Dalle 10 e mezza di mattina alle 2 di notte. Amlet 's portraits portrait degli attori di Latella chiude all'Astra il festival delle colline torinesi 2008.
Hamlet’s portraits . Regia Antonio Latella. Teatro Astra.
Festival delle colline torinesi. 28 giugno 2008.
La giornata dedicata al protagonista del capolavoro Shakespeareiano così si struttura: sei sezioni, ognuna con un titolo, ognuna divisa in due parti, tranne l’ultima che costituisce essa stessa una parte, un atto unico. Ogni parte è pensata per essere autonoma. Naturalmente seguendo tutte le parti di fila lo spettatore perde qualcosa riguardo alla lucidità dei dettagli e qualcosa guadagna in visione d’insieme. In questo resoconto cercherò di privilegiare l’organicità dello svolgimento.
Ecco comunque i titoli delle sezioni :
1-Ombre, 2-Potere, 3-Fratelli/Follia, 4-Spie, 5-Teatro, 6-Testamento.
La sezione Ombre è divisa in I becchini e in Il mondo delle ombre, le guardie e lo spettro.
La sezione Potere è divisa nelle parti relative a Re Claudio e a Regina Gertrude.
La terza sezione è dedicata a Laerte, protagonista di una parte, e ad Ofelia, protagonista dell’altra.
La quarta sezione dedica un parte a Polonio e una a Rosencranz e Guildestern (interpretati dagli stessi attori che facevano il prologo: I becchini).
La sezione intitolata Teatro è divisa naturalmente nello Spettacolo dei comici e nella parte intitolata Il duello, da più punti di vista la più azzardata e pesante da sopportare.
La sezione finale intitolata Testamento è un’unica parte intitolata Amleto dove finalmente Amleto è protagonista appoggiato da Orazio il quale è praticamente “filo conduttore” di tutta l’opera, di tutta la giornata. L’attore che interpreta Orazio, l’unico personaggio che scampa la tragedia della morte, sta praticamente in scena tutto il giorno, ed è il suo “diario” il punto di vista da cui guardiamo questa versione Latelliana dell’Amleto. Il ritratto d’Amleto di cui parla il titolo è un quadro composito che ha: per soggetto l’archetipo Shakesperiano (che già rimaneggia,classico modo di operare del Bardo, materiali pre esistenti); per pittore Latella; per punto di vista Orazio; per pennelli gli attori interpreti dei personaggi i quali costruiscono ognuno la propria parte anche dal punto di vista drammaturgico. I pennelli insomma danno il loro contributo alla scelta e all’uso dei colori operata dal pittore. Così che l’unica garanzia dell’unità stilistica dell’insieme è ancora una volta il regista napoletano.
Quindi questa versione si presenta anche come una specie di enciclopedia bignamistica di vari approcci teatrali, sia dal punto di vista attoriale che di scrittura scenica. Stare a disquisire sulle varie parti non è quello che sto per fare. Anche perché su un mastodonte come questo potrebbe tranquillamente svolgersi una tesi universitaria (di quelle pre-riforma però, di quelle old skool, non come quelle odierne che bastano 35 pagine). Per farla breve I becchini fa da prologo, e chi non è stato colpito sin dalla prima lettura dell’Amleto (questo tizio iconograficamente sempre col teschio in mano) dal rapporto che il principe di Danimarca ha con la morte materiale e con i resti ossei che lascia. Nel prologo appunto si gioca con teschi plastici e con l’immaginazione dei clown becchini che li vuole di autori trapassati e che li mette in una vendita che sembra d’essere al mercato o all’asta. Bella senz’altro l’immagine finale dei teschi sparsi per la scena illuminata con molti tagli piano terra.
