Kale Borroka è un progetto di teatro-danza aperto, a geometria e partecipazione variabili ed in permanente evoluzione.
Nasce senza soluzione di continuità dal laboratorio di Teatranza avviato all’interno della Cascina Autogestita Torchiera Senz’Acqua di Milano nel lontano 1998.
La teoria e la pratica di fondo del collettivo consistono, fin da allora, nella contaminazione dei differenti mezzi espressivi e nell’attraversamento dei confini artificiali ed artificiosi che separano ed interrompono la creatività e la comunicazione. Valicando disinvoltamente le frontiere (im)poste tra i generi dell’arte e dello spettacolo (tra teatro e danza, tra musica ed arti visive, tra parola e corpo) e passando attraverso le pareti che (de)limitano i luoghi deputati all’esibizione ed alla rappresentazione (dal teatro alla cascina, dal “centro” alla strada di periferia) l’attività del gruppo si è fatta “guerriglia” culturale “urbana”, arte militante legata a temi socio-politici di attualità e pronta ad esplodere, quando e dove meno te lo aspetti, in performances coinvolgenti.
L’integrazione sempre maggiore all’interno del corpo danzante di alcune ragazze del C.S.A. Baraonda di Segrate ha riconfermato e rafforzato l’impegno ed il valore politico ed artistico del gruppo che si sono manifestati in svariati contesti ed occasioni: dai cortei contro i CPT (centri di permanenza temporanea) per clandestini, agli happenings inventati ad hoc per invitare al Social Forum di Genova 2001 e per invitare a riflettere sulla guerra in Afghanistan, sull’accesso all’Acqua potabile (tema caro alla Torchiera Senz’Acqua), sulle drammatiche trasformazioni del mercato del lavoro.
A partire da ed a sostegno delle azioni di piazza e di strada è proseguita un’attività laboratoriale costante che ha consentito di affinare le coreografie e le idee, producendo spettacoli dalla forma compiuta.
Le Kale Borroka (o KiBiLé come ultimamente preferiscono abbreviarsi) sono reduci dalla loro ultima fatica, “Tempore”, riflessione sulla flessibilità che il nuovo mercato del lavoro impone alle nostre stesse esistenze.
Nonostante ci capiti di incontrare qualche KiBiLé un giorno sì e l’altro pure, abbiamo rivolto loro le seguenti domande per il tramite di un foglio battuto al computer (diavolerie moderne che rendono impersonale e virtuale ogni rapporto). Due mesi dopo una portavoce del gruppo che chiameremo K., poiché le fanciulle ci hanno chiesto di mantenere il massimo riserbo e l’anonimato, ci ha restituito due foglietti scritti a mano in bella calligrafia (arretratezze tecnologiche imperdonabili nel 2005). Ecco il risultato.
SA: Chi siete?
KB: …è una domanda filosofica?
SA: Sì, ma quante siete?
KB: Il gruppo danzante ora è composto da quattro ragazze, ma il numero varia abbastanza frequentemente. Spesso alle nostre produzioni si affiancano persone con capacità tecniche facilmente correlabili al nostro elaborato creativo (videomakers, montatori, registi, costumisti, menti pensanti…).
SA: Da dove viene il vostro nome?
KB: Nei paesi baschi Kale Borroka significa “guerriglia urbana”. L’espressione è da collegare alla lotta di resistenza indipendentista del popolo basco.
SA: E voi, da dove venite?
KB: La nostra esperienza artistica è strettamente legata alla nostra attività politico-culturale. Parte di noi (due, ndA) collaborano nella gestione della Cascina Occupata Torchiera Senz’Acqua di Milano e le altre (due, ndA) provengono dal Centro Sociale Autogestito Baraonda di Segrate.
SA: Dove andate?
KB: Andiamo ovunque… o quasi…
SA: Cosa portate?
KB: Noi stesse, un po’ di musica, un video e qualche vestito.
SA: Un fiorino!
