Siena. Teatro dei Rozzi. 18-09-’08 FINO ALLA FINE DEL MONDO FESTIVAL. Laboratorio Permanente di Ricerca sull'Arte dell’Attore. Di e con Domenico Castaldo. Giona il profeta.
Domenico Castaldo rappresenta il profeta Giona. Immagine corporale profetica, teatralmente figurale, dei tre giorni in cui il Cristo, prima di risorgere, se ne sta nel ventre della terra nera. Madre terra nera. Ah!
Vista la coloritura contemporanea che la drammaturgia (non è specificato, ma immagino sia dell’ ottimo attore stesso, giustamente presente, e presente in apertura, in esordio, alla prima sera di “questo” festival, il quale cura anche la regia) dà all’interpretazione del mito biblico, dobbiamo vedere un’apertura di speranza, un avviso di ottimismo nel futuro, uno slancio di fiducia progressistica, per la nostra realtà italiana ridotta così malaccio. Oggi fallita ufficialmente l’Alitalia. Oggi decretata ufficialmente la recessione e la previsione del PIL e dei consumi statici o sotto zero. Oggi giornata della rappresaglia etnicotribale sulla Domiziana.
Alle spalle dell’attore, il quale userà al massimo 3 metri quadrati, producendo una tensione e uno studiatissimo moto, intelligentemente dal punto di vista scenico e pur vario muovendosi sempre in poco più che 1, su una pedana di poco sopraelevata (la quale contribuisce a racchiudere la scena concentrandola) Gianni Maestrucci sonorizza percuotendo e strofinando, con le sue bacchette, uno xilofono a canne e varie altre percussioni belle a vedersi. Qualche colpo ai bandoni di lamiera che riflettono ramei e bronzei svolazzano ai lati lo dà anche l’attore col suo bastone nodoso e legnoso da profeta elegante. E saranno momenti drammaturgicamente importanti visto l’accompagnamento che ne fanno anche le luci. Ad esempio il momento topico prima del silenzio inghiottito, quello dello sprofondamento nelle viscere della gigante creatura degli abissi, madre oceanica piena di vite in origine, ma anche di escrementi fecali di altri animali morti corrosi digeriti; ed entrambi i gruppi spingono alla stessa maniera. Misteri della vitamorte.
Partiti i lunghi e sentiti applausi, ci sono volte in cui gli applausi si sentono più forte di altre, si riaccendono le luci sull’attore napoletano che suona improvvisando col musicista che ha diviso con lui la scena, costituendo la scena; tale è l’intensità dell’interplay che me lo sento: finirà che due o tre colpetti li darà anche al musicista biancovestito e dalla celeste naturalezza, attorniato dopo lo spettacolo, alla bevuta eccelsamene esemplare offerta dal Consorzio del Chianti Classico, da sei belle ragazze nel fior degli anni. Puntuale arriva infatti il colpetto finale affettuoso sul corpo del musicista. Ma l’uso delle spazzole sui piatti come se davvero stesse spazzolando, quello no, non me lo aspettavo. Ecco anche cosa ci vuol comunicare Domenico salutando il pubblico senza inchini: l’attore non usa le spazzole per suonare le percussioni; con le spazzole, le spazzola.
Va bè, tanto ormai avete visto che questo scritto ha una struttura contorta e fallace con parentesi zoppicate, ve lo metto qui. Un appunto sulla validità drammaturgica di un passaggio dello spettacolo. Quel passaggio dove si dice che gli abitanti di Ninive si chiamano per caso Milanesi, quelli che non sanno neanche come lodare Dio, il Dio che magari tanto tengono presente. Ecco, davanti ai Milanesi, Milanesi di qualsiasi città, nazione o latitudine, magari, la cosa non funzionerebbe. E’ un po’ diciamo, a tesi. E ve lo dico io, maremmano, bianciardiano, antropologicamente antistante ai Milanesi più e più dei Romani o dei Napoletani.
Da notare molto positivamente invece l’atmosfera mediterranea, l’efficace, a tratti spassosa, commistione + sfondamento postmoderno delle fonti e dei contesti storici.
Poi lo spettacolo finisce proprio così: che la voce di Dio e la voce di Giona sono una cosa sola.
Che Dio e Giona sono una cosa sola. Che Dio e i suoi eletti sono una cosa sola. Che Dio e chi per lui parla sono una cosa sola. La medesima ora.