Il mondo delle Ombre, tutto giocato su un modernissimo teatro cinematico immagine/di figura pieno di suggestioni gotico fiabesche ad esporre l’antefatto recuperando la filologia del testo, i becchini nel testo di Shakespeare entrano all’inizio del V atto. Ed ecco apparire lo spettro, il padre morto d’Amleto che torna a chiedere vendetta. Ed ecco apparire il nudo Latelliano, che abbandona la crisalide dell’armatura come una farfalla di morte la crisalide di vita, supportato poi da stampelle. Complimenti glieli ometto, all’attore, perché il fragore degli applausi è bastato. Poi Re Claudio, dopo la presentazione di Orazio domina la scena da vero istrione e conduce la sua parte con sensualità erotica del potere propria della criniera del leone. E’ tutto uno sbrilluccichio di spogliarello del potere che non si mette mai a nudo così che non si dica: il re è nudo. Finisce però a frignare per il giocattolo radiocomandato che si inceppa. Destino dei potenti che arrivano al potere per frodi, omicidi o altre amene disonestà. Facendo leva sul motore sessuallussurioso che è la vera radice parallela di certe energie che spingono e che assetano di potere. Così va la vita. Poi c’è la Nicole, Ubu guadagnatosi come Medea, che fa la Regina Gertrude, mamma d’Amleto, sposa puttana, mandante dell’omicidio di suo marito, convolata a nozze con l’assassino di lui che ancora non le si erano consumate le scarpe con cui aveva percorso la via luttuosa del funerale fino alla tomba nel cimitero. Va bene, lei, l’acrobata della spina dorsale, fa un pezzo molto fisico, con scarpette da danza sotto il vestito anch’esso crisalide, si piega in due (dal ridere?). Cambia interpretazione attoriale della stessa battuta alternandosi parrucche, è vichinga, donna forte nordica, risolta, rude, ride forte ebbra anch’essa di potere che dà alla testa. 10 alla specchiera reggiparrucche con teschietti.
Laerte la butta sul concettualcontemporaneo serio emozionando e usando tutto l’usabile intelligentemente. Sbraita, si presenta strisciando con trentatre magliette (auguri di buon compleanno) addosso che recano ognuna un paio di versi del MONOLOGO, si spoglia, canta i Radiohead si traveste da donna e poi finisce in grembo alla donna che disegna con le magliette sparse in scena, non trattengo sguaiate risate quando fa la bocca della figura femminile con le mutandine. L’attore appena chiuso il sipario ancora ondulante si lascia andare ad un grido liberatorio mentre scrosciano gli applausi. Ofelia si prende gli applausi prima di cominciare, canta della roba lirica in spagnolo circa cavallo 5/600 credo, poi interpreta il suicidio di Ofelia come suicidio di artiste femminili, affoga ermeticamente una quarantina di bombolette tutte uguali tipo Barbie, ma si dimentica Amelia Rosselli. Le vorrei chiedere il perché ma sarà per un’altra volta.
Polonio attacca da clown, mascherona, mosse da clown serioso di benvenuto invito, proiezioni ossee, scheletriche, radiologiche ritoccate bene, poi si cava dei teschietti dal di dentro li chiama per nome e insomma va a letto, ma è il topo. Trappola per topi. Lui ci rimane secco senza nemmeno bisogno dell’esca. No no. L’esca c’è e pure la grande trappola classica. Sarà un topo ma tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino. I ragionamenti di Orazio non fanno una grinza. Tra parentesi.
Rosie e Guildy giocano comicamente una scena minimale e diciamo realistica tutta giocata sul proscenio a sipario chiuso. Un intermezzo un tempo si chiamava. Si travestono, fanno un po’ di metateatro come filologicamente nel testo, anche loro rappresentano la scena del delitto, e si guadagnano gli applausi come sempre fa chi regge degnamente il comico.
Teatro vede tutti schierati in scena (Rosie e Guildy come siamesi), rivestiti a festa (funerea) tranne il re nudo (Per davvero. E’quello morto. E’ il suo spettro), il re in cotta di maglia e un figuro di spalle col cappuccio della felpa nera corvina che ha l’aria di divertirsi per niente e di stare molto attento. E’ la volta del teatro dentro il teatro. Scena tutta per le luci atmosferiche. La prova emozionale dell’assassinio. E’ la volta di Belletti, Di Bella, Albarello, carte 6 6 e 6 nella grafica superba superpatinata del libretto di sala. Si mettono in fila indiana rivolti al pubblico e come il dio kalì o meglio come un sol uomo, inscenano il pezzo che rappresenta il fattaccio salendo ogni volta che lo ripetono di velocità creando tensioni che stanno nello spettatore smascherato. L’usurpatore. Orazio conferma. Amleto è pronto al duello.
