In occasione della decima edizione di Teatri in città, festival che Nave Argo organizza annualmente in quel di Caltagirone, abbiamo incontrato la compagnia Teatrinviaggio per parlare del loro Orlando Innamorato, tra una granita di gelsi ed il desiderio latente di distruggere almeno una delle numerose ceramiche artigianali che sommergono la cittadina siciliana. La pazienza di Gianluca Di Lauro è stata olimpica, e con lui ringraziamo gli altri guitti che in forma di Briscola hanno animato Piazzale Cappuccini: Valentino Dragano, Katia Pantalla (la Vanda!) e Fabio Ridolfi.
SA: Da quanto tempo state insieme?
GDL: Già da qualche anno. Come gruppo ci siamo incontrati nel ’94 attorno ad un progetto di formazione per giovani, che nasceva allora con l’intenzione di creare una compagnia di attori e di personalità che ruotano intorno al teatro. All’epoca avevamo fatto tutti delle esperienze di laboratorio, a scuola o in situazioni analoghe, e ci siamo trovati nell’Associazione Progetto Novecento. Il progetto era un lavoro triennale che avrebbe dovuto raccontare la storia d’Italia dal 1918 fino ai giorni nostri con tre spettacoli. Soprattutto la prima parte era ispirata a Novecento di Bertolucci. Ci siamo conosciuti in quella circostanza ed i primi tre anni sono stati anni di formazione e di messa in scena degli spettacoli. Allora, eravamo un gruppo molto ampio di 20, 25 ragazzi.
SA: Voi eravate già tutti lì?
GDL: Noi sì, c’eravamo tutti. Anche Raffaella Chillé, che è attualmente la nostra regista ed attrice della compagnia, era tra i fondatori dell’associazione in qualità di trainer attorale ed ha curato la nostra promozione fin dall’inizio. Lei faceva parte dello staff di professionisti affermati che seguivano i giovani attori.
SA: Facevate qualcos’altro nel frattempo?
GDL: Sì, seminari ed esperienze di palco con questi spettacoli. Abbiamo partecipato per due, tre anni al Festival Europeenne de Theatre di Grenoble, e questa è stata l’esperienza più significativa. Dopodiché, finito questo percorso triennale, una parte di noi ha scelto di continuare e di fare del teatro il proprio mestiere. Passato qualche anno d’assestamento, in cui avevamo cominciato a fare uno studio sullo spettacolo di strada che si chiamava la giostra di Orlando e che rappresenta l’antenato dell’Orlando Innamorato, abbiamo sentito l’esigenza di fare uno spettacolo più compiuto che si avvicinasse anche alla storia dei cantastorie lombardi. Facendo qualche ricerca, è venuta fuori una famiglia di cantastorie che veniva da Pavia, la famiglia Callegari. Questa famiglia fino a metà degli anni ’70 ancora girava e dopo aver cantato per un certo tempo le storie, riusciva a vendere un santino. Il loro era anche un modo per vivere e da lì, ci è venuta l’idea dell’acqua dell’amore che la compagnia della Briscola commercializza.
SA: Avete fatto qualche ricerca sul testo di Boiardo, sui cantari toscani o sulla fisionomia letteraria del Quattrocento ferrarese?
GDL: No, non siamo andati molto a fondo rispetto a Boiardo. Anzi, ci siamo basati sulla riscrittura in prosa dell’Orlando fatta da Celati.
SA: Come viene fuori il vostro spettacolo sull’Orlando Innamorato?
GDL: Un po’ a fasi che si rincorrono. Ogni spettacolo è diverso ma per l’Orlando sicuramente c’è stata una prima lettura ed una scelta —innanzi tutto- di cosa raccontare. Così abbiamo deciso di fermarci alla battaglia di Albracca ed all’interno, di seguire il filone dell’amore e del disamore. Quindi, gli innamoramenti di Angelica per Orlando e l’episodio della fonte dell’amore. Dopodiché abbiamo iniziato ad improvvisare sulle singole scene: Il torneo di Pentecoste, Malagise ed i diavoli, l’apparizione di Angelica, e dall’improvvisazione a passi successivi abbiamo trovato un feel-rouge che è diventato molto più chiaro nella versione attuale per il fatto che eravamo una compagnia di guitti, la compagnia della briscola appunto. Abbiamo quindi lavorato sul rapporto tra questi guitti ed i personaggi; per questi ultimi siamo andati a cercare nel testo mentre per lavorare su cantastorie e guitti, abbiamo fatto uno studio che riguarda la storia e la tradizione delle nostre parti.
SA: Gli spettacoli di pupari hanno influenzato il vostro Orlando?
