Il sentimento della paura attraverso gli occhi di un clandestino che intraprende un viaggio, per poter continuare a vivere, per poter continuare a sperare.
Il romanzo di Skif è scritto con il sangue, il sudore e il dolore di tutti i clandestini del mondo; la storia di un uomo come esempio universale: il viaggio di un singolo individuo per dipingere l’atteggiamento contraddittorio e ipocrita di noi europei grassi e distratti di fronte al grido sordo d’aiuto degli immigrati.
Skif non teme di sporcarsi le mani nella descrizione dei fatti, la sua narrazione affonda le dita nelle viscere per sentirne l’umore. Lo scrittore fa dire al suo protagonista: “Il vero nemico era la paura, che ci faceva aggrovigliare le budella e si conficcava nella gola come un pugnale. Basta una sola pallottola per avere paura, per giustificare una corsa che non si arresta nemmeno se scarichi piscia, merda e vomito ogni ora. La paura fa male anche quando alle viscere non resta altro da espellere se non la bile delle giornate nere.”Questa paura è il vero metronomo impazzito di tutto il romanzo, che come il cuore di un clandestino batte con folle coraggio per riuscire ad ottenere una vita dove la parola domani sia una realtà e non un’ipotesi.
La scelta di traduzione del titolo da parte della casa editrice italiana rende giustizia alla storia raccontata, ma esclude tutte le allusioni sociologiche che il meraviglioso titolo originale esprime: “La Géographie du danger”. Si, perché tutte le speranze degli uomini e delle donne si frantumano davanti a muri, confini, frontiere, dinanzi all’invenzione stessa della geografia, generatrice di linee divisorie sulle cartine. Uomini ricchi e avidi hanno eretto muri e messo guardie armate per proteggere i confini del loro piccolo mondo incantato. Il protagonista del romanzo ha bucato le barriere di questa difesa e il suo sguardo si posa inesorabile e lucido sulle nostre comode esistenze. “Il luogo dovrebbe essere occupato dal mio benefattore: Michel Dalbin, studente in geologia, che un giorno vorrebbe esaminare il mio paese. Per il momento, lavora con un gruppo di ricerca su un progetto che unisce tettonica, petrologia, geochimica, geocronologia e geomatematica per mettere a punto dei modelli volti ad analizzare l’erosione che sta devastando la geografia del terzo mondo”. Poi questa tagliente affermazione: “I diritti umani servono da maschera all’esercito e alla chiesa”.
E ancora a fine libro: “ (...) nei vostri cuori i cani hanno uno spazio più grande di noi, umani di second’ordine, scorie d’Europa e di un mondo talmente ricco da spappolarsi il fegato con i suoi banchetti omicidi”. Il romanzo di Skif analizza l’angosciante esperienza del doversi nascondere e la somiglianza con “Il diario di Anne Frank” é straordinaria.
Ieri come oggi alcuni uomini braccano altri uomini, ma ieri come oggi qualcuno ha la forza di raccontare.
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