Ed eccoci al duello. Con tanto di spade, lance, scudi, stiletti, fioretti sciabole, spade, daghe e non so cosa siano. Manca solo la katana di Regina Uma da extralandia. Amleto contro tutti. Gronda sudore. Orazio porge armi a tutti. Dietro c’è una regia studiata da un maestro d’armi con tanto di assistente. Tutti gli attori in nero e canotta nera. Tutti contro Amleto che da eroe sudando gli affronta. Il caldo è estenuante per noi che siamo il pubblico, figuriamoci per loro nella fossa dei leoni. Per tutto il giorno, per consentire i cambi scena siamo entrati ed usciti dalla sala alla fine di ogni parte. Per consentire i cambi scena e per far areare il locale prima di essere soggiornato nuovamente. Tutti si sventolano. Consumatosi il duello. Entra Amleto con Orazio. Foschi che interpreta l’eroe attacca con dostoieschi. Il resto è Amleto. Ancora MONOLOGO e Hamletmaschine di Muller che la Russo, dopo, mi consiglia vivamente. Già Tiezzi Federico teorizzando la suo idea Amletica aveva preso quest’ultimo come nodo, sottolineandone l’imprescindibilità. Foschi ha tutto un modo suo svagato di recitare, va oltre al gigioneggiare, non so se è sempre così, ma è davvero una sua cifra particolare. Sta ancora combattendo contro la retorica simulandola e dissimulandola siccome ce ne è bisogno sempre. Lotta contro la retorica del recitare, del dire, del mettersi in bocca le battute in maniera teatrale. Che spero voglia significarvi qualcosa. Non capisco il bisogno della danza nevro tecno spezzata però soprassiedo. Amleto è personaggio di oggi. Odierno eterno. Bellissimo lasciatemi dire almeno un particolare: alla fine della giornata, soprattutto per Orazio che ha avuto davvero una di quelle giornatine, bellissimo dicevo come i due attori rendono l’amicizia tra i due personaggi. E’ come se l’amicizia che sembra esista da sempre tra i due attori, venga spinta a forza e con naturalezza, da Foschi tra i due personaggi, realmente amici di quella amicizia nella finzione. Insomma Foschi inscena la più grande tragedia, quella dell’attore sul palco, facendo dentro e fuori la forzatura, in modo naturalissimo, tra realtà finzione rappresentazione testo e se stesso. Si vede da come tiene il pubblico.
Insomma una grande giornata di teatro, la conferma per quello che è il mio piccolo punto di vista, dell’arte dell’Antonio internazionale. Lui stesso dice : “Il grande tema è il teatro. Non Amleto.” E sull’opera prima citata di Heiner Muller: “E’ una scelta intimissima che mi accompagna tantissimo. Io credo che lui sia il più grande autore che ha lavorato sul non essere per arrivare ad un nuovo essere. Metteva in evidenza il male per ricostruire.”
Qui la chiudo che sennò viene una lungagnata il mio articoletto. Qui lo chiudo perché FOR NOTHING, “Progetto non essere”, era un po’ il tema conduttore dell’edizione 2008 del festival delle colline torinesi che si conferma vetrina di primissimo piano e grandiosa organizzazione. Organizzazione funzionale (è già fuori il programma della stagione teatrale prossima ventura. E che stagione! Dove ogni cosa trova il suo giusto spazio, roba da trasferirsi lì solo per quella) che riflette lo spirito di questa grande città europea, adesso capitale mondiale del design, così poco italiana. Giri per i larghi portici perfettamente pavimentati, ammiri praticamente la spaziosa geometria del quadrilatero, respiri l’ampia urbanistica architettonica ovunque per il centro e cogli il piacere di una dolce vita europea e pensi che sì: solo loro potevano portare a termine l’unità d’Italia.
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