GDL: Si, soprattutto sulla qualità. Sentire e vedere come si muovono i pupi è servito a dare un’impronta più precisa ad alcuni aspetti dei nostri personaggi. Avevamo visto qualche video…certo non è la stessa cosa che vederli dal vivo, ma a Milano non c’è molta possibilità di vedere spettacoli di pupi. Quando invece a Palermo siamo andati alla Macchina dei Sogni, alla prima sera ci siamo trovati immersi in una piazza dove si affollavano baracche di pupari che si animavano una dietro l’altra, gruppi folcloristici di spadaccini, Mimmo Cuticchio che entrava sul cavallo e faceva Orlando; inoltre è stato determinante l’incontro con un burattinaio di Milano, Salvatore Fiorini, che è di Noto e aveva lavorato un po’ con Nino Cuticchio. Lui ci ha aiutato a costruire i pupazzi e gli oggetti dell’Orlando, nel contempo ha anche dato una connotazione ed un colore allo spettacolo che richiamano i pupi. C’è anche un riferimento al cunto di Mimmo ed un’attenzione più generale alla tradizione popolare.
SA: Proprio in riferimento alla tradizione dei pupi, volevamo sapere qualcosa un più sul finale del vostro spettacolo. Negli spettacoli di Cuticchio abbiamo Nofriu e Virticchio che lentamente riportano alla realtà commentando lo spettacolo, nel vostro Orlando invece sembra esserci un passaggio abbastanza brusco, un cambio di colore deciso, come mai?
GDL: Si, infatti, la scelta del finale è abbastanza particolare e sappiamo che colpisce molto. La chiave ironica è stata quella che ha improntato lo spettacolo fin dall’inizio. Dal momento che l’Orlando è divertimento, fantasticazione ai livelli più alti ma è anche altro - ricerca di un senso profondo della vita - dopo un’ora di spettacolo ironico e scoppiettante, abbiamo deciso di fare un finale per entrare più a fondo in questi significati. Chiudiamo lo spettacolo dopo una battaglia crudele tra cugini, con una citazione di Celati: lasciamo i paladini vagare per il mondo, di terra in terra, di avventura in avventura, esattamente come noi uomini che corriamo dietro ad "illusioni ed abbagli inciampando come ciechi là dove credevamo fosse la meta". Questa è stata una lettura dell’Orlando che ci è piaciuta molto.
SA: Avete gruppi di allievi, ragazzi che seguono la vostra strada?
GDL: No, siamo noi i nostri allievi, di averne degli altri non se ne parla.
SA: C’è qualcosa del genere nelle vostre intenzioni future?
GDL: Diciamo che attorno la compagnia si stanno avvicinando altre persone ed altre ancora collaborano già con noi, comunque siamo ancora una compagnia piccola anche se abbiamo progetti sul territorio.
SA: Visto che parliamo di territorio… oltre al furgoncino avete uno spazio vostro per lavorare e vivere?
GDL: Si, viviamo in un capannone industriale affittato.
SA: Non affidato?
GDL: No, no, affittato. Che a Milano affidino qualcosa non è nella mentalità, anzi è abbastanza raro. Abbiamo questo spazio che è il nostro tutto: ufficio, sala prove, laboratorio, e comincia a non bastare più perché le scenografie si accumulano, le cose da fare sono tante…
SA: A proposito di scenografie che si accumulano, per ogni spettacolo ci sono elementi separati o riutilizzate sempre gli stessi oggetti di scena?
GDL: Alcune cose ricompaiono, ma soprattutto ricompaiono gli strumenti. Gli oggetti di scena invece sono originali e quasi sempre nuovi.
SA: Li costruite voi?
GDL: In genere cerchiamo di fare tutto noi. Nel caso dell’Orlando, l’aiuto di Salvatore Fiorini è stato determinante, è venuto alle prove dello spettacolo, ha parlato con noi, ci ha dato molte idee ed in generale l’impostazione è stata sua. Ma proprio la sua collaborazione ci ha dato modo di sviluppare una certa abilità nel costruire oggetti di scena, dei quali ci serviamo per il teatro di strada e per il teatro dei ragazzi. Per esempio, da quando abbiamo iniziato a lavorare per il nuovo spettacolo stiamo imparando a saldare ed a costruire delle biciclette per i personaggi. Lavoriamo rispetto alle scenografie, utilizzando delle biciclette che vorremmo correggere con l’aggiunta di qualche elemento. Raffaella e Valentino sono stati al museo di vecchi mestieri di una volta che si trova a Bergamo, perché da noi -al nord- i mestieri di una volta giravano per i paesi e tutte queste professioni avevano delle biciclette "apposite". Il panettiere con le ceste, il barbiere con tutti gli attrezzi per rasare ed ancora il lattaio, lo scarparo…e tutte queste biciclette bellissime, che rappresentano dei veri e propri pezzi d’arte, ci hanno dato lo spunto per la costruzione di personaggi in direzione popolare che dovrebbero animare una piazza onirica, felliniana… ma non sappiamo ancora se tutte queste cose resteranno, se veramente ci serviranno alla fine del lavoro
SA: Cos’altro avremmo dovuto vedere di Teatrinviaggio?
