nostri interessi”, dice, “sono stato su internet, ho visto una bella casa e l’ho comprata”.
Adesso il presidente del consiglio, in veste ufficiale, invece di parlare a nome del Governo, parla di sé. Spiega, anzi, un principio vergognoso, con i toni più rassicuranti che si possano costruire per raggirare il pubblico.
Il principio è questo: io sono ricco, se voglio, in un minuto, compro una casa, come compro tutta l’isola. Volendo potrei comprare l’Italia, se non lo avessi già fatto. Se compro qualcosa quello è mio, mi appartiene e, dunque, mi interessa. Ma non parlate di conflitto d’interessi, perché è noioso, è di sinistra. Parliamo invece degli Interessi, direttamente, senza conflitti, senza pensieri e preoccupazioni. Io compro, quindi sono cittadino di questo territorio.
Non sarebbe stato cittadino di diritto, in quanto capo del Governo, anche senza comprare nulla? Non è interesse pubblico la soluzione dei problemi di una parte dell’Italia? Non avrebbe curato gli interessi della collettività anche senza investimenti immobiliari? Non c’è un principio che sta al di sopra dei particolarismi, delle case, della proprietà?
Ma, soprattutto, non si può immaginare che l’azione di un Governo per gestire i problemi di un territorio dello Stato, sia la semplice normalità o norma?
Invece è la condivisione dell’interesse privato a sostituire l’accezione di condivisione insita nel concetto stesso di interesse pubblico.
Si è detto con chiarezza, non si è fatto passare un messaggio, lo si è urlato! Non vi prendete tutto il braccio, volete anche una scuola?
Il Governo personale della nostra Repubblica personale è fatto di favori e si basa sull’iniziativa di un uomo che si definisce più imprenditore che politico. Sì, che è un imprenditore la Sicilia lo ha capito bene. Che con lui si parla d’affari più che di diritti, molti già lo hanno imparato. Cosa deve diventare Lampedusa? Un’isola spazzata dal vento… vento che un giorno potrebbe soffiare su campi da golf e su un prato all’inglese, tra casette colorate in Portofino style, e tante discoteche per arricchire e risarcire tutti i cittadini oggi così incazzati.
Sì, il gusto è personale, è vero. Ma lo è anche tutto il resto? |
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Bibliography, links, notes: |
pen: Costanza Meli
foto: Associazione Culturale Askavusa, Legambiente Lampedusa |
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15 marzo 2011 Manifestazione LE PEN e BORGH a Lampedusa © Legambiente Lampedusa |
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Tunisini ospiti al centro Askavusa x rifocillarsi © Associazione Culturale Askavusa |
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