KB: Perché no! Potrebbe esserci utile per il trasporto del materiale…
SA: Ciascheduna di voialtre si presenti in codesta maniera: “se fossi un passo di danza sarei…”
KB: I passi di danza delle nostre performances sono espressione della nostra interiorità, dei nostri vissuti, dell’interpretazione personale di ciò che vogliamo comunicare all’esterno. Solo guardandoci avrete una risposta…
SA: Teatro-danza o danza-teatro? Teatranza o danzeatro? Il teatro è danza o la danza è teatro? Danzate recitando o recitate danzando? La vita è un sogno o i sogni aiutano a vivere meglio? E Marzullo invece?
KB: Per noi la danza è teatro in quanto entrambe sono forme di comunicazione con il pubblico. Ciò che ci differenzia dal teatro è il linguaggio utilizzato, ma anche, in alcuni casi, il tipo di pubblico. Noi ci rivolgiamo anche a chi a teatro non ci può andare…
Marzullo?! …Ce lo sogniamo la notte…
SA: Illustrateci il vostro metodo di lavoro (nel senso della costruzione dello spettacolo).
KB: Non abbiamo un metodo di lavoro predeterminato. Molto del nostro prodotto nasce dall’improvvisazione. In genere, comunque, cerchiamo di partire dall’analisi interiore del senso che diamo al soggetto da rappresentare. Cerchiamo di elaborare prima mentalmente quello che vogliamo dire e, poi, lo facciamo con il corpo. Insomma, parliamo con il nostro corpo.
SA: Parlateci (con le parole) della vostra ultima fatica (nel senso dello spettacolo).
KB: La nostra ultima fatica si chiama “Tempore” e nasce dal concetto di “Precariato”. Cerchiamo di comunicare un senso di flessibilità, instabilità, capacità di adattarsi ad ogni situazione e di adeguare le proprie abitudini, le proprie emozioni e relazioni familiari e amicali ai tempi dettati dalla società.
Cerchiamo di interpretare la condizione in cui, oggi, la donna e l’uomo sono posti. I ritmi secondo i quali siamo costretti ad adattare il nostro corpo ed a modificare la vita. Il nostro ultimo lavoro è questo ed altro…
SA: Per voi la precarietà è un concetto solido?
KB: Diciamo che si sta solidificando sempre più…
SA: Su quale colonna sonora vi piacerebbe danzarecitare? Su quale colonna non recitanzereste? Non sarà perché è troppo alta ed avete paura di cadere?
KB: La nostra colonna sonora è perfetta, ma potremmo adattarci a qualsiasi musica. Ogni suono è un input per il corpo.
SA: Qual è il luogo più bello in cui avete dato spettacolo?
KB: Senza dubbio il Baraonda ed il Torchiera.
SA: Il posto in cui non tornereste?
KB: Senza dubbio il Baraonda ed il Torchiera… no, non è vero! Anzi… confermo il contrario… il posto diventa bello o brutto in base alla gente che c’è a guardarti.
SA: Qual è lo spazio nel quale sognate di esibirvi ?
KB: Ognuna di noi darebbe delle risposte diverse. A me, ad esempio, piacerebbe fare delle performances nelle discoteche per lanciare dei messaggi diversi da quelli abitualmente divulgati in questi luoghi.
SA: Perché non avete risposto “il Baraonda e il Torchiera”?
KB: Perché è un sogno già realizzato.
SA: Nel vostro gruppo non c’è l’ombra di un uomo. È una scelta? E se sì, una scelta di chi? Vostra o degli uomini? Non sarà che dietro il vostro gruppo si nasconde l’ombra di un uomo?
KB: L’ombra di un uomo in effetti c’é. Nell’ultimo progetto a cui stiamo lavorando – se guardate bene – è proprio dietro il videoproiettore… è l’ideatore di tutta la parte video.
SA: Cosa pensate del Babau (domanda provocatoriamente Marta, ndF)?
KB: È un pensiero traumatico dell’infanzia che abbiamo rimosso…
SA: E della Marta (chiede Franz con una preposizione articolata davanti a nome proprio che fa molto milanese, ndF)?
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