GDL: Un’altra delle prime produzioni è stata Pelle d’asino. Una fiaba affrontata con lo stile della narrazione, con un’impostazione che viene dal Teatro del Sole, infatti abbiamo lavorato con Renata Coluccini che è attualmente al Teatro del sole e ci ha fatto la regia. Ci siamo quindi affidati ad altri artisti ed è una cosa che abbiamo fatto altre volte, chiamare altre persone per una regia, una consulenza, un approfondimento è il modo migliore per crescere, per continuare a formarsi e non rimanere chiusi nel proprio gruppo. Pelle d’asino è una narrazione molto essenziale, agile, con musica dal vivo, con pochi elementi, dove quasi tutto è affidato all’evocazione…insomma caratteristiche piuttosto tipiche di un certo teatro di narrazione. Poi abbiamo prodotto altri spettacoli per il teatro ragazzi, tra cui: Pinocchio ed il Sogno di Pierino. Pinocchio è stato presentato quest’anno a Segnali ed è uno spettacolo più di commistione di linguaggi, tra il teatro di figura, la musica dal vivo ed il teatro d’attore e dove l’arte di strada —quindi il percorso intrapreso con l’Orlando- rientra in maniera più evidente. Pierino invece è un lavoro attorale dove ci sono pezzi di narrazione e musica dal vivo, ma dove ci siamo più avvicinati ad uno studio sulla clownerie, di conseguenza la scelta dei collaboratori è stata influenzata in tal senso.
SA: Lavorate anche su questo?
GDL: Si, sono tutti studi che portiamo avanti e poi usiamo negli spettacoli quello che serve, che è funzionale e soprattutto quello che sappiamo fare bene.
SA: Avete dei rapporti stabili con qualche ente?
GDL: Non proprio. Ci sono luoghi dove solitamente andiamo e ci richiamano perché evidentemente piace il nostro lavoro.
SA: Con le scuole?
GDL: Il rapporto con le scuole è invece più improntato sui laboratori. Abbiamo un grosso lavoro di laboratorio sul territorio e con le scuole, specialmente elementari, anche perché, per esigenze tecniche, è più difficile rappresentare certi spettacoli nelle scuole.
SA: Difficoltà a piazzare lo spettacolo?
GDL: Qualcuna sì, perché il teatro di strada non ha un circuito organizzato come altri settori del teatro, come quello per ragazzi tanto per citarne uno. E poi il teatro in piazza possono farlo in tutti…
SA: Già, pensa che a Londra per fare una qualsiasi esibizione in strada, devi presentarti davanti ad una commissione che giudica ed assegna luogo ed ora dello spettacolo. In Francia —si sa- c’è la stessa attenzione verso il teatro di strada che in Italia verso i retroscena del campionato di calcio, e così per la maggior parte degli europei ma il belpaese continua ad ignorarvi…
GDL: …Esatto! Rispetto al teatro di strada anche in Italia c’è tutto un movimento nuovo che va evolvendosi, innanzi tutto c’è un incrocio tra chi fa busker, cioè esibizione di singoli artisti che spesso hanno un’abilità spiccata nella giocoleria o in altre arti di strada, e tra compagnie che fanno teatro per spazi aperti. C’è un marasma, un movimento, nascono e muoiono festivals che hanno vocazioni diverse, dai buskers a chi unisce teatro di ricerca, oppure la musica e il teatro per ragazzi, c’è un riconoscimento maggiore per il teatro di strada ma siamo lontani dall’avere dei circuiti o un contatto tra organizzatori di teatro di strada che permette di essere conosciuti. Il problema è che chi -in un ufficio cultura del comune- vuole organizzare qualcosa all’aperto, brancola nel buio. Non sa dove e cosa pescare ed anche tu fai fatica a spiegare il tuo lavoro, a far capire cos’è. Chiaro che col passare del tempo, ti vedono e ti fai conoscere ma è sicuramente più difficile lavorare col teatro di strada piuttosto che con quello per ragazzi dove hai appuntamenti fissi ed una vetrina per farti vedere e dove hai centinaia di operatori davanti che possono apprezzare i lavori validi.
SA: Siamo alle solite, il resto d’Europa rimane terra di conquista per chi vuole vedere riconosciuto il proprio lavoro. Mentre ancora adesso, il teatro di strada in Italia non ha organizzazione e visibilità, tutt’al più qualche zona franca tra una multa del poliziotto di quartiere ed un divieto dell’assessore di turno, con la passione per l’arte con la a "magliuscola" ed un passato da salumiere di comitato. Consoliamoci con un’altra granita…
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